mercoledì 30 dicembre 2020

IL NATALE DEL COMMODORE 64 di Riccardo Ventrella

I Natali (comincio subito con un plurale anomalo) si ricordano sempre per qualche fatto particolare ad essi associato: ad esempio, per lungo tempo li ho associati a due di picche e fregature assortite raccolte da me nell’universo femminile – cosa che mi ha portato per lungo tempo a schivare le atmosfere tipicamente festive di quel periodo – in numero talmente considerevole da costituire una vera e propria serie statistica. Il Natale del 1983, scevro dagli inconvenienti predetti, fu sostanzialmente memorabile per due motivi: l’uscita al cinema di Vacanze di Natale e il Commodore 64. Il film, in realtà, lo vidi subito dopo: era il 27 dicembre, cadeva di martedì, e in un cinema che non rammento (talmente tanti ne sono stati chiusi) andai al primo spettacolo della sera, eccezionalmente in motorino il cui uso serale mi era solitamente precluso. La cosa che ricordo meglio è lo stupore per il fatto che lo scalcinato Motobi ripartisse al secondo colpo di pedale dopo la proiezione; il mito di quella pellicola era ancora in me, giovane Gugliemo Meister, in incubazione e divenne enorme col passare degli anni. Erano temperie affollate di luci decorative, che si spandevano anche nelle periferie più remote: erano quegli Ottanta che, se non li hai vissuti, che te lo scrivo a fare?

Del VIC20 sentivamo parlare già da moltissimo tempo: alcuni amici ricchi lo avevano, e permettevano a noi proletari di toccarlo di quando in quando. Il primo era stato uno al quale lo aveva portato il compagno della madre, medico, che lo aveva preso negli Stati Uniti. Passavano di mano in mano riviste di informatica acquistate a caro prezzo in edicola delle cui pagine si fingeva di capire qualcosa. Era una strana fascinazione, di un mondo in piena evoluzione numerica che prometteva mirabilie (e non c’erano nemmeno donne nude, beninteso).

In quello stesso 1983 si sparsero, però, incontrollate voci dell’uscita di un nuovo modello, molto più potente e con mostruose capacità di programmazione, chiamato Commodore 64. Divenne in breve come il Graal: si seppe che il cugino del cugino di un amico ricco lo aveva avuto in regalo, ma la cosa non era sicura né fu mai confermata in seguito. Avvicinandosi la ricorrenza, il Graal si trasformò in uno degli oggetti più desiderati, e introvabili allo stesso tempo. Le famiglie degli amici ricchi si imbarcavano in perigliose spedizioni per ottenerne uno, o mobilitavano sempre più altolocate conoscenze – assessori, capi dipartimento, sottosegretari e cardinali vari – per accaparrarsene uno da piazzare sotto l’albero dei loro rampolli, tutti ovviamente dotati di fiammanti Fifty e non certo di scalcinati Motobi. Come un personaggio di Dickens assistevo impotente a questi maneggi, desideroso e insieme tragicamente conscio dell’impossibilità materiale di giungere, almeno in tempi brevi, a mettere le mani sul Graal. Così impostai per quel Natale una dimensione parallela nella quale ero beneficato nella santa notte da quel dono, che splendeva nelle mie mani come una daga mitica e vindice. Buttai qualche seme in casa, senza speranza, ma nella convinzione che i semi sono resistenti e germogliano a distanza di tempo.

Ebbi in dono per quel Natale il previsto paio di sci nuovi, che mi lasciò contento ma con quella piccola malinconia. Per un momentaneo sussulto della giustizia proletaria, destatasi da lungo sonno, nessuno degli amici ricchi riuscì ad accaparrarsi il Commodore 64: chi già non lo aveva, ripiegò sul molto più economico VIC20, ma fu una specie di Waterloo. Tanto feci e tanto brigai, che dopo qualche mese di attesa perché proprio non se ne trovavano ebbi il mio personale C64: che ancora vive e lotta insieme a noi, così come il buon caro vecchio Natale.

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