Quanti anni hai? Tre. Lo faccio colle dita:
tre. Dov'è la mamma? Adesso non c'è, siamo a scuola. Al nido piangevo, ora no,
sono grande, sono tre. Simone ha ancora paura del buio. Anche io ma non lo
dico. Fate un disegno: disegno il mio papà. Mi sta venendo benissimo. Andiamo
in giardino. Facciamo una buca e la riempiamo d'acqua. Poi mestiamo nel fango:
io immagino di essere una formica e di precipitare nell'abisso melmoso.
Torniamo dentro inzaccherati. La maestra Paola ci sgrida e ci fa preparare per
uscire; in giardino spiega a una mamma come si arriva in via Palazzo dei
Diavoli, che non ho mai sentito nominare. Viene a prendermi la Rita. Abbiamo
comprato la schiacciata. Bona! Attraversiamo la strada. Dammi la mano, anche te
devi farti i capelli. Io sono tre. Guardo Ken Falco. La Rita prepara da
mangiare. Mangio.
Sono grande, sono cinque. Siccome siete stati
buoni, potete giocare col pongo. Costruiamo dei mostri. Però qualcuno deve fare
il cattivo e lasciarselo distruggere. Lo fa Gabri, perché è il più buono. Lo
faccio io il cattivo, dice. È ancora quattro, ma è molto intelligente. Siamo
grandi all'asilo: possiamo decidere di giocare a nascondino. Mi nascondo con
Massimiliano dietro una fila di giubbotti appesi. Euforici, ci accovacciamo e
nel mentre mi cago adosso. Fine del divertimento, inizio di una tragica
dissimulazione. Credevo che cose del genere non accadessero più, adesso che
sono grande. E invece rieccoci daccapo. Non provo neanche a correre quando Gigi
ci sorprende e ci fa bomba. In classe vengo pubblicamente scuccato e chiamano
mia sorella che viene a lavarmi le terga nel lavandino del bagno, mentre tutti
mi guardano.
Ho sentito parlare di voi, siete quelli che
vi comportavate male all'asilo. Quelli venuti da Pollenzano. Che facevate
urlare la Gloria. Ma io me ne fotto, mi leggo i miei barbapapà, voi non
esistete. Coloro i fiori, li mangio come nuovi. Faccio un
giardino e noi che corriamo. Faccio i capelli col nero. Mi dai il rosa? Devo
farti la pelle. Minchia oh, sessiete bravi co sti giochini. Léon Hermann legge
in Ammiano un riferimento criptico a truculente pratiche liturgiche volte a
divinare le future sorti del cristianesimo. Agostino, la nostra sola altra
fonte in proposito, ci spiega che la profezia avrebbe promesso la durata di
almeno 'un anno di anni', vale a dire 365 anni.
Trentotto anni dopo mi arriva, per errore,
questo SMS: Aurò, zero soldi, ti spiegherò poi – ora vado a bé!!sennò
impazzisco!!! Fottuti eroinomani.
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