mercoledì 30 dicembre 2020

IL RUMORE DEL COLTELLO di Deborah Foss

Graziano Torbella aveva imparato a disossare il pollame seguendo centinaia di tutorial su YouTube. I vari animali andavano affrontati in modo diverso: ogni taglio richiedeva una combinazione precisa di forza e angolazione e, soprattutto, il coltello adatto. Così, uno stipendio dopo l’altro, aveva comprato i migliori sul mercato e con l’ultima tredicesima si era preso anche la valigia da chef dove riporli dopo averli lucidati e affilati. Solo se riusciva a vedere la placca sui denti specchiandosi nella lama, poteva metterli via.

Quel pomeriggio si sentiva in gran forma. Aveva disossato la faraona in 60 secondi netti e ora era pronto a farcirla. Il profumo del flan che cuoceva nel forno si mescolava a quello della cipolla fatta appassire nel burro insieme ad alloro, timo e salvia. Graziano annusava il vapore che sbuffava dalle pentole, assaggiava in punta di lingua e annuiva.

Quando, qualche ora dopo, varcò i cancelli della Galvanica Torbella & Figli sperò che gli operai del secondo turno che incrociava nel piazzale sentissero la scia di profumo che lasciava dietro di sé. Timbrò ed entrò nell’ufficio che si affacciava sul magazzino, dove la luce era ancora accesa.

Carlo alzò la testa dal pc. “Perché non sei sul muletto? Il turno è iniziato.”

Graziano schiacciò i pugni nelle tasche. “Domani non posso fare il turno di notte, devo dormire.”

“Poverino, devi dormire”. Suo fratello aveva usato la voce sottile con cui l’aveva sempre preso in giro.

“Devo riposarmi. Ho una gara di cucina.”

 

 

“Ancora con questa storia?” Carlo scosse la testa. “La pianti di farti castelli in aria? Non sei capace di fare niente, pensi di diventare uno...chef?” e rise pronunciando l’ultima parola con la solita vocina.

“Ho un menù imbattibile. E so disossare.”

“Tu fai l’operaio. Non sei tagliato per stare in ufficio, questo l’abbiamo capito, ma in magazzino ci puoi stare, quindi smettila di rompere e vai fuori”.

Graziano affondò le unghie nel palmo delle mani. “Io domani non vengo.”

“Provaci. Verrò a controllare e se non ti trovo, sei fuori. Ti cerchi un altro lavoro, capito? Magari...cuoco nella mensa dei poveri.” E rise facendo rimbombare la stanza. “Lascia aperta la porta, quando esci. C’è puzza di cibo.”

Graziano salì sul muletto e per tutta la notte sfrecciò con le forche a mezz’aria per tutto il magazzino, fregandosene delle urla del capoturno.

Appena poteva, tra una svolta e un rettilineo, si annusava le dita, spingendole forte contro le narici per raccogliere l’ultima traccia di profumo. Ad un certo punto non sentì più niente, ma quando chiuse la mano intorno al volante gli sembrò di stringere il manico del suo coltello migliore, lama curva e alveolata, perfetto per incidere la carne senza farla aderire all’acciaio.

Fu l’unica cosa che controllò appena tornato a casa. La cucina era un disastro, piatti e pentole impilati ovunque, il pavimento scivoloso di grasso, ma i coltelli brillavano allineati al millimetro nella valigetta aperta sul tavolo. Graziano si buttò sul divano e si addormentò.

Quando si svegliò, inspirò l’odore rancido che si era diffuso nell’appartamento. Gli piaceva. Come la pelle degli uomini prima che muoiano, anche il cibo puzzava prima di decomporsi.

Guardò fuori dalla finestra, era già buio. Aveva dormito tutto il giorno, un sonno pieno di rumori, il muletto, la cappa, la voce di suo fratello.

Arrivò in azienda un po’ prima del cambio turno ed entrò subito nell’ufficio di Carlo. Suo fratello lo accolse con uno sguardo compiaciuto.

“Bravo, sei venuto, perfino in anticipo. Come mai? Hai messo la testa a posto?” E rise.

Graziano rimase in silenzio. Alzò la valigetta e la posò sulla scrivania.

“Cosa mi hai portato?” chiese Carlo.

“I miei coltelli da cucina. Voglio farti vedere come si disossa un pollo.” Tirò fuori dallo zaino un animale di cinque chili e lo distese sopra le carte di suo fratello.

“Cosa stai facendo? Sei impazzito?” Carlo si alzò facendo cadere la sedia, ma rimase immobile a guardare Graziano. La carcassa sembrava muoversi da sola tra le sue mani e i coltelli danzavano nell’avventarsi sulla carne per staccarla dall’osso senza sfilacciarla. In pochi secondi il pollo fu pronto, ben spianato sui registri aziendali.

Graziano si pulì le mani sulla tuta. “Hai sentito come scrocchia la lama sull’osso?” Appoggiò la mano sulla mannaia e piantò gli occhi in quelli del fratello. “Ti sei mai chiesto che musica fa sulle ossa umane?”

La sirena del turno di notte risuonò nel magazzino, cancellando ogni rumore.

 

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