Con la matita gialla acquerellabile fra
l’indice e il pollice, concentrata sugli spazi da illuminare.
Davanti il foglio di carta cotone ruvido e
spesso, bordato di nastro adeso alla tavola di legno
per contenere le intemperanze dell’acqua e
dei colori.
Il paesaggio del quadro ritrae l’interno di
una cucina simile a quella di sua nonna Maria.
Una donna di schiena intenta a lavare i
piatti.
Da una finestra sul lato destro del lavello
entrano raggi di sole.
Pentole, vassoi e bicchieri compongono una
torre dal l’architettura complessa e sottosopra, un equilibrio precario e
perfetto di domestico ingegno.
L’acqua sgocciolante sul pavimento e
nell’acquaio produce riflessi di luce.
Dalla superficie lucida del pentolame mille
occhi sorridenti osservano lo spettatore rendendolo attore.
Un dialogo fra le parti che ogni volta
finisce in schizzi d’acqua, bolle di sapone nell’aria, stoviglie che crollano e
il foglio che si riduce ad un groviglio di scarabocchi, dove Maria, la nonna
torna nel limbo offuscato del tempo.
Fino a un nuovo quadro che prende forma e
nitidezza.
Fino a che nonna e nipote incontrano ancora i
loro sguardi, fino a nuovi scherzi e nuovi scarabocchi.
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