martedì 30 marzo 2021

MANI, PREGHIERE E DOMANI di Lorenzo Bellandi

Ero piccolo quando è cominciato tutto questo. Ero solo un cazzo di bambino in pre-adolescenza, con poche responsabilità e tanta voglia di menarselo. Non mi vergogno a dirlo… non più… mi masturbavo anche cinque volte al giorno. Gli altri bambini se ne stavano sotto casa a tirare calci ad un pallone. Poveri idioti. Io intanto ero a farmi una sega dentro l’armadio, o seduto in terrazza, o incastrato in qualche angusto anfratto. Mi sembrava di vivere in un sogno. Avevo undici anni e più orgasmi che amici, ma ero felice. Poi un giorno successe. Ero solo un bambino…

Mia madre, brava donna ma grande stronza, decise di “curarmi”, come se fossi malato. Le provò tutte, persino mettermi il peperoncino sulle dita. Ma io non mollai, non l'avrei mai fatto. Poi, un maledetto giorno, di una maledetta primavera, rovinò per sempre la mia vita con un ultimo, scellerato, tentativo di cambiare ció che ero. Don Paolo, il prete della parrocchia, fu invitato a casa nostra per una chiacchierata.

Ero solo un bambino… lo rispettavo, credevo in lui e nell’istituzione che rappresentava.

Eravamo soli nella mia stanza, quando pronunciò le parole che mi restarono stampate nella mente per tutta la vita.

-Le mani servono a pregare, non a masturbarsi-

Mi colpì. Passai la notte a rifletterci su, aveva senso. Provai a smettere, ma non ci riuscivo. Anzi, mentre mi masturbavo pensavo che con quelle stesse mani avrei dovuto pregare, e mi eccitavo. Dentro di me crebbe questa strana dicotomia fra l’amore per la religione e il piacere che mi procurava masturbarmi sapendo di sbagliare. Mi odiavo per questo. Ero due persone che non riuscivo a conciliare. So che può sembrare strano, ma soffrivo molto. Essere cresciuto in una famiglia credente, nutrito di certi valori, segnato da una serie di principi e, in un secondo, rendersi conto di andarvi contro senza riuscire ad impedirlo. Pensavo di essere un debole. Pensavo di essere sbagliato. Sentivo di dover espiare le mie colpe. Per questo cominciai, paradossalmente, a frequentare sempre più spesso la chiesa. Per ogni triste e inevitabile sega che mi sparavo, passavo, l’indomani, almeno mezz’ora in chiesa. Seguendo questo rigido rapporto sentivo di potermi, in qualche modo, giustificare e salvare. Fini per passare nella mia parrocchia praticamente tutto il giorno, e inevitabilmente anche a menarmelo in loco. Creai un legame così intenso con la religione da scegliere per il mio futuro la carriera ecclesiastica. Se avessi dedicato la mia vita a Dio, lui mi avrebbe perdonato per i miei peccati. Durante il giorno ero un modello di devozione e fede. Quando sentivo il richiamo, però diventavo, nel mio privato, un diavolo peccatore. Questo strano binomio inconciliabile di cui ero composto, mi logorava dall’interno. Mi concentrai negli studi cercando di redimermi fino al giorno in cui divenni prete. Incredibilmente mi spedirono proprio nella parrocchia in cui ero cresciuto, a sostituire proprio lo stesso prete che mi aveva detto quella frase, lo stesso che un tempo tanto stimavo, lo stesso che mi aveva spinto ad essere ciò che ero. Prima di lasciarmi il posto però dovetti passare con lui un mese, una specie di rapido apprendistato. Mi mostrò il funzionamento dell’abitazione che mi spettava e mi presentò i vari elementi che frequentavano la parrocchia. Lui mi passava il testimone mentre io, con l’altra mano, mentre non guardava, mi sollazzavo il più possibile.

Nella casa del signore succedeva però qualcosa di strano: ogni tanto, quando ero solo sentivo uno strano rumore. Sembrava che qualcuno facesse applaudire due petti di pollo. Il suono era continuo, mi stava entrando in testa. Chiesi a Don Paolo, ma lui mi disse di non averlo mai sentito. Ma io non riuscivo a lasciarlo perdere.

Una sera mentre cercavo di farmi una sega, il suono non mi dava pace. Così, stremato, decisi di trovarne la fonte. Vagai come un'anima in pena per un’ora. Freneticamente correvo per i corridoi cercando di inseguire il rumore. Finché, alla fine, lo trovai. Proveniva dall’armadio che mi stava di fronte. Senza esitare spalancai le porte. Lo vidi. Era lui. Il mio mondo crollò in un istante. Il prete se lo stava sciaguattando senza ritegno. Mi vide, ma non si fermò. Continuò a fissarmi dritto negli occhi e disse -Le mani servono ad espiare i peccati, figliolo- poi si lasciò andare ad un gemito mentre muoveva le mani sempre più velocemente.

Il liquido denso si schiantò sulla mia tunica all'altezza della spalla, poi colò giù. Restai inerme.

La mia vita… era una bugia.

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