giovedì 27 dicembre 2018

SEIPERTRE di Andrea Mitri


La percezione di essere seguito non l’aveva avuta subito. Dapprima era stato uno sguardo distratto, gettato intorno scendendo frettolosamente dal tram, a trenta metri da casa, come se ci fosse stata una consapevolezza che qualcuno lo stava aspettando. Poi come un friccicore alla nuca, che lo aveva costretto a voltarsi, qualche giorno dopo, proprio davanti al portone nell’atto di infilare la chiave. Una sensazione peraltro gradevole, non di fastidio, che era cessata quasi subito, nel momento in cui voltandosi aveva visto che alle sue spalle non vi era nessuno. E poi piccoli segnali sparsi, a giro per la città: una musica ricorrente alle finestre e nei bar, una serie di macchine dello stesso colore, la sensazione di non essere solo dentro al cinema Odeon.
Poi di colpo, davanti casa, nello spazio appositamente riservato, il manifesto 6 x 3 di una nota marca di cosmetici e quegli occhi azzurri, penetranti, che sembrano non fare altro che osservare lui affacciato alla finestra.
Un colpo al cuore, inizialmente, e dopo, minuto dopo minuto, la sensazione che qualcosa di non completamente atteso stia entrando nella sua vita, la montante consapevolezza dello riempimento degli spazi fino ad allora solitariamente percorsi.
Lo sguardo della modella, probabilmente danese, lo segue, ora, aiutato dalla prospettiva, in ogni suo passo non appena uscito, in quel breve tragitto verso l’edicola, come in quello verso il minimarket. Lo persegue seduto sul tram, mentre si reca al lavoro, apparendo di tanto in tanto qui e là, ad un angolo, sul retro di una rivista letta dalla passeggera a fianco, sullo smart phone di un ragazzo in piedi accanto a lei. Camminando distrattamente sul corso gli sembra che i manichini delle vetrine abbiano somiglianze precise, che la ragazza che all’angolo aspetta il taxi, indossi gli occhiali scuri solo per non tradire il colore dei suoi occhi.
La notte sogna di lei che scivola dal manifesto e si incammina verso il suo portone. Suona il campanello corrispondente al suo cognome e quando al citofono lui stupidamente la rimprovera per l’ora, lei dolcemente gli chiede di salire, anche solo per un attimo, giusto per vederlo mentre dorme.
Solo che lui continua a non aprire.
Il sogno è ormai ricorrente, ogni notte, più o meno appena addormentato. Quasi un appuntamento fisso, per un paio di settimane, fino alla notte in cui il coraggio prende il sopravvento e lui preme senza fatica il pulsante che apre il portone e la aspetta sulla porta, elegantemente vestito, nonostante i capelli tradiscano che si è alzato da poco.
Ma lei non sale e lui ha come un presentimento.
Si sveglia, si affaccia alla finestra e di lei non intravede ancora che un angolo della bocca. Poi l’uomo sulla scala, quell’angolo lo copre, srotolandovi definitivamente sopra la pubblicità di una macchina tedesca che si inerpica sulle strade strette di montagna.
Ovunque nei giorni successivi lei è scomparsa, nonostante lui la reinsegua lungo i percorsi abitudinari dove si incontravano, sulle riviste dove lei lo cercava, nei sogni fatti ora di camminate notturne prive di suoni e piene solo di solitari passi sul selciato.
Un pomeriggio lei è lì, cento metri più in là del capolinea del tram, dove lo hanno condotto tre fermate saltate, dileguatesi nel filo ininterrotto dei suoi pensieri: ha gli occhi ricoperti di scarabocchi, le orecchie appuntite dal pennarello e uno strappo che le attraversa il volto. Ma lui ne percepisce ancora pienamente la bellezza, la sente ancora seguirlo nel cammino del ritorno, mentre laicamente prega che la notte gli riporti il suono del campanello premuto a lungo.
Ma non accade.
La rivede solo sulla pagina interna di un settimanale, mesi dopo, gli occhi nascosti da pesanti occhiali scuri ,  in un servizio che ne racconta il calvario dopo l’incidente stradale, il suo lento ritornare alla vita, la sua lotta con le cicatrici, la paura di non tornare a vedere.
Adesso lui conosce il suo nome, la città dove abita, cose della sua vita che non conosceva prima.
La donna ora abita in una strada di Copenaghen, in una casetta bassa, in fondo ad un isolato dove in controluce si percepisce il riverbero del mare.
Un anno e due operazioni dopo, lei rivede perfettamente. Ha gettato nella spazzatura i suoi spessi occhiali scuri e i suoi occhi azzurri accettano nuovamente di farsi accarezzare dalla rifrazione della luce.
Una mattina apre la porta di casa e di fronte, nello spazio appositamente riservato, c’è un manifesto pubblicitario 6 x 3 di un uomo che le sembra di conoscere. Gli occhi sono scuri, apparentemente distratti; eppure a lei sembra che dolcemente lo sguardo dell’uomo osservi proprio lei, nel suo dirigersi verso il minimarket all’angolo.
Alla fine le viene da sorridere, e per la prima volta la cicatrice ancora percepibile nel volto non le dissemina bruciore lungo il corpo. Le sembra di ricordare che un giorno si erano incontrati, forse solo in un sogno. 
Continua a camminare.
Magari accadrà di nuovo.

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