domenica 31 marzo 2019

BERRETTI DA BASEBALL di Maurizio Donazzon


Cosa ne facciamo di tutti questi cappelli, signora? Qualcuno è quasi nuovo. Quando le ragazze cominciarono a viaggiare per conto loro, chiedevi che ti regalassero un berretto da baseball con il logo della città che avevano visitato. Parigi, Berlino, Praga, Londra, Tokyo. Li comperavano nei negozi di souvenir: quello di Barcellona era uno dei tanti di fronte alla Sagrada Familia, ti avevano raccontato. Il berretto era rosso, con due fasce triangolari blu che scendevano dal bottone in cima. Sulla visiera e sulle fasce era ricamato il nome della città, sulla fronte sporgeva una B maiuscola in rilievo. Era uno dei tuoi berretti preferiti.
Sono vecchi, non li vuole nessuno. Mettili nel sacco grigio del secco. Dagli Stati Uniti, ti portavano i berretti autentici delle squadre di baseball. New York Yankees, San Francisco Giants, Washington Nationals. Tu e tua moglie non avevate viaggiato molto. Dovevate lavorare e risparmiare, per la famiglia e per far studiare le figlie. Poi arrivarono i nipoti, a cui dedicarsi per aiutare i genitori che lavoravano.
Aspetta, mamma, protestò il bambino. Voglio quello rosso. Quando uscivi di casa, sceglievi il cappello intonandolo con i vestiti. Il berretto di Madrid, marrone e giallo, lo accostavi al maglione senape, accompagnato alle scarpe in pelle. Il giorno del tuo cinquantesimo anniversario di matrimonio non indossavi nessun cappello, ma il completo grigio e la camicia bianca ben stirata. Non riuscivi a trovare la toilette, eri leggermente confuso dal locale che non conoscevi.
È vecchio, amore. Era del nonno, te ne compro io uno nuovo. Avevi cominciato a perdere la memoria. Te ne accorgevi, ma cercavi di minimizzare: È l’età, sto diventando vecchio. Ti portarono in ospedale a fare una visita medica. Inizio di Alzheimer, la diagnosi. Eri seccato di dover vedere l’amico di un tempo, avevi cominciato a non uscire più. Non ne ho voglia, dicevi. Solamente a casa con tua moglie ti sentivi al sicuro.
Voglio quello! Voglio il cappello rosso! Il geriatra ti chiese di disegnare un orologio che segnasse le 11.10. Avevi tracciato un bel cerchio, ma poi era stato difficile fissare i numeri: si raggruppavano tutti da un lato. Le lancette delle ore e dei minuti le avevi poste una sopra l’altra. Guardando lo scarabocchio ti eri scusato dicendo che non sapevi disegnare bene. Il medico aveva risposto sorridendo che andava bene così, mentre tua moglie aveva sospirato guardando la figlia che vi aveva accompagnato.
È sporco, devo lavarlo. Poi si rovina e non ti piace più. Per tua moglie, anche lei anziana, era più difficile adesso. Le figlie avevano assunto una badante che ti imboccava, ti accompagnava in bagno e ti puliva, ti sedeva sulla poltrona davanti alla televisione. Ogni due giorni ti accompagnava a fare un giro nell’isolato, spingendo la carrozzina che traballava sull’asfalto sconnesso. Dopo averti vestito, ci voleva del tempo per scegliere quale cappello indossare. Alla fine non ti chiedeva più cosa preferivi, rispondevi a mala pena.
Voglio quello rosso! Il giorno del tuo funerale sarebbe stato bello se avessi potuto indossare uno dei tuoi cappelli da baseball, ma era una cerimonia importante. Indossavi il completo grigio e la camicia bianca ben stirata. Tu che ti vestivi sempre con maglione, polo e jeans, o ultimamente con i pantaloni della tuta, perché la badante li trovava più comodi per il suo lavoro.
Va bene, disse la madre. ...No, non puoi metterlo adesso. Ecco, è nella borsa. Lo puoi portare dopo che l’ho lavato, va bene? Pensava che il figlio si sarebbe dimenticato del cappello, e a casa avrebbe potuto buttarlo nella spazzatura senza che se ne accorgesse. Ma il bambino si intestardì a usarlo anche se gli stava largo e copriva metà delle orecchie. Quando si stufò, il berretto finì in testa a un koala gigante di peluche, regalo del nonno di quand’era più piccolo. La madre pensò che fosse il momento di buttarlo. Con la punta di due dita, prese il berretto per la visiera. Provalo! Ti sta bene. Vero, mamma, che il rosso gli sta bene? L’abbiamo comperato in un negozietto davanti alla Sagrada Familia. Ce n’erano tanti, ma questo sapevo che ti sarebbe piaciuto. Decise di tenere il berretto ancora un po’.

2 commenti:

  1. Una rapida carrellata su un vissuto che purtroppo è "vissuto", e subito, all'interno di molte famiglie.
    La malattia come annientamento di ciò che si è stati, l'appiattimento partendo dalla distruzione delle passioni rappresentate da tanti berretti da baseball, ognuno (nella mia testa) raffigura un'istantanea di vita.

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  2. Grazie, Dedalo. Hai colto il centro del racconto: l'Alzheimer come graduale annientamento fisico e mentale.

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