E
spesso mi convinco che ci sia, all’interno di questi possibili fatti, qualcosa
di omesso, di non raccontato; o addirittura di pilotato, per fare sì , che di
questa storia, io conservi per sempre un ricordo dolce e malinconico.
Ogni
tanto metto il 45 giri sul piatto, appoggio la puntina sul solco della traccia
A e mentre si spandono le prime note, mi affaccio alla finestra grande, quella che
dà sul giardino; e semplicemente ascolto quei quattro minuti e quarantacinque
che appartengono alla mia vita, che l’hanno segnata e in qualche modo
costruita.
Ci
sono degli accordi sommessi di chitarra, all’inizio, ad accompagnarmi nella
camminata verso la finestra. Con il tempo ho imparato a scostare la tenda
esattamente sull’entrata del basso e della batteria. Appoggio il naso sul
vetro, prendo un respiro, butto fuori l’aria lentamente e dalle casse arriva la
voce di Sondra Weller.
La
sua voce roca e quasi disperata continua ancora oggi, a dodici anni di distanza
dal primo ascolto, a percorrermi dentro, a graffiarmi l’anima, a farmi sentire
solo al mondo.
Il
disco è del 1972 e si intitola “My simple wonderful family B”e probabilmente a
molti non dirà niente. Ma chiunque ha la pazienza di seguire la voce fino
all’ingresso dell’organo Hammond, non
può fare a meno di stupirsi e commentare che si, questa è proprio “The Circle
of Life “, tratta dalla colonna sonora
del Re Leone e che probabilmente è una versione azzardata cantata da Amy
Winehouse.
Sondra
Weller era mia madre.
Dico
era, perché mi ha lasciato dodici anni fa: senza avermi detto chi era mio
padre.
Questa
cosa, apparentemente, non mi risulta da allora più pervadente di quanto lo
fosse prima, come se la quasi certezza che questo uomo non si paleserà mai
davanti alla mia porta o all’interno di qualunque altro spazio potrebbe essere
deputato ad un incontro procrastinato, sia ormai una delle poche certezze che
mi abiteranno in questa vita.
Alle
volte l’ho immaginato, questo uomo dai capelli biondi, o neri, dalla pelle
olivastra o bianca , alto basso, magro grasso, sorridente ombroso, con l’aria
di essere di passaggio da quelle parti . Ho immaginato che mi sollevasse in
aria, mi riprendesse al volo e mi dicesse che potevo andare a trovarlo ogni
volta che volevo, nel Wisconsin, in Australia, a Parigi, a Civitella sul Reno.
Mi
sono anche raramente illuso, che un giorno una macchina si sarebbe fermata in
un qualunque posto possibile e che mia madre, sorridendo, mi avrebbe spinto
verso l’uomo che apriva la portiera, dicendomi solo che mi avrebbe aspettata al
mio ritorno.
Non
è accaduto, ma sono cresciuto bene comunque, circondato dall’amore delle
componenti il WUR (“Women under Recostruction”) il gruppo femminista di cui mia
madre è stata cofondatrice, il 27 aprile del 1973. Non mi è mai mancato niente,
e tuttora sono sufficientemente felice. Penso che la famiglia che ci insegnano
sia comunque una convenzione, un contratto di rassicurante assembramento a combattere
le brutture del mondo, atta fondamentalmente a costituire un rifugio possibile
quando il buio sta per scendere e meno facile ti sembra il peregrinare per le
strade in cerca di risposte.
Non
mi sono mancati i calci al pallone, i lanci del baseball, la pesca al salmone, i
discorsi sul sesso e tutti gli altri inutili momenti di comunanza maschile
padre figlio, osservati nei film che hanno riempito la mia adolescenza per
niente ribelle. E alla fine, mio padre, non l’ho cercato.
Paul
Brewer, il mio collega dell’autolavaggio, insiste ancora oggi nel dire che su
questa cosa del Re Leone, e di quel 45 giri, io dovrei indagarci fino a
togliermi ogni dubbio. Io gli rispondo che non esiste, che il re Leone non può
essere mio padre: e ridiamo, ridiamo forte, fino quasi a sentire che noi due
potremmo anche essere una famiglia, se non fosse così anticonvenzionale che
un’amicizia si trasformi in nucleo abitativo profondo.
A
dire il vero una volta ho recuperato, tramite una amica con cui talvolta
giochiamo a costruirci una famiglia temporanea tra sesso, cinema e lunghi pianti,
il numero di cellulare di Elton John. Senza pensare per un attimo alla sua
omosessualità conclamata ho chiamato per chiedergli se per caso lui fosse mio
padre oppure,in seconda battuta,per accusarlo di essere un triste plagiatore di
musiche altrui: ma non ho avuto il coraggio di parlare quando lui ha risposto.
Vivo
una vita normale, tra lavoro, amicizie e qualche viaggio.
Il
sabato mattina vengono a trovarmi le amiche di mia madre , ingrigite , deformate
dal tempo che passa o irregimentate nella asciuttezza della loro pratica yoga.
Parliamo di lei, dei tempi andati, dei sogni che sono stati smaterializzati e
di quelli che ancora possiamo costruire. E anche di loro penso che in fin dei
conti potrebbero essere la mia famiglia, perché a lungo lo sono state, tra
manifestazioni di affetto e manifestazioni di protesta, marce della pace e
camminate nel parco, slogan ad alta voce e ninne nanne della sera tardi.
Non
esiste la famiglia perfetta, siamo soltanto anime in movimento, talvolta
aggregate talvolta disperse, che attraversano per periodi più o meno lunghi gli
accadimenti della vita, creando e cercando luoghi e mani tra le quali fermarsi.
Alle volte ci illudiamo di essere tra le persone giuste, ma siamo solo tra
persone momentaneamente connesse, brevemente collegate ai fatti in accadimento,
tese a riprendere forze prima del successivo passaggio.
Per
questo continuo a vivere da solo, in questa grande casa che si affaccia su
questo giardino di rose che mia madre mi ha fatto promettere non verrà mai
lasciato all’abbandono al tempo, atmosferico e non:perché credo che sono stato già
famiglia in un altro tempo, in un’altra vita e che in questa non lo sarò.
Quando
però il dolore di essere solitudine nel mondo si fa forte e mi sembra poco
chiaro dove mi deve condurre questo percorso accidentato e meraviglioso che
chiamiamo vita, io semplicemente penso ad un fumoso garage del Village, mia
madre seduta su di una sedia scassata e mio padre al basso, alla chitarra, oppure
all’ organo Hammond. Si guardano, lui accenna qualche nota e lei canta. E io so
che sono tra loro, nell’aria inespressa del futuro di lì a poco a venire,di
quello che sarà più distante e del passato che non ci appartiene.
Lo
so che è solo un millesimo di secondo nella vita enorme ed eterna che ci
circonda, ma so che siamo lì e che lì saremo uniti per sempre, amori
successivamente dispersi nel mondo, ma per sempre incatenati ad un vecchio
vinile che comincia sempre più a gracchiare, quasi fosse la tosse di un vecchio
destinato a breve a non riuscire a parlare.
E
penso che sì, anche io ho avuto un padre.
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