“Dopo
la Messa devo parlarti, Gianni,” gli aveva detto don Franco aggiustandosi al
millimetro la stola sul petto. Il tono solenne lo aveva turbato: per tutta la
cerimonia si era mosso fuori tempo e aveva dimenticato di portare le ampolline
sull’altare.
Quando
entrò in sacrestia, don Franco stava riponendo i paramenti e non si accorse di
lui. Gianni strisciò le scarpe contro il pavimento e tirò su col naso,
infastidito dall’odore di mobili vecchi e incenso.
“Bravo,
sei arrivato,” disse don Franco chiudendo l’armadio. “Immagini perché ti ho
fatto venire?”
Gianni
mise le mani in tasca. “Perché?”
“Tra
due settimane inizieremo le celebrazioni per Maria Ausiliatrice, la nostra
santa patrona.” Don Franco fece una lunga pausa. “Tocca al chierichetto più
vecchio portare il Cristo in processione.”
Gianni
alzò gli occhi e li piantò in quelli di don Franco: “Tocca a me?”
Il
sacerdote allargò le braccia e sospirò. “Secondo la tradizione. Ma dimmi: te la
senti?”
La
mente di Gianni già proiettava la scena di lui alla testa del serpentone di
gente lungo le vie del paese. La nonna gli avrebbe allungato una bella mancia e
mamma e papà si sarebbero calmati per un po’. “Sì, non c’è problema.”
“Vedi,
figliolo, tenere in alto il Cristo per un’ora richiede dedizione e impegno.”
Don Franco accarezzò il catechismo sul tavolo. “E poi, nel momento del rientro
in chiesa, bisogna seguire un determinato percorso, stare eretti in un certo
modo.”
“Non
c’è problema” ripeté Gianni cercando di coprire il rumore dello stomaco che
brontolava per la fame.
“A
dire la verità, ho un altro dubbio” disse don Franco. Si avvicinò e appoggiò a
fatica una mano sulla spalla di Gianni: “Sei troppo alto.”
“Ehi!
Ti hanno mangiato la lingua? Cos’hai?” Erica si piantò davanti a lui,
costringendolo a fermarsi. “È da quando siamo usciti da scuola che non parli.”
Gianni
la guardò. Quando qualcosa non le andava a genio, i suoi ricci sembravano
accovacciarsi sulla testa pronti a fare un salto. “Quest’anno porto io il
Cristo in processione.”
“E
non sei contento?” chiese Erica appoggiando i pugni sui fianchi.
“Don
Franco pensa che non sarò capace” disse Gianni guardando il cielo settembrino
come a cercare qualcosa. “Gli ho promesso che andrò a tutte le prove, e alla
fine l’ho convinto.”
“Non
capisco che prove servono...in fin dei conti devi portare in giro una specie di
bandiera” disse Erica con un’alzata di spalle e riprese a camminare. “Lo sai
che non ci sarò, vero?”
“Non
sei mai venuta, perché dovresti proprio questa volta?” disse Gianni
osservandola con la coda dell’occhio.
Erica
schioccò la lingua e si passò le dita tra i capelli.
Il
campo intorno alla chiesetta di San Pietro bisbigliava di voci in attesa. La
luce delle candele illuminava il mento e il naso di centinaia di persone pronte
a seguire la statua della Madonna fino alla chiesa parrocchiale.
Gianni
tirò la tunica lungo i fianchi e si guardò le gambe: i jeans spuntavano fuori
per trenta centimetri buoni, nonostante la mamma avesse scucito l’orlo della
veste.
“Sei
pronto?” gli chiese don Franco toccandogli il braccio.
Gianni
annuì e afferrò la croce massiccia che don Franco gli porgeva. Gli sembrò più
pesante del solito e quando la sollevò come aveva imparato, sentì una fitta
alla spalla.
Al
cenno di don Franco, Gianni imboccò la strada che, attraversando viuzze,
slarghi e piazzette, portava al centro del paese. Le case erano rischiarate
solo dai ceri sui davanzali, perché tutti gli abitanti erano in fila dietro di
lui. Tutti a parte Erica.
Doveva
rimanere concentrato sul percorso, nonostante il dolore alla spalla e il sudore
che colava dietro le orecchie e lungo la schiena. Il vento tra i vicoli gli
consegnava gli ordini di don Franco: “Abbassa!”, “Svolta!”, “Rallenta!”
Quando
salì l’ultimo gradino della chiesa, fece un profondo respiro e finalmente poté
voltarsi per ammirare la folla punteggiata di fiammelle. Era stato lui a
condurla fino là e ormai mancava solo lo spazio della navata.
A
un certo punto sentì il Cristo scivolare giù, allora lo sollevò subito
spostando le mani più in alto, su una parte asciutta del legno. Ma quando
imboccò il portone della chiesa, si sentì sbattere avanti e indietro, mentre un
colpo secco rimbombava nella piazza facendo ammutolire la gente. Gianni rimase
immobile e chiuse gli occhi. Maledette gambe lunghe, l’avevano beffato proprio
all’ultimo passaggio.
Riaprì
gli occhi, piegò le ginocchia e oltrepassò l’arco, mentre dietro di lui i
fedeli entravano lentamente intonando il canto per la patrona.
Mentre
percorreva la navata, si sentì chiamare: “Gianni! Gianni!”
Si girò e la vide.
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