lunedì 17 settembre 2018

L’ESTATE FINIVA PIU’ NATURE di Riccardo Ventrella


L'estate finiva più nature. L’estate finiva più nature, diceva il poeta. Vent’anni fa o giù di lì. Questi vent’anni, come sosteneva anche Giobatta Vico, debbono ripetersi perché i suoi vent’anni, del poeta, non sono i miei. Dato anche il fatto non secondario che i miei sono trenta. Come finiva l’estate trent’anni fa? Agosto era più agosto, nel senso che ad agosto in città non si trovava nessuno. Per chi restava, l’unico passatempo era fare il conto alla rovescia per la riapertura dei negozi sbarrati per ferie, coi cartelli variopinti e dotati della marca da bollo. Il clinamen era attorno al ventidue, o ventiquattro del mese. Quando si andava via nel mese di agosto, quella era la data di ritorno. Al varco, magari, attendevano gli esami di riparazione che inevitabilmente partivano al primo di settembre. Prima, però, c’erano i mondiali di ciclismo, da seguire con la dovuta attenzione: si cominciava con la pista, poi la cento chilometri a squadre negli anni non olimpici, la prova dei dilettanti e quella dei professionisti. Si sapeva così che l’ultima domenica d’agosto era arrivata. Le mattine si facevano più fresche, andare in Ciao necessitava del giubbino di jeans. C’era il compleanno, quello sì. Rompeva la routine di attesa dell’inizio della scuola, mentre le giornate si accorciavano inesorabili. Fino ad un certo punto ci si poteva imbattere anche nella Fiera degli Uccelli, una sorta di kermesse dedicata soprattutto ai cacciatori che si teneva a Porta Romana e che poi fu vietata per motivi animalistici. Veniva così la metà del mese, ed era tempo di tornare sui banchi. C’era sempre qualche pioggia simbolica a troncare l’ultimo legame con la bella stagione, come una spinta che ti buttava nel mare aperto dell’anno nuovo pronto a risucchiarti con le sue abitudini. Lentamente l’estate, le sue avventure, gli amori, le canzoni, gli oggetti, l’ora legale, i gelati, le susine Stanley, il calcio d’agosto sbiadivano nel ricordo come elementi iperuranici. Ci si salvava pensando già al presepe, le cui fondamenta venivano gettate il ventidue settembre. Ma questa è un’altra storia.

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