lunedì 1 maggio 2017

CONSIDERAZIONI DEL DIAVOLO di Roberta Sandrini

Il buio non mi disturba ne’ mi ha mai disturbato fin dal primo momento che sono capitato quaggiù.
Mi da’ anzi la stessa sensazione della luce, quando mi incantavo a guardarla o meglio cercavo di penetrarla: immensa, senza confini, un oggetto infinito nel quale mi ritrovavo immerso e del quale riuscivo  a percepire l’assenza di limiti, e quindi la potenza, senza tuttavia smarrimenti ne’ angosce ne’ domande, che avrebbero giustificato l’affidarsi a LUI.
Solo benessere, solo una strana quiete non di riposo ma di attesa, di preparazione a qualche particolare evento o meglio di un evento, di un accadimento che dipendeva da me, dalla mia azione e volontà non dalla SUA.
Stessa cosa col buio: ma qui nell’oscurità’ sono solo, nessuno controlla i miei pensieri, nessuno determina le mie azioni, nessuno ispira la mia volontà, sono LIBERO.
Dovremmo essere in una specie di abisso, almeno ho avuto questa sensazione considerando l’altezza dal quale mi sono sentito precipitare, come preso da un’improvvisa e sconvolgente vertigine.
Un abisso buio infinito: maneggio con cura e curiosità questo pensiero fra me e me e non ne sono assolutamente spaventato, anzi quasi compiaciuto.
Sono precipitato all’improvviso, senza alcuna avvisaglia ne’ avvertimento circa quello che sarebbe successo: sento già i futuri racconti di battaglie fra angeli ribelli ed angeli fedeli, i disubbidienti sconfitti e scacciati in un baratro nero e maleodorante.
Credo che lascerò in giro queste voci: suppongo che contribuiranno a creare un certo alone di reverenza e rispetto dettati dalla paura o dall’ammirazione intorno alla mia figura.
Invece si e’ trattato solo di questo, un pensiero: sospeso in una luce brillante ed infinita, così come ora mi distendo in questa coltre scura e calda, non mi sono limitato ad ammirare l’oggetto dal quale quella luce proveniva, non mi e’ bastata la mia creazione ed il suo amore, non sono rimasto al mio posto accanto alle altre menti che sentivo presenti vicino a me e tuttavia diverse, immerse in tutt’altri pensieri rispetto ai miei.
Pensieri semplicissimi e lineari: la gioia per essere stati creati; per essere stati creati e collocati in quella luce; la gioia che per alimentarsi aveva unicamente bisogno di amare quella luce, l’essere stati creati in quella luce ed in quella luce collocati; la gioia per essere stati creati, insieme alla luce, dalla mente che si intuiva stare aldilà della luce e tuttavia si sapeva esistere da prima ed aldilà della luce.
(Questo eravamo lì e questo siamo qua, pensieri,  che si alimentano continuando a pensarsi: non c’è nulla di fisico, nulla di materiale né qui ne’ là, la materia e’ altrove, noi pensandoci bastiamo a noi stessi).
Vorrei davvero che non si credesse che reputo sbagliati od in qualche modo e maniera indegni i pensieri che si fanno nella luce: solo i  miei erano diversi, totalmente diversi.
Non mi bastava ciò che sentivo, volevo sentire ALTRE COSE: quali esattamente non saprei dire, solo dal fondo di me sorgeva lentamente la domanda se realmente tutto si riducesse alla luce, se davvero quella luce non avesse confini o fosse invece limitata da qualcosa; se ci fossero solo i suoi ed i nostri pensieri; se tutto fosse luce od esistesse qualcosa oltre alla luce, fatto di un’altra sostanza e partecipe di un’altra natura, creato forse dalla luce per vie e scopi diversi dai nostri od alla luce opposti.
Pensavo tutto questo e mi scoprivo diverso da coloro che stavano con me: e non ero ne’ triste, ne’ orgoglioso di me, ne’ preoccupato.
Non credevo che essere diversi potesse portare ad una qualche conseguenza (perché diverso ero da quelli che mi stavano accanto, e’ innegabile).
Amavo la luce, mi piaceva, credetemi ma NON MI BASTAVA.
E giungevo a vederla come un bel giardino, fiorito e curato, lucente ma piccolo e recintato, nel bel mezzo di una prateria splendente ed ondulata sotto i soffi di vento.
E di nuovo vi dico che non mi preoccupava tutto questo, anzi alimentavo senza sosta questi miei pensieri, sempre piu’ smarrito ed inquieto ormai, nonostante tutta quella luce e quell’amore, fino alla vertigine.
Un attimo, una lenta ma inarrestabile caduta, uno scivolare dapprima impercettibile poi sempre più deciso, come trascinato da una mano possente ed energica, verso il basso.
La luce che si affievolisce, si rimpicciolisce ed infine viene risucchiata in un unico piccolo punto, dove sparisce.
Ed ecco infine il buio di quest’abisso che percepisco infinito, così come percepivo la luce.
E tuttavia occupato solamente dal MIO dubbio, dalle MIE domande, dal MIO pensiero, ansiosi di non incontrare più limiti ne’ realtà necessarie e sufficienti a sé stesse, ma RISPOSTE.

II
E’ successa un cosa che mi ha reso felice: non compiaciuto, soddisfatto, felice.
So che nessuno riuscirebbe a collegare questo stato d’animo alla mia essenza, per il fatto di essere stato allontanato (o di essermi allontanato?) dalla luce: forse mi sbaglio, forse attribuisco ad uno dei miei pensieri un nome scorretto (del resto generalmente li penso senza preoccuparmi di definirli) ma non trovo altra maniera per descriverlo. Sono felice. E felice perché esistono altri pensieri come il mio.
Sono in un luogo diverso dal mio abisso e dalla luce.
Quindi ne’ l’uno ne l’altra sono infiniti, nel senso che non tutto e’ buio o luce, esistono posti diversi che forse li limitano, forse neppure li sfiorano, forse ne conoscono l’esistenza o forse no.
Ed in questi luoghi alcuni pensieri sono tali e quali al mio. Altri pensieri sono uguali a quelli che vivono nella luce, ma altri, altri, SONO COME I MIEI!
Non che mi sentissi solo od incompleto finora, qui protetto da una coltre di buio, dove ogni mio pensiero si dipanava libero.
Eppure, immediatamente dopo aver avvertito l’esistenza di pensieri simili ai miei, subitaneamente, senza volontà ma neppure senza che mi sentissi di reprimerlo, un guizzo, un sollevarsi leggero e gioioso dello spirito, che ho dovuto attendere molto perché si acquietasse.
Ora che di nuovo sono qui, passato tutto, ho deciso (senza neppure riflettere, una determinazione nata come tale), di recarmi dai pensieri miei simili.
Sono in grado di spostarmi, questo è certo, altrimenti non sarei giunto qui dalla luce.
E non sono un prigioniero in questo buio, posto che, come ho gia’ detto, non mi dispiace star qui, non mi sento ne’ mi sono mai sentito neppure addolorato per il fatto di dover abitare il buio, mi ci muovo liberamente: tutte cose, credo di poter dire, incompatibili con la prigionia e la costrizione della propria essenza.
E quindi ecco, andrò. Troverò quei pensieri, ne seguirò le scie ed i percorsi.
E soprattutto voglio vedere il luogo in cui vivono, che, ripeto, so per certo non essere ne’ il buio ne’ la luce, buio e luce che nonostante questo continuo a percepire come infiniti.
Sapevo dalla luce dell’esistenza della MATERIA, cioè sapevo che dalla luce proveniva, oltre alla nostra esistenza di pensieri, qualcosa di diverso, qualcosa che non esiste per il solo fatto di percepire se stesso e rivolgere la propria essenza a qualcosa, luce o buio che sia.
No,no, questa dovrebbe essere un qualcosa di mutevole, mai uguale ne’ fine a se stesso, qualcosa che assume vari aspetti che cambiano lungo un percorso che ha un inizio ed una fine.
Perché alla luce dovrebbe essere venuto in mente di creare qualcosa di simile? E se sono li’ i pensieri simili ai miei perché ad essi e’ permesso esistere con la luce, limitarla col loro mondo materiale, non considerarla necessaria e sufficiente al loro benessere ed anzi magari metterla addirittura in dubbio mentre io, per le stesse ragioni, dalla luce sono stato allontanato fino a questo abisso oscuro? Sono forse magari così insignificanti ed infimi, nel loro essere materiali, questi pensieri, da non meritare, non dico di essere scacciati, ma neppure considerati? Ed allora, ripeto, perché, crearli?
Per amore della luce? Ma se la luce ama la materia, che è in grado di generare pensieri tanto uguali ai miei, come può pretendersi perfetta?
E perché ha allontanato me ma continua a compiacersi della loro esistenza?
E se tutto fosse un’impostura, la luce, la materia, questo abisso, tutto fosse un colossale teatro, orchestrato da qualcosa che ancora nessuno ha mai conosciuto?
E’ per dare una risposta prima di tutto a me stesso che mi accingo ad andare.



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