mercoledì 30 dicembre 2020

TERESA A SIENA di Sabatina Napolitano

I genitori di Teresa si erano conosciuti ad un reading di poesia, entrambi non amavano David Bowie, anche se lui amava un certo genere rock, ma adoravano stare insieme ore ed ore in biblioteche. Ne avevano girate diverse negli anni: erano stati a Parigi, Chicago, e New York. «Che ne dici se ci sposiamo?» un giorno le disse lui, mentre teneva tra le mani le foto di un poeta morto. Erano stati da poco al suo funerale e non solo per questo avevano deciso di sposarsi. Il matrimonio sarebbe avvenuto in gran segreto senza invitati, lui le avrebbe messo l’anello nuziale e lei lo avrebbe guardato dall’alto di una scala. La prima notte di nozze la mamma indossava una elegante vestaglietta di pizzo con ricami bianchi e anche lui si sentiva elegante e teso, la casa era vuota e nell’altra stanza c’era un dipinto di Ulisse alla parete, una stampa regalata da un poeta, uno ancora vivo. Il papà di Teresa decise di trasferirsi a Siena nonostante nella sua vita avesse girato il mondo, visitando decine di capitali europee. Quando il papà prendeva per mano la moglie, lei scioglieva le sue angosce e le paure nella pelle morbida: per molti anni si erano solo desiderati ed ora che potevano stare insieme niente sembrava realmente dividerli. Il passato che avevano vissuto separati sembrava loro davvero insostenibile, ora che l’unica pace che poteva esistere era quella della convivenza. Gli anni dell’assenza non avevano ragion d’essere, anzi era meglio dire che ogni atto era stato un atto di offerta all’altare delle vittorie, strategie dei due amanti che non volevano far altro che scavarsi internamente fino a potersi vivere in un progetto di senso. «Ogni tuo bacio è per me un armistizio», le diceva lui innamoratissimo ma ancora sfuggente e misterioso. Nel resto degli anni lei non fece altro che entrare più a fondo nella sua aura sfuggevole e soffiarci sopra insieme a un amore immenso per gli affetti, la famiglia e per il futuro che ogni giorno nella vita quotidiana li attendeva. Si sposarono un caldo giorno di metà luglio in una piccola chiesa lontana dagli occhi di tutti, gli orologi battevano le dodici. C’erano pochissime persone. Quando lei uscì dalla chiesa, il vento le mosse il velo, scoprendo gli occhi luminosi e curiosi: la mamma era felicissima. Anche il papà si voltò verso di lei e abbracciandola con la sua sinistra la trattenne per baciarla. Con l’altra mano la accarezzo piano e leggero. Siena in quei giorni era una città lenta così il papà di Teresa portò la mamma a Venezia per la luna di miele. Non c’era nessuno a guardarli e il papà amava quella solitudine sconosciuta, chiudeva il cellulare per giorni interi, si isolava dal mondo per dedicarsi alla mamma. Una volta in albergo posava la borsa sul divano e spegneva la luce con l’interruttore, lo guidava nei gesti il profumo e il sapore della moglie. Dopo il matrimonio si guardavano per giorni senza dire niente, soprattutto lui la guardava mentre seduto disegnava qualcosa su un foglio. Chiuso nella sua barba nascondeva un sorriso continuo e una pace senza pari. Per la luna di miele erano stati anche a Firenze, e a chiusura del cerchio avevano girato insieme tutti i musei di Siena. La mamma scrutava ogni passo del marito, studiava ogni gesto per avvertirne meglio i cambiamenti, era attenta e generosa. La mamma di Teresa era una scrittrice e stava scrivendo un nuovo romanzo, col romanzo riusciva a giustificare la vita insieme al papà, continuamente, così il papà non si sentiva mai solo ed anzi era stimolato, si sentiva nuovo e amato. Il loro amore era una testimonianza importante come un intervento meraviglioso nei fatti e nelle cose del mondo. Si amavano con senso del sacrificio e della ricompensa. Siena faceva da sfondo alla loro parabola, signorile e orgogliosa. Tutti riuscirono a scorgere anche nel progetto della loro passione il fascino di una intuizione preziosa: combinarli diversamente li avrebbe resi soli e peggiori, perciò insieme tenevano una narrazione importante e riuscivano a governare energie continuamente nella direzione della vita. La prima volta che papà mi portò all’università avevo nove anni, erano gelosi i miei di mostrarmi in pubblico e mi dicevano di conservare sempre delle strategie per i miei progetti. Io già da piccola desideravo affermarmi in famiglia, ma raccontandomi mi rendevo conto di essere una bambina folle a volte e che era meglio per me restare una bambina buona fin tanto che non avrei cominciato le medie e mi sarei potuta spingere ad andare in giro da sola con le amiche. Siena era una città sobria, che non si poteva immaginare bisognava viverla per raccontarla. Tutti i miei amici erano degli insensibili e preferivano passare ore davanti al pc anziché leggere. Io da quando avevo imparato non riuscivo a smettere. E preferivo le favole, le trovavo liberatorie. Un giorno di maggio mamma mi fece trovare un libro di favole sulla scrivania, l’aveva scritto lei per me non ne sapevo nulla: fu un dono che mi ha ispirato sempre. Amavo la mamma era una donna giusta e sobria e mi sorrideva sempre, ad ogni ora del giorno. I miei amici a scuola erano gelosi che avessi una mamma così bella, anche papà era geloso della mamma. Lui però non alzava mai la voce, quando erano arrabbiati semplicemente non parlavano e io mi accorgevo dai loro sguardi che avevano litigato, ma poi da come si sorridevano capivo che avevano fatto pace. Amavo molto gli USA e volevo imparare a parlare presto l’inglese così mi facevo insegnare da papà e gli chiesi anche di mettere nella mia stanza una bandiera degli Stati Uniti. La mamma preferiva che io parlassi francese, alla fine a Natale mi portarono a Parigi quando ho compiuto dieci anni, passare il mio compleanno in aereo è stata una esperienza completa, mi sentivo felice. I miei non volevano che altre avessero la meglio su di me, mi avevano insegnato a difendermi, a volermi bene e a parlare presto come una bambina colta.

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