mercoledì 30 dicembre 2020

UN ELEGANTE CAPPELLO VIOLA di Arianna Cislacchi

Quando gli dissero che sua figlia aveva contratto una malattia incurabile, Mark sentì il mondo crollargli addosso. Era nel grande salone del castello e guardava fuori dalla finestra, con le mani congiunte dietro la schiena. Respirava a fondo e lentamente, nascondendo sotto un paio di folti baffi le labbra increspate e contorte dal dolore. Aveva un'espressione terribile ed era pallido come se stesse per morire. La bambina giocava in giardino con la matrigna, le sentiva ridere con una naturalezza da stringere il cuore; si rincorrevano attorno alla fontana, lanciandosi schizzi a tradimento per poi nascondersi al riparo dietro le statue d'angelo, statue imponenti con grandi ali e strumenti musicali dai quali zampillava acqua verde.

Il dottore era dietro di lui, si stringeva nel panciotto e tratteneva il respiro: non osava allontanarsi, non prima di esser congedato. Il silenzio venne spezzato da un colpo di tosse, e Mark finalmente tornò alla realtà girandosi verso di lui. Fece un paio di passi e, vicino al grande mappamondo di legno, poggiò le dita magre: le fece scorrere piano sui continenti, ruotando la palla con una lentezza ossessiva. Gli venne in mente l'immagine di Atlante costretto a tenere il mondo sulle sole sue spalle, senza l'aiuto di nessuno. E qualora avesse fatto un solo passo falso, sarebbe rimasto inesorabilmente schiacciato da esso.

"Dunque non esiste rimedio per Lilibeth."

Non ci fu cenno di domanda in quel tono; il dottore desolato, alzò lo sguardo perdendosi lungo le travi del soffitto; aggiustò gli occhialetti tondi sul naso e cercò il tono più docile possibile per ripetere le stesse identiche parole di prima.

"A oggi non c'è soluzione, signor Mark. È stata visitata dai migliori ospedali, dai medici più illustri, ma nessuno riesce a capire cosa la bambina abbia contratto. Potrebbe essere genetico, ma potrebbe anche essere un caso, una sfortuna insomma."

"Una sfortuna.” ripeté l’uomo amareggiato.

“Mia moglie Mary è spirata dieci anni fa dandola alla luce, non sapremo mai se avesse qualcosa di trasmissibile. Quanto a me…"

Mark fece una lunga pausa, rivolgendo finalmente il viso al dottore.

"... Forse è solo una maledizione. Lei crede nei fatti che non hanno spiegazione, Dr. Rubert?"

Il medico sembrò in imbarazzo. Costernato abbassò la testa e fece un mezzo inchino.

“Ecco, io credo nella scienza, Signore. Se mi sta chiedendo se credo agli spiriti o se sono superstizioso, bé…”

Mark non volle sentire oltre; lo mandò via con un cenno della mano, e tornò alla finestra. Il medico rosso in volto, si allontanò sbrigativo socchiudendo male la porta.

L’uomo rimase a fissare oltre le tende, pensieroso. Sentiva scorrergli dentro una strana agitazione. Per un attimo si girò verso il dipinto: il ritratto di Mary era ancora appeso in quella stanza, in un punto scomodo e troppo alto anche solo per pensare di toglierlo. Indossava un abito a corsetto e uno splendido cappello viola. Rose, la seconda moglie, non aveva apprezzato la scelta di conservarlo lì; provava una profonda inquietudine, si sentiva sempre osservata da quegl’occhi color della pece capaci di penetrarla come fossero coltelli; i giorni e le notti scorrevano pieni d’ansia, ogni momento vissuto in quella sala era puro tedio e terrore. Rose avvertiva un peso lungo la schiena tutte le volte che vi entrava.

Il signor Mark non ammise mai che la decisione di lasciarla lì era puramente scaramantica; temeva di provocare l’ira della defunta nell’altro mondo, se l’avesse tolto.

Tornò a guardare fuori; vide Rose seduta su una sedia a dondolo intenta a far ricamo e sorrise; mancava solo la figlia. Dov’era finita? Aprì le finestre e si sporse avanti per vedere meglio.

La moglie lo salutò sventolando la mano. Stava per chiamarlo, ma s’alzò di scatto cacciando un grido di disperazione. L’uomo volò giù e si schiantò sul terreno, con un oggetto infilzato tra le scapole.

Dalla stessa finestra s’affacciò la figlia; una pozza vermiglia si allargò sempre di più macchiando il bel giardino. Per un momento a Rose sembrò che il castello si piegasse su sé stesso, contorcendosi e respirando pesantemente; gridò verso la bambina, ma questa rimase ferma dov’era. La donna, soffocata dalle lacrime giurò che ci fosse accanto a lei una figura molto alta, con in testa un elegante cappello viola. La notte, maledetta, calò su di loro e le luci si spensero per sempre.


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