domenica 30 giugno 2019

COSÌ COM’E’ di Carlo Banchieri

Non riesco a ricordare bene il giorno preciso in cui rimasi coinvolto in quella strana vicenda, tuttavia ho ben presente quale fosse lo stato d'animo che avevo in quel momento. Rammento che eravamo di Maggio e, nonostante l'approssimarsi dell'estate, le prime ore del giorno erano ancora fresche e cristalline, ideali per uscire di casa, lavorare in giardino o andare a spasso con il proprio cane, come spesso facevo anch'io.
Il mio era un cane corso ed era con me da moltissimo tempo: si chiamava Ombra.
Quella mattina mi svegliai di buon umore, contento e carico di entusiasmo e soddisfazione perché finalmente stavo per rivedere il mio caro amico Christian. Non lo sentivo da anni, non sapevo neppure se si fosse sposato, o avesse dei figli, o che lavoro facesse in quel periodo. Ci tenevo a presentarmi bene e in gran forma di fronte a lui, come fossi un ragazzino al primo appuntamento. Non volevo certo che mi trovasse sciupato, deperito o troppo cambiato, e poi, in effetti, anch'io speravo di ritrovarmelo davanti tale e quale a come lo avevo visto l'ultima volta, con quella sua innata leggerezza e quel sorriso beffardo stampato sulla faccia.
Comunque, dopo essermi lavato e vestito con abiti leggeri, dal momento che faceva un gran caldo, mi diressi a piedi verso la stazione che era a due passi da casa. Ricordo che per la strada incontrai la signora Maria, minuta donna di mezza età che spesso, in quelle giornate miti e soleggiate, veniva a cogliere fiori nel vasto campo che si trovava proprio di fronte a dove abitavo. La salutai sorridendole amichevolmente e lei, che camminava con quel suo fare assorto e pensieroso, non appena mi vide ricambiò distrattamente.
Mi viene in mente proprio adesso che anche quella mattina aveva con sé un grande cesto di vimini che portava sottobraccio ed ero sicuro che di lì a poco lo avrebbe riempito con cespi di cicoria e asparagi selvatici o con i fiori più belli e colorati che si potessero vedere. Era solita portarli al mercato, dove li vendeva per poche lire a chi, di solito persone anziane come lei, ne sapeva apprezzare la qualità o la bellezza.
Dopo averla salutata, affrettai il passo. Il treno sarebbe partito dopo una ventina di minuti e io, che dovevo ancora comprare il biglietto, sentivo la necessità di passare prima al “Così Com'è”, per bere il mio consueto caffè d'orzo, come facevo ormai da molti anni. “Non farò tardi.” pensai.
Dopo alcuni minuti entrai nel bar, salutai l'anziano barista e ordinai ciò che volevo, convinto del fatto che mi sarebbe stato servito immediatamente.
Sedendomi al bancone, non potei fare a meno di notare un uomo di una certa età, sporco e malvestito, che, dal tavolo posto nell'angolo più ombreggiato dell'unica sala, osservava il banconiere, borbottando strane parole.
Pareva che ce l'avesse proprio con lui.
Per un attimo mi fissò con uno sguardo torbido, oscuro, ma espressivo. Quegli occhi, scuri e profondi, mi parvero perfidi, feroci, ostili e carichi di odio come quelli di una iena. Non appena mi guardò, sentii il sangue gelarsi nelle vene. Mi voltai immediatamente, spaventato.
Proprio in quel momento mi fu servito ciò che avevo chiesto. Mentre un piacevole e delicato profumo d'orzo penetrava nelle mie narici dandomi modo di pregustare ciò che sarebbe venuto dopo, il rumore forte e improvviso di una sedia sbattuta mi fece voltare di scatto.
Vidi allora che l'uomo che aveva attirato la mia attenzione si era alzato e stava avanzando con aria poco rassicurante in direzione del barista. Subito dopo prese ad inveire contro di lui. Aveva un accento strano, ma anche una voce rauca e grottesca che, di certo, non mi aiutò a comprendere quale fosse la sua provenienza. A stento riuscivo, infatti, a capire una parola qua e una là. Dedussi, comunque, che non era di quelle parti ed era facile supporlo anche perché non lo avevo mai visto.
L'anziano barista gesticolava animatamente e, brandendo con aria minacciosa una bottiglia, si avvicinò all'avventore sbraitando e inveendo contro di lui. Per un attimo mi parve quasi che volesse colpirlo perché, mentre urlava, continuava a roteare la bottiglia come se fosse una grossa mazza. L'uomo sporco urlava più forte di lui e tanto era il trambusto che non riuscivo a capire una sola parola di quello che si stavano dicendo. Capii però che si trattava di una questione di soldi.
“Quell'uomo deve avere un debito col barista. Certo, ha proprio una bella faccia tosta a presentarsi qui e ordinare ancora da bere se non ha di che pagare.” pensai.
Lentamente mi lasciai scivolare lungo il bancone al quale mi ero appoggiato e anche se qualcosa mi stava dicendo che sarebbe stato meglio farmi gli affari miei, ero ormai talmente incuriosito da quella strana situazione che mi ero addirittura completamente dimenticato anche del treno che avrei dovuto prendere. L'uomo intanto si faceva sempre più minaccioso anche nei gesti. Bastò poco perché i due venissero direttamente alle mani, spintonandosi e colpendosi con i pugni. Tuttavia, proprio quando sembrava che il proprietario del bar avesse la meglio perché era riuscito ad afferrare l'altro alla gola, l'avventore all'improvviso estrasse dalla tasca dei pantaloni un grosso coltello affilato e colpì il barista all'addome, che cadde a terra bocconi, gemendo.
Rimasi impietrito a guardare il vecchio disteso a terra, continuando a rivedere nella mia mente la scena a cui avevo appena assistito altre dieci, venti volte.
Intorno a me soltanto l'assordante rumore del silenzio.
Mi voltai, guardando l'uomo che ancora teneva in mano il coltello sporco di sangue. Lui mi fissò ancora con quello sguardo intenso e pieno di un qualcosa che non saprei descrivere con le parole. So soltanto che ebbi talmente tanta paura che trovai la forza per uscire dal locale,
indietreggiando e urtando contro sedie, tavoli e tutto ciò che era alle mie spalle. Con grande stupore mi resi conto che l'uomo sporco non tentò di uccidermi, né di fermarmi come invece supponevo, così non appena fui fuori dal Caffè mi allontanai.
Ero talmente a pezzi da non avere neanche avere la forza di mettermi a correre. Completamente stordito, non mi diressi verso la stazione, ma tornai a casa mia.

L'indomani ebbi modo di leggere l'articolo di cronaca riguardante l'omicidio del barista. Capii il perché di quel gesto e, soprattutto, perché ci fosse un odio tanto profondo nello sguardo di quell'uomo, nello stesso momento in cui, stringendo nelle mani tremanti il giornale, lessi queste parole: “Vittima dell'usura uccide il suo strozzino.”

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