mercoledì 30 dicembre 2020

UNA CENA SPECIALE di Stefano Ficagna

Della sua famiglia sapeva alcune cose. Che erano ricchi, innanzitutto, e sofisticati. Era naturale che fosse assalita dall’ansia all’idea di conoscerli, ma lui la rassicurò. «Piacerai sicuramente a tutti».

Si frequentavano da sei mesi. All’inizio pensava che quella ritrosia nel presentarla fosse dovuta alla vergogna. Era la figlia del panettiere, una qualsiasi, non poteva certo competere con le donne che avrebbero dovuto ronzargli attorno. Donne con una storia, una cultura, un patrimonio.

Lui aveva riso di quei timori. I suoi erano all’antica, ci tenevano a essere sicuri che la futura nuora avrebbe resistito alla prova del tempo. «Temono che, per la mia giovinezza, non sappia prendermi un impegno serio».

La baciò teneramente. «Io so cosa voglio, e sei tu».

I genitori abitavano nel castello in cima alla collina insieme alla sorella della madre. Quando le parlava di loro ascoltava rapita, pensando che fra quelle persone eccezionali avrebbe finalmente trovato il coraggio per distinguersi.

  La zia era stata una donna all’avanguardia. Chirurga di fama, aveva diretto l’unità coronarica del suo ospedale in un periodo in cui le donne al massimo facevano le infermiere. Aveva continuato a studiare per tutta la vita, dando un grande contributo anche nel settore virologico: il vaccino per una rara malattia respiratoria lo si doveva al suo team.

La madre non era da meno. La sua formazione era stata affidata a educatori privati, a causa di una malattia degenerativa dell’epidermide, ma questo non le aveva impedito di realizzare grandi progetti. Consapevole della sofferenza presente nel mondo, condizione che provava letteralmente sulla propria pelle, si era distinta nella filantropia: eventi benefici, donazioni, associazioni patrocinate e strutture per gli emarginati create grazie al suo contributo.

Lei non aveva conosciuto sua madre, era stata abbandonata senza nemmeno una lettera d’addio. Capiva la venerazione del fidanzato per quella donna, un amore che sfociava nella mistificazione: la associò, una volta, alla fondazione di una residenza per anziani avvenuta due secoli prima.

Solo del padre parlava poco. Era uno studioso, professore d’antropologia all’università, grande viaggiatore. Sviava il discorso quando lei cercava di saperne di più, come se fra loro ci fosse qualcosa d’irrisolto. Sapeva cosa voleva dire avere frizioni in famiglia: si era ribellata a un futuro segnato, abbandonando una vita fatta di notti davanti al forno e giornate dietro un bancone.

Una sola volta si era lasciato andare, una frase detta con noncuranza. «Voglio bene a mio padre, ma non capisce quanto sia faticoso mantenere alto il buon nome della famiglia». Lei non volle approfondire, per non farlo soffrire.

Era bello, ricco, intelligente, lei una semplice operaia, insignificante. Quando si guardava allo specchio non capiva come potesse trovarla affascinante.

Per non sfigurare aveva studiato l’etichetta. Sapeva che le cene ufficiali nella sua famiglia erano costellate di rituali, gesti tramandati da secoli su cui lui non si dilungava. Continuava a ripeterle che non era tenuta a conoscerli, che la sua sola presenza sarebbe bastata, ma questo non bastava a lei. Voleva impressionarli.

La sera stabilita ingoiò la paura, pensando per tutto il viaggio alle posate da utilizzare. Varcato il cancello d’ingresso osservò i grandi alberi che attorniavano il castello: da bambini se ne tenevano alla larga, nelle orecchie le storie dei nonni su sparizioni avvenute lì intorno. All'arrivo capì quanto quelle superstizioni fossero frutto dell’invidia.

Nessuno li accolse all’ingresso. Attraversarono un lungo corridoio debolmente illuminato, le pareti ricoperte dai ritratti di famiglia. I soffitti alti le rimandavano l’eco dei suoi passi.

Lui le aprì la porta del salone. Vide una lunga tavolata, tre figure sul lato più lontano, nell’ombra. Fece qualche passo esitante, pensando a come presentarsi senza sembrare grossolana. Osservò la tovaglia rossa, il candeliere al centro, rimase sorpresa e sollevata nel controllare l’argenteria: c’erano solo i coltelli.

Curiosamente, notò poi, era stato apparecchiato solo per quattro persone.

La porta si richiuse dietro di lei. Il fidanzato le mise le mani sulle spalle, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Non capì subito ma quando vide la famiglia alzarsi e avvicinarsi a lei, finalmente illuminati dalle candele, pensò ai rituali, alle storie dei nonni, alla residenza per anziani e ai viaggi misteriosi del padre.

"Sì, sarebbe proprio piaciuta a tutti."

 

 

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