giovedì 27 dicembre 2018

NERO COME LA NOTTE di Massimiliano Piccolo


Maledetto turno serale. Terminare stanchi, poi inerpicare su tornanti senza illuminazione per infilarsi sotto le tanto agognate coperte. Lassù, nella dimora che aveva scelto, dove il mondo si estingueva e ogni rumore si faceva selvatico.
Quella sera la fiacchezza del rientro gli ronzava attorno. Si accaniva all'altezza delle palpebre oscurando la strada già nera e tinteggiata di una nuova notte alle porte. Curva dopo curva, proprio dove i lati della strada cominciavano a rivestirsi di robinie che si intersecavano ai rovi, dove il manto stradale si trasformava in terra, sassi, buchi, se non addirittura voragini. Voragini che sembravano spostarsi ogni giorno quasi per fare un dispetto. Menomale che aveva il 4x4, si ripeteva sempre. Era già passato quasi un anno da quando aveva fatto quella scelta di vita che in pochi riuscivano a comprendere o interpretare. Da solo, tra le sorelle minori delle Alpi, le Prealpi, in quella antica abitazione in mezzo alle rovine dimenticate che chiamava paese. Lui, e i due anziani che ancora ci vivevano. Nati, cresciuti e invecchiati in quel luogo che sembrava appartenere a un passato ormai esaurito.
Come ogni odiatissimo rientro serale, la consuetudine lo pedinava. Trovava lungo la risalita quel cagnaccio nero, pelosissimo, che correva chissà dove con la lingua a penzoloni e quegli occhi marroni schizzati fuori dalle orbite. Aveva chiesto informazioni in passato, ma pareva non appartenere a nessuno. Tutti lo conoscevano, ma nessuno sapeva dove andasse a cacciarsi durante il giorno. Tranne questa volta. E a scoprirlo doveva essere stato un grandissimo pezzo di stronzo.

Quella sera lo aveva incrociato quasi all'altezza del paese; non lo aveva mai visto così vicino. Di solito era molto più diffidente nella sua isterica corsa notturna. Ora il cagnaccio non filava come al solito. Zoppicava per qualche metro e si fermava a tormentarsi la zampa posteriore. Mordicchiandola. Così ha deciso di rallentare, e poi, dopo aver visto una striscia di sangue lasciata da quel corpo peloso e nero sull'asfalto illuminato dai fari anabbaglianti, di accostare per accertarsi della situazione. Ha percorso qualche metro per raggiungere un piccolo spiazzo sulla destra della strada dove di solito parcheggiavano i fungiatt, gli scocciatori del fine settimana.
L'animale ha osservato la macchina fermarsi, la portiera aprirsi e ha provato a zoppicare via con la lingua che pendeva verso destra. L'uomo ha preso un pezzo di panino che aveva avanzato dal pranzo e ha deciso di usarlo per tentare di avvicinare quell'animale che sembrava più selvatico dei caprioli che spesso incrociava durante la risalita verso casa.

Aspetta ha detto lui con un tono di voce tanto dolce che non pensava nemmeno di possedere. L'animale, come se si fosse accorto di quella soffice attenzione, si era fermato in mezzo alla strada con l'aria incerta di chi si sentiva perduto. Smarrito più che mai. A questo punto gli lanciava un pezzo di prosciutto attendendo che il cane si avvicinasse. Dopo qualche istante e qualche difficoltoso passo verso l'uomo, il cane stramazzò al suolo creando lo stesso rumore netto e deciso che fa un albero quando crolla a terra.
Lui gli era corso incontro e si era inginocchiato per cercare di capire la gravità della situazione e della ferita in particolare. In quel gran buio ridimensionato soltanto dai fari della sua macchina non riusciva a capirci granché. Aveva deciso di portarlo a casa con sé e aspettare l'indomani per portarlo dal veterinario. Lo aveva caricato in macchina per quei pochi metri che rimanevano. Poi, una volta preso in braccio, si era stupito di quando fosse leggero e di quanto quel volume fosse determinato soltanto dal pelo lanoso che lo rivestiva. Lo aveva appoggiato per terra all'entrata del garage, aveva cercato una coperta e lo aveva condotto dentro casa. Lo aveva messo vicino alla luce per vedere bene la ferita e tentare di disinfettarla. Il sangue sembrava essersi fermato anche se la ferita appariva profonda. Una volta disinfettato, lo aveva adagiato vicino al camino che cominciava a scoppiettare di un nuovo bruciare. Lo aveva acceso per dare un po' di accogliente tepore all'ospite tanto debilitato. Poi se ne era andato a letto confidando nel risveglio senza un tragico finale.

La mattina lo aveva trovato sdraiato, ma vigile, vicino al caminetto che ormai non scaldava più. Si erano guardati incuriositi e lui gli aveva domandato se avesse fame. Il cane aveva risposto tirando fuori la linguaccia viola e lui lo aveva accontentato con gli avanzi del giorno precedente. Poi lo prese, nonostante il cagnaccio avesse provato a camminare e lo portò in macchina per andare alla clinica veterinaria. Lo accomodò nel baule e il cane lo lasciò fare. Mentre scendeva da quei tornanti che conosceva a memoria, aveva guardato nel retrovisore l'arruffato testone che scrutava fuori dal vetro posteriore. Nonostante la puzza di cane non fosse ancora ristagnata nell'auto, lui stava già pensando al nome da affidare al suo nuovo amico.

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