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sabato 30 maggio 2020

DOUBLE FANTASY di Giuseppe Fabrizio Ernesto Coco



Hanno sparato a John Lennon da circa tre mesi, Double Fantasy imperversa nelle hit parade. Mario ha comprato il 45 giri, Woman, preferisce ascoltare il lato B, Kiss Kiss Kiss: il finale con la voce di Yoko Ono in preda a mugolii e orgasmi sincopati, gli procura erezioni che lo fanno arrossire.
A Catania è primavera, ma stamani pare già estate. Carmelo, Alfredo e Rosario, brufolosi adolescenti della terza C dell’ITC De Felice Giuffrida decidono di aderire allo sciopero: è un’occasione ghiotta per saltare le interrogazioni.
Mario, per voglia di novità, ha deciso di unirsi al trio. Per lui i compagni di classe sono solo ragazzi con cui condivide sei mattine su sette. Non ha amici, forse qualcuno nel gruppo della parrocchia. In compenso ha un’infinità di complessi che gli tengono compagnia. Si sente brutto, grasso, goffo, crede di avere un pisello piccolo (anche se non se l’è mai misurato). Sogna frequentemente di diventare un artista come Klimt: è incantato dall’energia sensuale di Giuditta II, brama quel seno e quella bocca altera, niente a che vedere con i corpi modaioli delle sue coetanee.
Con frasi smozzicate i quattro prendono accordi. A un segnale prestabilito e si allontanano alla chetichella verso il Supercinema Vittoria, che dal fulgore iniziale dei primi del novecento si era trasformato in sala a luci rosse. Camminano e chiacchierano, Mario non riesce a seguire i discorsi, si sente osservato e giudicato da l’umanità che incontra per strada, non alza lo sguardo per paura di trovarsi decine di indici puntati addosso e voci gridare: Cosa fai? Dove stai andando? Hai marinato la scuola, vergognati!
Appena entrato nel cinema sente provenire un odore schifoso di uovo marcio e candeggina. Cerca di nascondere il tremito involontario che gli fa battere i denti, è persuaso che il vecchio alla biglietteria lo giudichi uno sporcaccione. Paga il biglietto, guarda le tende fonoassorbenti sgangherate color rubino e le attraversa trattenendo il fiato. Adesso è nella sala fredda illuminata appena, dalle immagini del film. Ha il cuore in gola. Con la coda dell’occhio guarda i compagni: sono fermi, aspettano che la vista si abitui alla semioscurità per cercare la fila dove andare a sedersi. La vedono e come soldati in marcia la raggiungono e abbassano il sedile delle vecchie sedie in legno, dai braccioli un po’ appiccicosi.
Seduto, prova a concentrarsi sulle immagini.
Dopo dieci minuti, è deluso: poca azione, poca carne, scene noiose. Pensa a come sono più eccitanti i giornalini porno trafugati dal nascondiglio del padre. Il sesso è un atto impuro da vivere in solitudine, dietro la porta chiusa di un bagno o di una stanza, non certo insieme ad altri nel buio di una sala immensa. Si sente un vizioso, senza possibilità di redenzione.
Si annoia, muovendo solo gli occhi si rende conto che tutto è vecchio. Prova a contare le sagome distanziate delle file davanti. Si sente a disagio.
Alfredo guarda l’ora e sussurra che è il momento di andare via. Finalmente.
I tre, dandosi aria da esperti, commentano la pallosità del film. Mario non apre bocca, annuisce, vorrebbe essere lontano. Saluta e si precipita tra le strade affollate scaldate dal mezzogiorno primaverile. Vuole togliersi quel fetore di muffa, candeggina e vecchio. Teme che a casa lo possano sentire. Comunque, fino alle otto di stasera nessuno rientrerà.
Annasa l’odore acuto e caldo di una parete di gelsomino fiorito. Ricorda quando anni prima, le sere d’estate, suo padre lo portava all’Arena Ideal, dove quel profumo lo stordiva tanto da trovarlo irritante. adesso prova imbarazzo ad uscirci insieme a quell’uomo che trova vecchio e sfortunato. Tutte le domeniche prega Dio che non lo faccia mai assomigliare a lui.

Solo a casa, dopo aver finito i compiti, per ammazzare la noia pomeridiana, ascolta senza tregua il lato B di Woman.
La sera nessuno si accorge delle sue occhiaie spaventose.
Prima di addormentarsi ha fermamente deciso: da domani i mattini scolastici seguiranno la monotonia dei programmi ministeriali, almeno di non incontrare una come Giuditta.

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