mercoledì 30 settembre 2020

UNA SPECIE DI BANDIERA di Deborah Foss

“Dopo la Messa devo parlarti, Gianni,” gli aveva detto don Franco aggiustandosi al millimetro la stola sul petto. Il tono solenne lo aveva turbato: per tutta la cerimonia si era mosso fuori tempo e aveva dimenticato di portare le ampolline sull’altare.

Quando entrò in sacrestia, don Franco stava riponendo i paramenti e non si accorse di lui. Gianni strisciò le scarpe contro il pavimento e tirò su col naso, infastidito dall’odore di mobili vecchi e incenso.

“Bravo, sei arrivato,” disse don Franco chiudendo l’armadio. “Immagini perché ti ho fatto venire?”

Gianni mise le mani in tasca. “Perché?”

“Tra due settimane inizieremo le celebrazioni per Maria Ausiliatrice, la nostra santa patrona.” Don Franco fece una lunga pausa. “Tocca al chierichetto più vecchio portare il Cristo in processione.”

Gianni alzò gli occhi e li piantò in quelli di don Franco: “Tocca a me?”

Il sacerdote allargò le braccia e sospirò. “Secondo la tradizione. Ma dimmi: te la senti?”

La mente di Gianni già proiettava la scena di lui alla testa del serpentone di gente lungo le vie del paese. La nonna gli avrebbe allungato una bella mancia e mamma e papà si sarebbero calmati per un po’. “Sì, non c’è problema.”

“Vedi, figliolo, tenere in alto il Cristo per un’ora richiede dedizione e impegno.” Don Franco accarezzò il catechismo sul tavolo. “E poi, nel momento del rientro in chiesa, bisogna seguire un determinato percorso, stare eretti in un certo modo.”

“Non c’è problema” ripeté Gianni cercando di coprire il rumore dello stomaco che brontolava per la fame.

“A dire la verità, ho un altro dubbio” disse don Franco. Si avvicinò e appoggiò a fatica una mano sulla spalla di Gianni: “Sei troppo alto.”

 

“Ehi! Ti hanno mangiato la lingua? Cos’hai?” Erica si piantò davanti a lui, costringendolo a fermarsi. “È da quando siamo usciti da scuola che non parli.”

Gianni la guardò. Quando qualcosa non le andava a genio, i suoi ricci sembravano accovacciarsi sulla testa pronti a fare un salto. “Quest’anno porto io il Cristo in processione.”

“E non sei contento?” chiese Erica appoggiando i pugni sui fianchi.

“Don Franco pensa che non sarò capace” disse Gianni guardando il cielo settembrino come a cercare qualcosa. “Gli ho promesso che andrò a tutte le prove, e alla fine l’ho convinto.”

“Non capisco che prove servono...in fin dei conti devi portare in giro una specie di bandiera” disse Erica con un’alzata di spalle e riprese a camminare. “Lo sai che non ci sarò, vero?”

“Non sei mai venuta, perché dovresti proprio questa volta?” disse Gianni osservandola con la coda dell’occhio.

Erica schioccò la lingua e si passò le dita tra i capelli.

 

Il campo intorno alla chiesetta di San Pietro bisbigliava di voci in attesa. La luce delle candele illuminava il mento e il naso di centinaia di persone pronte a seguire la statua della Madonna fino alla chiesa parrocchiale.

Gianni tirò la tunica lungo i fianchi e si guardò le gambe: i jeans spuntavano fuori per trenta centimetri buoni, nonostante la mamma avesse scucito l’orlo della veste.

“Sei pronto?” gli chiese don Franco toccandogli il braccio.

Gianni annuì e afferrò la croce massiccia che don Franco gli porgeva. Gli sembrò più pesante del solito e quando la sollevò come aveva imparato, sentì una fitta alla spalla.

Al cenno di don Franco, Gianni imboccò la strada che, attraversando viuzze, slarghi e piazzette, portava al centro del paese. Le case erano rischiarate solo dai ceri sui davanzali, perché tutti gli abitanti erano in fila dietro di lui. Tutti a parte Erica.

Doveva rimanere concentrato sul percorso, nonostante il dolore alla spalla e il sudore che colava dietro le orecchie e lungo la schiena. Il vento tra i vicoli gli consegnava gli ordini di don Franco: “Abbassa!”, “Svolta!”, “Rallenta!”

Quando salì l’ultimo gradino della chiesa, fece un profondo respiro e finalmente poté voltarsi per ammirare la folla punteggiata di fiammelle. Era stato lui a condurla fino là e ormai mancava solo lo spazio della navata.

A un certo punto sentì il Cristo scivolare giù, allora lo sollevò subito spostando le mani più in alto, su una parte asciutta del legno. Ma quando imboccò il portone della chiesa, si sentì sbattere avanti e indietro, mentre un colpo secco rimbombava nella piazza facendo ammutolire la gente. Gianni rimase immobile e chiuse gli occhi. Maledette gambe lunghe, l’avevano beffato proprio all’ultimo passaggio.

Riaprì gli occhi, piegò le ginocchia e oltrepassò l’arco, mentre dietro di lui i fedeli entravano lentamente intonando il canto per la patrona.

Mentre percorreva la navata, si sentì chiamare: “Gianni! Gianni!”

Si girò e la vide. 

Nessun commento:

Posta un commento