sabato 30 maggio 2020

CACCIUCCO DI NATALE di Carlo Banchieri


Quel giorno c'era, nella città di Livorno, battuta dal vento pungente di grecale, una folla di gente che si era riversata in strada fin dal mattino presto.
Intorno alle undici, scivolò in strada anche Erino Barlacchi, un tipetto smilzo nato e cresciuto sul Voltone, che non voleva perdersi assolutamente niente di quella Livorno da cartolina, immersa e sospesa nel tempo e nella magia del clima natalizio. Per lui non c'era niente di meglio che incontrare amici e conoscenti mentre correva in sella alla sua bicicletta, sentire gli usci che si richiudevano alle sue spalle al ritmo delle pedalate, rapire estasiato l'odore del pane caldo appena sfornato, assorbire sguardi, fare sue le voci e anche quelle urla talvolta un po' sguaiate, ma genuine, tipiche del popolo labronico.
“Vieni, de! Ci sei anche te!? Bongiorno, Erino!”
Con un sorriso fiero stampato sulla faccia, in sella alla sua mitica Bianchi coi freni a bacchetta, se ne andava verso il Porto per comprare un po' di pesce per il suo Cacciucco di Natale, guardando a destra e sinistra nella trepidante attesa che intorno a lui succedesse “qualcosa di ganzo”.
Beh, una cosa è sicura: la vita a quel tempo era dura per tutti, in giro c'era tanta miseria e si viveva con poco. A volte però alla gente capita un po' di fortuna e quel giorno, alcune delle persone coinvolte in questa storia, ne ricevettero proprio una bella porzione.
Tutto ebbe inizio quella mattina del 24 dicembre 1946.
L'aria era fredda, pulita e mordace e già dalle prime ore del mattino decine di pescatori erano intenti a rifare le reti e a vendere le cassette con il loro prezioso pescato. I bimbi giocavano tra loro nei dintorni scambiandosi con gioia arance e caramelle.
Il clima natalizio si respirava appieno, decine di addobbi variopinti adornavano le vie, l'omino delle caldarroste che già a quell'ora preparava la brace per cuocere le sue calde prelibatezze sotto ai Quattro Mori, mentre un via vai di gente riempiva la piazza antistante e sembrava che fosse un vero e proprio formicaio. Vocii, risate e tanti rumori che si miscelavano trasformandosi in un divertente e simpatico brusio.
Sarà stato perché il Natale era ormai alle porte, ma si capiva subito che era una mattinata particolare, diversa da tutte le altre.
Il giorno prima, infatti, era accaduto qualcosa e ormai, di quello che era successo, i livornesi del Voltone e quelli dei quartieri limitrofi lo sapevano già un po' tutti.
Intendiamoci. Per loro non era una novità che tra pescatori, di quando in quando, ci fosse qualche litigio o battibecco e, di sicuro, la cosa sarebbe finita lì e ognuno sarebbe tornato a farsi i fatti propri se un ciàccione del calibro di Mario Ruffini non avesse insistito nel voler raccontare a chiunque incontrasse, dal giorno prima a quella parte, la scena alla quale aveva assistito.
Quando incontrò Erino, nei pressi di via della Madonna, in pratica, per riassumere, gli raccontò la storia più o meno così.
“Boia de'! Quer caìcciolo di Nedo Lenzi, di mattinata, s'era appena scolato du' gotti di vino a garganella e subito dopo è andato sur muso a un pescatore di Borgo Cappuccini, che tutti conoscono come “il pescatore di 'arta”, per via del fatto che è uno che piglia foo e s'incazza facirmente, e che tra l'altro è anche più o meno ir doppio di lui, accusandolo di aver fregato la
su' moglie vendendole del pesce che 'un era fresco. Allora senti, Erino... mi segui, no? Ir pescatore di 'arta n'ha dato subito un gollettone per levarselo di torno. Nedo è cascato in terra
ma s'è rialzato al volo e, invece di levassi di 'ulo, l'ha guardato col suo classico muso a
piccozzino4, ha preso un legno che era lì da una parte e n'è sartato addosso esclamando: “Boia
de'! O be' o affoga'!”
A parte che il racconto fece divertire molto Erino, come molti altri, non ci trovò niente di
strano.
Infatti, tra sé e sé, pensava: “Mah! ' O cosa sarà mai successo? Una sana scazzottata? O cosa
v'òi che sia? Du' gollettoni dati bene? De! Tra 'omini è così che si fa!”
“De'! Ma 'un è mi'a finita vi'!” continuava Ruffini.

E così Erino si sentì dire che, in tutto quer popò di canaio, uno dei suoi migliori amici del
tempo, Saverio Mainardi, aveva afferrato una cassetta di pesce appena pescato e se l'era data a
gambe imboccando via Napoleone in direzione proprio della Piazza del Voltone.
“Ma ti rendi conto, Erino?” diceva ancora il Ruffini, agitando il berretto che aveva in mano.
“Mi rendo conto, sì! O cosa gli sarà saltato in mente a quer Mainardi lì!?”
“Ben detto, Erino! Ha fregato ir pesce, oltretutto, ar pesciaiolo più cattivo di tutti! Quello 'un te
le manda mi'a a dì! Se lo vedi devi fallo ragiona'... sennò quando il pescatore di 'arta lo ribecca
gliela fa paga' di si'uro!”
“Certo, Mariolino, certo...” rispose Erino che, per qualche motivo aveva smesso di sorridere.

“Allora se lo vedo glielo dico, va bene?”
“Bravo, Erino, pensaci te!”
“Ovvia... ci si vede!”
“Bona...!”
Erino si allontanò pensieroso, incamminandosi verso casa sua, sul Voltone e in baleno tornò a
farsi trasportare da quello che c'era d'intorno.

Le signore che portavano sottobraccio coloratissimi pacchi confezionati, gente che andava in su
e in giù, uomini davanti alle osterie a bere ponce caldo, bimbi sorridenti che rincorrevano
trottole di legno agli angoli di ogni strada. Tutte queste immagini gli si paravano davanti, ma
c'era una cosa che proprio non riusciva a togliersi dalla testa e continuava così a rimuginare.
Perché di tutti i personaggi strampalati che popolavano Livorno a quel tempo, il pescatore di carta
sembrava proprio essere anche piuttosto pericoloso. Se avesse scoperto che a rubargli il pesce, per la precisione capponi e gallinelle, era stato il suo amico Mainardi, e lo avesse scovato, quel
disgraziato ne avrebbe toccate di sicuro!

Però... questo pescatore di 'arta doveva essere proprio un bell'aggeggio!
Dovete sapere che a quel tempo Livorno era ancora come un grande paese in cui ci si
conosceva tutti e certi personaggi diventavano storie, poi leggende e poi parte viva e sentita del
cuore della città.

Per esempio, fino a qualche anno prima, un certo “Seme” era solito andare a vendere le seme
lungomare bisbigliando strane parole per poi urlare, alla fine: “Seme!” Tutti lo conoscevano e
gli volevano bene.

Poi c'era l'irriverente “Rosso”, che fino a prima della guerra dava cocomeri davanti alla casa del
Fascio in zona stazione. Gridava sempre “Rosso!”. E anche se si riferiva al cocomero, tutti
sapevano che aveva anche altre “ragioni” per urlare quella parola. Così, veniva costantemente
richiamato all'ordine. Ma i livornesi lo capivano e volevano bene anche a lui.
Di personaggi ganzi, credetemi, ce n'erano davvero a bizzeffe.
Il pescatore di carta era proprio tra questi e non era famoso solo per via del suo caratteraccio, ma anche perché, di tanto in tanto, coniava qualche perla di saggezza che sarebbe poi passata alla storia. Ad esempio, una volta disse: “Mi fa male ir piede... sarà meglio chiama' un piediatra?”
Un'altra volta, ad una signora che esclamò: “Ah se avessi i quattrini per comprare tutto questo ben di Dio...” lui le rispose, cercando di darsi un tono e con una certa prosopopea: “De', se ce l'avevassi anch'io, magari ero io Dio!”
Erino ci pensava spesso, a certe persone o situazioni che colorivano e caratterizzavano la città labronica. Avrebbe eretto una statua per ognuno di loro!
Perché dovete sapere che in fondo, se non fossero esistiti i livornesi a rendere speciale Livorno, nonostante il mare e tutto quello che c'era di bello, sarebbe potuto andare a vivere in qualsiasi altra città e non ci sarebbe stata molta differenza.
In effetti, Livorno è sempre stata rappresentata dalla schiettezza, dalla simpatia e dal cuore degli stessi livornesi. Questo è quanto.
Pensate un po' voi, poi, sotto Natale... ma che aria genuina si poteva respirare!?
Comunque ripensando a tutte queste cose, Erino se ne stava tornando verso casa, sul Voltone, dove, finita la guerra, si era nuovamente trasferito da via del Littorale.
Nel 1946 molto a Livorno cambiò.
Le cose erano molto diverse da quando aveva lasciato il suo vecchio quartiere, molti anni prima. Ad esempio, proprio da quell'anno in poi, la piazza che tanto amava avrebbe cambiato definitivamente il suo nome in “Piazza delle Repubblica”. Da quell'anno in poi molte cose si sarebbero trasformate per sempre, ma tante altre sarebbero rimaste tali e quali.
Il fatto che fosse cambiato il nome della piazza, per lui e per molti livornesi non faceva alcuna differenza. Siccome quel nuovo nome non piaceva, in giro avrebbero continuato semplicemente a parlare di Voltone.
Comunque, quel giorno, aveva anche cose serie a cui pensare. Un cacciucco non lo si poteva mica cucinare quando pare e piace e quindi sarebbe stato un Natale meraviglioso perché quella volta, finalmente, aveva tutto ciò che gli serviva!
Il polpo, le seppioline, un bel palombo e le cicale di mare l'aveva già recuperate il giorno prima. Anche nel 1946, come durante la guerra, il pesce povero, quello che avanzava, si poteva trovare in tarda mattinata, una volta che i pescatori avevano finito di vendere i pesci più ricercati.
Con gli avanzi ci si poteva fare il cacciucco, il piatto livornese più buono di tutti.
Si prospettava proprio un cenone coi fiocchi!
E così, Erino era passato a prendere tutto l'occorrente per cucinarsi un buon cacciucco. Gli mancava qualcosina, come ad esempio il cappone, ma sarebbe venuto comunque bello saporito.
Avrebbe fatto con quello che aveva e non aveva alcun dubbio che qualcosa di buono sarebbe venuto fuori lo stesso. Avrebbe cucinato proprio un bel piatto per sé e per sua moglie.
Era sicuro che sarebbe stato tutto perfetto. Lei sarebbe arrivata, salendo le scale, in quella gonna lunga e pieghettata e quel corpetto stretto a mettere in risalto i suoi fianchi. Un fazzoletto colorato sui capelli a dare luce al suo bel viso.
Lui le avrebbe dato un bel bacio e... “Pss!”
Mentre Erino saliva le scale e stava per infilare la chiave nella toppa qualcosa attirò la sua attenzione.
“Pss... Erino...!”
Riconobbe la voce del suo amico Mainardi che lo chiamava, bisbigliando.
“Saverio! Caa ci fai vì?”
“Eh, cosa ci fo'...”
“'Un lo voglio nemmen sape'!
“E dai Erino... t'ho portato un regalo!”
“Un regalo? Te a me? Bella fia!”
“È pesce... pesce bòno...”
“Ma sei di fòri? Ma cosa c'hai nel cervello? Un paletto?”
“De' senti, Erino. Io 'un lo so cosa m'è preso. Quando quelli lì si leti'avano, con la miseria che
c'è oggigiorno... de ho preso la 'assetta di capponi e gallinelle e ho cominciato a corre'. Non se ne sono nemmeno accorti!”
“Se ne sono accorti sì! Ma lo sai che il pesciaiolo ti cerca?
“Non lo sapevo, no...”
“Ah no? E allora perché giochi a rimpiattino?”
A quel punto, Erino si rese conto che l'unica cosa sensata che avrebbe potuto fare, era di
nascondere le prove di quella malefatta e così, senza peritarsi9 per nulla, invitò il suo amico ad
entrare in casa. In fin dei conti, era Natale e qualcuno lassù l'avrebbe perdonati di sicuro!
Potete immaginare tutti quanti che cosa successe poco dopo.
E allora, eccoli insieme a buttare i porpi e le seppie in un tegame. A seguire ir palombo e pesci
belli liscosi come ir cappone, ir pesce prete e la gallinella. Poi le cicale e le cozze. Pane tostato e
agliato, pomodoro... e via!
Cacciucco alla livornese per tutti, quella sera a casa Barlacchi! Un Natale... da favola!

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