lunedì 17 settembre 2018

L'INTERVISTA di Roberta Sandrini


Mi accoglie in una salone con muri di pietre a vista e un camino plurifamiliare con inciso sopra 1860, ma sono le uniche concessioni alle morbide onde gialle delle colline intorno: il divano è largo, di un riposante azzurro cielo, e tutto intorno, dal tappeto rosso e oro a contrasto steso sul pavimento, alla lampada nell’angolo, un filo attorcigliato che parte dalla schiena di un elefante e termina in un vezzoso ombrellino di cristallo trasparente, tutto è ricercato e magari d’antiquariato.
Dalla soglia una bella donna, da più vicino una presunta tale: rughe impercettibili intorno alle labbra, due marcate e lunghe fin quasi alle tempie partono dall’angolo di ciascuno degli occhi; si concede una scollatura ampia bordata di perline, malgrado delle macchie che scendono rapide nell’incavo fra i seni; lo sguardo sornione, con sprazzi luminosi di curiosità.
Ma tutto nell’insieme non esprime vecchiaia esperta e pomposa, ma una vita vissuta negandosi poco o nulla.
“Io penso che tutti nella vita, in un certo momento preciso di questa vita, ogni tanto, spesso, vogliamo cambiare: prendere la direzione opposta o solo modificare il nostro aspetto, in modo da apparire un po’ diversi rispetto a prima. Chi cambia in realtà lo fa per gli altri, non creda a chi dice che lo fa per sé stesso, vuole un altro sguardo su di sé da parte del prossimo, vuol far cambiare idea a chi lo conosceva in quella determinata veste fino a quel determinato attimo in cui si decide di apportare, appunto, quelle variazioni a sé stessi.  E’ chi cambia ad avere di fronte a sé un pubblico, vero o immaginato. Poi c’è chi muta, e quella è un’altra cosa”
Sorride vagamente sognante, rivolta alle folate di vento sommesse ma continue, che entrano fra le ante socchiuse della finestra e le tende di lino. Un momento di riflessione si incastra fra le due ali disegnate delle sopracciglia.
“Chi muta vuole essere un altro, non un sé stesso un po’ cambiato ma un altro da sé, un altro simile a lui per tanti aspetti o un altro con qualche cosa in comune con lui o un altro totalmente diverso rispetto a lui ma un altro. Del resto in natura funziona così: la farfalla che esce dalla crisalide è un’altra cosa rispetto al bruco, un’altra creatura che non ha niente a che vedere col bruco, non è solo e semplicemente diversa, è un’entità totalmente differente e alternativa. Le madri delle varie specie non danno vita ad una loro prosecuzione, con qualche caratteristica in più o in meno, o qualche variazione sul tema, ma ad un’altra entità, un essere completamente staccato da loro. Mutare è imitare la natura nella maniera più logica”.
Allunga il collo segnato ma ancora dotato di un’energica eleganza verso uno spiazzo oltre la porta finestra, dove, forse spontaneo, forse orchestrato per fornire una dimostrazione pratica, si allunga dondolante il corteo della Blu di Russia e due gattini, che di scatto all’improvviso, inarcando la schiena, allungano la zampetta per tentare di acchiappare la lunga e cangiante coda della madre o lo stecchino implume del fratello. 
Si gira di scatto, decisa ad affermare una verità che dovrebbe essere evidente ed invece rimane sconosciuta ai più.
“E chi muta davvero, fra noi umani, è solo l’artista. C’è chi lo fa per noia, chi per proseguire nella spensieratezza dell’infanzia, sfuggire alla pesantezza delle responsabilità adulte, chi per spirito innato d’avventura, come un esploratore ai confini di un nuovo continente, sul bagnasciuga di un mare sconosciuto, uno scienziato alle prese con qualche esperimento. C’è chi lo fa, semplicemente, perché non ama la su vita, rifiuta quello che gli è toccato. Non vuole cambiare qualcosa della sua vita, ne vuole un’altra. Questo è stato il mio caso e così sono salita su un palcoscenico”.
Taglia corto, non vuol parlare di questo adesso, è altro che ha in mente.
Poi mi guarda meglio, forse legge la sorpresa e la delusione in fondo agli occhi, concede con un’alzata di spalle.
“No, no, niente di traumatico, scioccante o comunque succoso per chi ci leggerà. Era solo una vita noiosa.
Troppo in contrasto con le fantasie e le speranze di chi l’ha fatta venire fin qui per parlarne. Alla fine la gente ne rimarrebbe delusa ed è troppo rischioso deludere un pubblico. Solo i grandi se lo possono permettere ed anche loro a caro prezzo. Non sono certo modesta ma nemmeno così immaginifica”.
Allunga una mano, giocherella col pendente colorato di un paralume poi si gira verso di me e butta lì , in tono malizioso “Facciamo così, si inventi qualcosa lei, di piccante ovviamente” , ci ripensa, con un dito fra le labbra, poi aggiunge “Di piccante con qualcuno morto da celibe, per evitare problemi”.
“Un cambiamento si può anche aspettare, se siamo persone pigre o comunque prive di fantasia, non è necessario cercarlo o tentare di produrlo da noi stessi. Basta aspettare e si cresce, si matura, si invecchia, fino alla morte, l’ultimo risolutivo cambiamento. Cambiamento, badi bene, non mutamento. Se crediamo che dopo la morte non esista nulla, resteremo ciò che siamo stati in vita ed a maggior ragione non potremo più trasformarci in qualcos’altro. Se crediamo che qualcosa esista, dovremo entrare nell’aldilà così come siamo, come ci troviamo, per essere assolti o condannati in modo adeguato”.
Si ferma, fa apparire un’espressione compiaciuta.
“Ma un mutamento, un mutamento presuppone sempre un’azione, l’azione della scelta”.
Un suono strano, una specie di brusio, sale veloce e attraversa una delle pareti, segue un piccolo tonfo ovattato. 
“Immaginerà che ho passato molto tempo negli alberghi. Quando ero troppo stanca per fare altro, mi divertivo ad ascoltare i rumori che venivano dalle altre camere. Voci di tutti i tipi, che discutevano, parlavano rilassate, gemevano, urlavano, piangevano. Sedie spostate o trascinate, passi felpati nei bagni, oggetti appoggiati con discrezione sui lavandini o sui ripiani degli specchi, o al contrario, docce che non si preoccupavano di scorrere con noncuranza sui mobili. Se avessi potuto parlare cinque minuti coi proprietari di tutti quei rumori, avrei scelto di essere uno di loro”.
Sospira, uno degli angoli della bocca si allunga verso l’alto.
“Un attore o un ballerino scelgono un ruolo e mutano in un personaggio. Uno scrittore sceglie una trama e muta in uno dei personaggi di una storia, o in tutti, o in nessuno, muta nel giudice che li guarda da fuori e poi ne decide le sorti. Un musicista insegue una sensazione e diventa una melodia. Ed ognuno di loro può, a sua volta, scegliere di farlo tante volte, ogni tanto o perfino un’unica, perfetta volta. Se è vero, come credo, che è poca la libertà di cui ognuno di noi può realmente disporre nella vita, e che questa libertà, alla fine, è soprattutto libertà di scegliere, allora un’artista non solo fa della scelta il suo stile di vita ma può anche scegliere quando e quante volte scegliere, quando iniziare e quando finire di scegliere”.
Si accende una luce sulla collina di fronte, un’ombra scura cala su tutte le cose.
“La libertà è leggera come un passatempo ed impegnativa come un ruolo drammatico”
Si guarda le mani che stringono un lembo della camicia e sospira di nuovo.
“Non sono mai stata di lunghe spiegazioni col mio uditorio. In un pubblico ci sono tanti tipi di persone. Quando scegli di esprimerti in modo semplice le raggiungi tutte, e si può essere quasi sicuri che tutte apprezzeranno”.
E’ già buio quando vado via. Un orlo rosa sfumato di violetto segue la linea di un poggio.
Una stella piccolissima e luminosissima, già alta sull’orizzonte, sceglie di sporgersi a guardarmi.

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