mercoledì 30 dicembre 2020

TAGLI di Andrea Mitri

A pensarci bene fu quella ferita a cambiargli la vita.

Che altrimenti sarebbe rimasto per sempre un mezzo teppistello destinato a lungo andare ad incappare in un qualche arresto prevedibile per spaccio o, peggio, ad incastrarsi in un giro più grande di lui dal quale non sarebbe più riuscito ad uscire.

Quel taglio profondo, invece, allungato per dieci centimetri lungo la coscia, aveva avuto il potere di scatenare in lui un talento che nemmeno lontanamente avrebbe potuto immaginare. Di cui doveva essere grato, in parte, anche al marocchino che lo aveva accoltellato.

Non se n’era accorto subito, del collegamento tra il taglio e la capacità di vedere in un’altra dimensione parallela.

Nel primo periodo infatti aveva attribuito le visioni all’abuso di anti dolorifici ed al mescolio che ne faceva con la grappa realizzata da suo nonno, conservata neanche poi tanto segretamente in un armadietto, di fianco al vecchio mobile giradischi della Grundig, nella stanzetta in cui trascorse la convalescenza.

Ma quando il prodotto alcolico venne spostato in un nascondiglio del tutto sconosciuto, egli si rese conto che il Voltaren, anche da solo, continuava a presentargli facce di passaggio, accadimenti, incomprensibili voci. Smise pertanto di ingurgitare anche quello, nel tentativo di liberarsi di quelle presenze che invece, quasi subito, divennero ancora più nitide.

Non gli riuscì, all’inizio, di dare però un nome a tutte quelle persone che sembravano a volte quasi aggredirlo, venendogli fin sotto il mento a sussurragli qualcosa che non riusciva ad afferrare. Gli scivolavano via dagli occhi in un attimo, con la stessa velocità con cui erano apparsi, lasciando lo spazio ad altri apparenti questuanti.

Fu in un giorno di pioggia, qualche mese dopo, mentre sedeva al bar in disparte, che sentì, all’avvicinarsi della solita cameriera, una fitta fortissima all’altezza della ferita. E per la prima volta, una di quelle facce, distintamente gli permise di udire la propria voce.

- E’ sotto al divano, in un sacchetto di plastica – gli sembrò giusto di ripetere alla cameriera che lo guardò con fare stupito- Intende la lettera, quelle che cercavi l’altra notte mentre piangevi-

La donna rimase un momento interdetta. Poi si allontanò velocemente, lo sguardo preoccupato, come se la cordiale professionalità con cui cercava di governare il suo giornaliero incontrare le persone avesse subito una lacerazione irreparabile.

La ritrovò all’uscita, dopo qualche minuto, una sigaretta accesa in mano che lentamente si disfaceva senza essere aspirata e le labbra rinserrate in un inutile tentativo di soffocare il pianto.

- Va tutto bene – disse lui – E’ tutto spiegato lì dentro. E ci sono anche le password del pc. E del conto in banca-

Mentre la donna si accasciava piangendo sulla sua spalla sinistra, il dolore alla ferita, improvvisamente si era lenito.

Accadde da allora molte altre volte che la ferita gli dolesse in maniera insopportabile in presenza di una qualche persona e che contemporaneamente una visione del futuro, un ricordo del passato o un messaggio non recapitato si stagliassero nitidamente nel caos in cui il suo cervello di colpo sprofondava.

Divenne “il visionario del Bar Giannini”.

La gente faceva la coda davanti al bandone chiuso fin dalle quattro del mattino, nel tentativo di essere tra i primi ad essere ricevuti da lui quando alle 9.30 entrava a fare colazione. Perché essere i primi voleva dire avere possibilità maggiore di riuscire a sintonizzarsi, visto che come d’improvviso il dolore alla ferita arrivava, così altrettanto d’improvviso poteva nel corso della giornata sparire e non tornare più fino al giorno successivo.

Nel tempo, tra le altre cose, predisse una vittoria alla lotteria ad un fruttivendolo di Via Boccaccio, sciolse nel pianto il dolore per la perdita del figlio ad una trentaduenne di Lissone, annunciò il crollo del ponte sulla Statale 26. Ma anche quando riportava al questuante visioni banali, ricostruibili anche da un qualsiasi sceneggiatore di film di serie B, gli pareva all’uditore che già solo questo essersi sintonizzato con un altro mondo parallelo, portasse nella propria vita una leggerezza sino ad allora soltanto immaginata.

Divenne ricco.

Di denaro, di storie, di affetti inaspettati. Di sorrisi regalati, di lacrime condivise e di delusioni mitigate. Del bello e del brutto, entrambi necessari, che la vita altrui poteva dispensargli.

Fino a quando la ferita non gli fece più male.

E capì che era guarito. Che il suo malessere originario si era dissolto nella comprensione degli altri.

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