mercoledì 30 dicembre 2020

IL CUORE SANGUINANTE di Monica Capomonte

Maagnificaaat. Anima meee-a Dominuum. La mia voce si nasconde tra le altre del coro della chiesa. Il sabato pomeriggio le prove, il sabato sera praticamente solista alla messa dei vecchietti, in pompa magna la domenica alle dieci e trenta. Chiesa di San Francesco d’Assisi al Vomero, ovazione da stadio da parte dei miei parenti che giurano di riconoscere la mia voce tra altre trentuno. “L’unica intonata Moni’, li trascini proprio!”. Non ci credo, neanche se ho tredici anni, ma se faccio la brava poi zia Alba mi dà ventimila lire. Che se poi si scorda di avermele date, sono altre ventimila dopopranzo, totale quarantamila, che mi mette davanti a Palanca, Krol e Dirceu tra quelli più ricchi che abitano a Napoli. Siamo in epoca pre- Maradona, per capirci. Nonostante questo, al giorno d’oggi ho ancora 42 anni. Misteri della Fede, come il sangue di San Gennaro.

Ci sono passata, qualche mese fa: era vuota, eppure la terribile quarantena è finita. Una settimana prima, ho visto su Youtube gente che si lamentava per le chiese vuote, oggi che si può andare non ci va nessuno. Neanche zia Alba ancora viva, a colpi di ventimila lire riuscirebbe a riempirla. Così va il mondo, diceva mio cugino Gino. E come va? Domandava Alba. Pausa. Male. Ecco come. E Gino si rimetteva a leggere il giornale.

Fa freddo, è quasi sera. Oddio, freddo a Napoli non è che sia proprio rispondente a realtà. Per una come me che vive da 28 anni in Galles poi, non scherziamo.

Sì, 28 anni in Galles, 42 anni di età. Ci sono andata a 14 anni, va bene? No, non va bene. Non torna.

Riproviamo.

Per una come me che vive da 12 anni in Galles, non scherziamo.

Meglio.

Dicevo: è quasi sera. Ci sono luci, festoni inutili che illuminano il marciapiede vuoto. Entro nella chiesa con la facciata rosa illuminata, bifore e nicchie ognuna con la sua lucina, come un presepe gigante. D’altronde siamo a Napoli. Dentro è grande, ma me la ricordavo enorme. Non c’è nessuno dicevo. Il cuore sanguinante di Cristo vicino all’altare, splende nel riflesso delle candeline elettriche. Non l’ho mai capito davvero come sia saltato in mente di ideare un’immagine come quella, secoli fa. Un cuore sanguinante trafitto con un coltello, e sotto nel dipinto addirittura un piccolo secchio dorato a raccogliere il sangue colato giù. Il cuore è tipo quello dello dei cartoni animati e dei disegnini dei bambini, poi però c’è il coltello che riporta alla cruda realtà. Sì, il cuore trafitto è redenzione, l’espiazione dei peccati e compagnia bella. Si ricorda quanto accaduto al momento della crocifissione, la lancia nel costato di Cristo. Ma è anche e soprattutto qualcosa di simbolico e forse nella lingua greca in cui furono scritti i vangeli tutto suona molto suggestivo e affascinante. Però, più osservo quella scodellina col sangue che raccoglie quello che scende dal cuore trafitto dal pugnale e più mi sento a disagio. Saranno tutti quei tatuaggi che si vedono nei film addosso agli avanzi di galera, tra una pistolettata e un’altra. Ma anche quando avevo tredici anni mi faceva impressione, quando mi sistemavo sulla pedana di pietra accanto a quella spilungona di Michela (lei non aveva bisogno della pedana) e ci mettevamo a cantare. Poggiavo sempre una mano sul cuore, non per motivi patriottici come quando i calciatori cantano l’inno nazionale, ma per proteggermi dalla coltellata che ero sicuro mi sarebbe arrivata se avessi fissato troppo a lungo il cuore sanguinante.

E così, tanti anni dopo (non così tanti, ho solo quarantadue anni) mi ritrovai a cantare. Da sola, in chiesa, fissando le panche vuote. Fossimo in una storia di fantasmi, zia Alba comparirebbe dal nulla, in una nuvola vaporosa. Ma io non sono Dickens, e per di più siamo al Vomero.

Maagnificaaat. Anima meee-a Dominuum.

“E brava, Moni’… si sentiva solo te.”

D’un tratto sento un gran freddo, ficco le mani nei tasconi del cappotto e faccio per allontanarmi. Non prima però di sentire tra le dita, il fruscio di qualcosa nella tasca.

Ma certo, le ventimila lire. Grazie zia, non ti sei scordata.

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