giovedì 27 dicembre 2018

CHE NON VOGLIO PIU’ SPARIRE di Sabrina Carollo


“Fammi vedere cos’hai sul braccio”
“Niente, solo uno scarabocchio”
“Fammelo vedere. È un ordine”
“Papà non è niente, solo uno scarabocchio, uno scherzo che mi ha fatto Andrea”.
Un gesto svelto, di chi è maneggia corpi tutti i giorni. Le afferra il polso con una mano, stringendo forte per bloccarla, mentre con l’altra spinge il maglione verso il gomito.
“Ahia mi fai male!”
“Che cazzo hai fatto ma sei cretina? È un tatuaggio!”
Il ruggito del padre aveva da sempre il potere di terrorizzarla, trasformandola improvvisamente in una statua di sale senza movimento, parola, vita, pronta a sgretolarsi al primo soffio di vento. Non era semplicemente perché era un poliziotto: il potere che emanava prescindeva dalla pistola, dalla figura imponente, dalla capacità di buttare in terra un uomo a mani nude e immobilizzarlo - lo aveva visto farlo, una volta in cui era molto piccola e lui ancora il suo supereroe preferito.
No, riguardava i suoi occhi: quello sguardo fiammeggiante che si accendeva solo in alcuni momenti e la immobilizzava, cancellando ogni sua possibilità di reazione. Chissà se lo faceva anche con loro.
“Chi ti ha dato il permesso di farti un tatuaggio eh? Non credo proprio che tua madre lo sappia! Lo sai che è illegale alla tua età? Ci vuole l’approvazione di un genitore!”
Il tono stava salendo i gradini di corsa, come un pugile che si riscalda prima del combattimento, muovendosi sempre più velocemente.
“E cosa c’è scritto? Cos’è un nome? A sedici anni? Il nome del fidanzato? Ma lo sai quanti ne cambierai da qui a tre anni?”
Ora stava decisamente urlando. Marlena non fiatava, lo osservava terrea conficcando paura e lacrime in un posto segreto, tra lo stomaco e i polmoni. Sfoggiava il suo sguardo di emergenza, velato, assente. Aspettava che passasse la tempesta, ma temeva che questa volta non sarebbe stato veloce.
“No, non è un nome, fammi vedere. Michela vieni! Tua figlia si è tatuata! Ma che cazzo c’è scritto? Su? Nu? Che cos’è?”
“Suruwa”
Marlena si svincola dalla presa lentamente, mentre parla a voce bassa.
“Smettila di urlare. Non ce n’è bisogno ci sentiamo tutti. Marlena cos’è questa storia?”
Sua madre era come le Nazioni Unite: tanti buoni propositi, ma incapace di agire. Non alzava la voce, non si arrabbiava mai. Nemmeno quando era necessario.
“È solo un tatuaggio. Il suo collega è pieno, no? Non capisco perché io non posso”
“Lui ha cinquant’anni! Tu sedici!”
“Ti ho chiesto di smettere di urlare. Falle spiegare”.
“Non c’è niente da spiegare mamma. È solo un tatuaggio”
“Ragazzina, tuo padre ha ragione. Non puoi tatuarti liberamente alla tua età. Hai falsificato dei documenti? Oppure dobbiamo denunciare chi ha fatto il lavoro?”
“Non potete denunciarla perché è minorenne. Me lo ha fatto un’amica dell’artistico”
Sapeva che avrebbe dovuto stare zitta. La sua era un’intifada inutile e dannosa.
“Ora mi dici come si chiama e andiamo a parlare con i suoi genitori. È illegale e se volessi potrei comunque denunciarla al tribunale dei minori! Non vorrai insegnarmi il mio mestiere spero!”
“Ma perché ve la prendete tanto! Tra due anni mi potrei liberamente coprire il corpo con un drago verde e rosso e voi non potreste farci niente, cosa cambia ora?”
“CAMBIA CHE SEI MIA FIGLIA E SEI MINORENNE! DECIDO IO PER TE!”
“SEI SOLO UN FASCISTA!”
Marlena scappa in camera, sbatte la porta, se li lascia alle spalle. Il copione è noto. Nemmeno gli hanno chiesto chi è, Suruwa. E nemmeno hanno visto il resto del braccio. O l’altro. Perché Suruwa non è l’unico tatuaggio. Non è il primo. Ci sono anche Madir, Ozo, Afef, Janina, Kahleb. Sono nomi che non vuole dimenticare. Sono i nomi di ragazzi che non ce l’hanno fatta. Ragazzi e ragazze come lei, che sono nati altrove. Che non hanno una casa come la sua, che non sono andati a scuola. Che hanno attraversato il mare su una imbarcazione approssimativa, pagando tutto quello che avevano, picchiati, logorati, violentati. Che sono stati ricacciati via, o che hanno raccolto pomodori per pochi euro. Ragazzi che sono morti in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse. Ragazzi come lei. Qualcuno deve pur ricordarli.

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