Quando l'uomo tenta
di immaginare il paradiso in terra,
il risultato
immediato è un molto rispettabile inferno.
(Paul Claudel)
Orengo,
27 Giugno 2088
Comando
di Polizia di Stato
Spontanea
dichiarazione per crimine presunto rilasciata dal sig. Nicola Brachi.
«Che
l'automobile avesse dei problemi di carburazione, lo sapevo da tempo. Non
immaginavo però che mi lasciasse a piedi proprio il giorno in cui sarei dovuto
rientrare in città e per giunta su una stradicciola sterrata in piena campagna
e sotto a quel caldo insopportabile. Aprii il cofano per dare un'occhiata e mi
resi subito conto che il problema era più grande di quello che pensavo.
“Accidenti!
E' finita l'acqua nel radiatore!” urlai, sbuffando.
Detti
un'occhiata intorno a me. Più avanti la strada sembrava salire dolcemente. Si
poteva distinguere nitidamente un gruppo di case, un piccolo centro proprio ai
piedi di una corona di colline. Tirai fuori la mappa dalla tasca dei pantaloni
e la aprii con cura stendendola sul cofano ancora bollente della mia macchina.
Tentai più e più volte di capire come si chiamasse quel luogo, cercandolo sulla
carta. Niente, non era indicato. Cominciai ad avere sete e quindi decisi di
proseguire a piedi lungo lo sterrato, in direzione del paese.
Raggiunto
il primo gruppo di case, sulle prime non mi resi conto di quello che stava
succedendo intorno a me.
Continuai
invece a camminare verso la piazza principale, soltanto lievemente infastidito
dalla calura e da tutto quel vociare proveniente da qualche parte di fronte a
me. Vidi un uomo correre a perdifiato, nella direzione opposta alla mia. Mi
passò talmente vicino che, urtandomi, rischiò di cadere a terra. Aveva con sé
due grandi taniche probabilmente riempite con acqua. Senza curarsi di me continuò
a correre. Dietro di lui molte persone sembrava che lo stessero incalzando,
urlando contro di lui e gesticolando in maniera animata.
Una
donna urlava: “Prendetelo! Ha rubato l'acqua!”
Continuai
a camminare, pensando che la cosa non mi riguardasse. Mi dissi che ero lì
soltanto di passaggio e non volevo certo rimanere invischiato in fatti
spiacevoli. Poi notai in lontananza l'insegna di un bar. “Forse laggiù potranno
darmi dell'acqua...” pensai continuando a camminare. Man mano che mi
avvicinavo, la piccola strada che stavo percorrendo, ombreggiata e ben
ventilata, si andava allargando e, giunto al bar dell'angolo, la vista sulla Fontana
del Tiglio era finalmente nitida e pulita. L'acqua zampillava allegramente,
regalando vitalità e luce a quella piccola piazza, che ribolliva sotto il caldo
cocente del sole di Giugno.
Feci
qualche passo verso la fontana quando mi accorsi di un cartello attaccato su un
fianco che riportava la scritta:
“Acqua
contaminata. Vietato bere.”
Sbuffai,
sempre più accaldato, e tornai sui miei passi. Entrai all'interno del bar,
accorgendomi immediatamente
che
le tendine dietro al bancone si stavano muovendo, oscillando.
“Il
barista deve essere andato sul retro proprio quando io sono entrato.” pensai. Detti
un'occhiata in giro. Sulla parete sinistra, esattamente di fronte al bancone,
una grande fotografia autografata immortalava alcune persone sorridenti, ma
ignoravo chi fossero. La targa d'ottone più in basso, tuttavia, chiarì ogni mia
perplessità.
Sussurrai
tra me e me il nome che stavo leggendo, ma non feci in tempo a finire che una
voce roca e sgradevole mi interruppe: “Buongiorno.”
Voltandomi
notai dapprima le tende che oscillavano ancora, poi un piccolo uomo che, con le
braccia incrociate
e
lo sguardo severo, mi fissava.
“Buongiorno,
signore.” risposi io abbozzando un sorriso. L'uomo tacque, continuando a
squadrarmi. “Mi stavo giusto chiedendo chi fosse questa persona.” Gli dissi
indicando uno dei personaggi nella fotografia. Lui dapprima non rispose, poi
dopo avermi osservato da capo a piedi chiese: “Lei non è di queste parti,
vero?”
“No,
non sono mai stato in questa regione, ero di passaggio, ma ho avuto dei
problemi con la mia automobile e ho deciso di scendere in paese sperando di trovare
un po' d'acqua per il radiatore.
“Quello
è il signor Lucio Savino.” mi disse lui.
“Se
si tratterrà qui a San Bastiano abbastanza a lungo, avrà senz'altro modo di
conoscerlo.”
“Mi
scusi, signore, ma non sono riuscito a trovare il vostro paese sulla mia mappa.
Sono sicuro però che sia una mappa recente...”
Lui
con tono sarcastico: “Non le so dire il motivo, forse ha consultato la mappa
sbagliata!” La sua espressione si fece poi, ad un tratto, più rilassata.
“Vuole
qualcosa da bere? Un amaro, forse?”
“Un
bicchiere d'acqua mi basta. Le stavo dicendo, comunque, che ne vorrei un po'
anche per la mia automobile.”
L'uomo
sorrise. “Non deve mostrarmi niente?” Tirai fuori una manciata di spiccioli e
la posai sul bancone.
“E'
sicuro di non avere nessuna ricevuta con sé?” mi domandò. Scossi la testa,
senza capire di cosa stesse parlando.
“Sto
parlando di questa.” disse lui mostrandomi uno strano foglietto.
Tacqui.
Il
barista allora mi fissò contrariato: “Beh... l'acqua è un bene prezioso da
queste parti.”
“Ne
vorrei un bicchiere grande e anche del ghiaccio.” risposi io, irritato.
L'uomo
mi osservò, indispettito, poi rispose: “Mi deve scusare, ma l'acqua di solito
non viene servita mai prima
delle
cinque di sera e, poi, mai in questo modo.”
“Il
mio denaro non le sembra buono? E comunque mi pare una regola alquanto
curiosa.” gli dissi io sempre più spazientito.
“Non
l'ho mica deciso io. Comunque è una regola giusta.”
“Non
importa. Mi dia da bere, per cortesia.”
“Per
questa volta farò un'eccezione, visto che lei è un forestiero, ma per la sua
automobile non posso fare nulla, sono spiacente.”
L'uomo
lanciò un'occhiata fuori dal locale come se volesse assicurarsi di non essere
visto, poi pose sul banco una caraffa da mezzo litro e un piccolo bicchiere, di
quelli da cicchetto.
Dopo
aver raccolto gli spiccioli mi disse: “Faccia con comodo, io ho da fare sul
retro.”
Si
allontanò e le tende dinanzi a me presero a oscillare nuovamente.
Bevvi
d'un fiato un bicchiere avendo cura di non rovesciarne neanche una goccia.
Approfittai
di quel momento per continuare a guardarmi intorno.
L'ambiente
molto curato mi fece pensare che fosse uno di quei posti dove un tempo, prima
che l'acqua costasse un occhio della testa, anche un semplice caffè valesse più
del dovuto. Alcuni articoli di giornale, incorniciati e affissi alla parete più
luminosa, sembravano raccontare la storia del paese.
Uno
su tutti, che riportava anche la foto di un uomo, lo stesso che avevo notato
nella fotografia alcuni minuti
prima,
attirò la mia attenzione. Si trovava all'interno della prima pagina di un
quotidiano, non era quindi un semplice ritaglio come tutti gli altri. Bevvi
ancora un po' d'acqua, poi mi feci più vicino. Lasciai il bicchiere sul banco
e, muovendomi, il pavimento in legno scricchiolò sotto al peso dei mie passi. Una
volta davanti alla parete, presi a leggere con attenzione. L'articolo di
apertura riportava testualmente le seguenti parole:
“Il
Comitato dell'Approvvigionamento Idrico proclama: da oggi l'acqua non è più un
bene per pochi, ma una ricchezza per tutti.”
Sono
sicuro che si trattasse del “Giornale del Popolo” ed era datato 12 Giugno 2088.
L'articolo
spiegava di come fosse importante ed essenziale che ogni cittadino denunciasse
chi avesse ancora delle riserve d'acqua personali e non le avesse ancora messe
a disposizione della collettività e del bene comune. Il signor Lucio Savino,
Gestore degli Interessi Comuni, avrebbe provveduto ad elargire un compenso in
denaro a chiunque avesse contribuito alla causa del Popolo, unitamente a un buono
acquisto di un litro d'acqua per ogni nome che fosse stato comunicato. Il
signor Mario Fratini, proprietario del bar del paese,
avrebbe
provveduto ad elargire tale ricompensa una volta che gli fosse stata mostrata
la ricevuta della denuncia effettuata.
“Ma
che storia è mai questa?” pensai.
Rabbrividii
al solo pensiero che le persone potessero arrivare ad azioni del genere. Chi
era poi questo misterioso Lucio Savino? Tornai nuovamente al banco e bevvi gli
ultimi sorsi rimasti nella caraffa. Camminando a testa bassa, tornai in strada.
Con la coda dell'occhio vidi l'oste riempire tre taniche dalla grande fontana.
Lo
osservai, senza capire cosa stesse facendo sul momento.
“Ma
cosa sta facendo, signore?” gli urlai.
“Si
faccia gli affari suoi, lei!” mi rispose ghignando.
Poi,
riempite le taniche, ne afferrò due, si guardò furtivamente intorno e rientrò
nel bar. Continuando a seguirlo con lo sguardo, lo vidi travasare l'acqua
all'interno di alcune caraffe, identiche a quella che mi aveva servito, per poi
riporle con cura sotto al bancone.
“Hai
capito, il barista!” pensai, incredulo per ciò che avevo appena visto. “Al
diavolo, qui non mi aiuterà proprio nessuno!” dissi ad alta voce. Mi lanciai
sulla tanica rimasta vicino alla fontana e, una volta agguantatola, senza
pensarci su tanto iniziai a correre.
Qualche
istante dopo sentii la voce tuonante del barista: “Prendetelo, ha rubato
l'acqua del Popolo!”
Mi
voltai, continuando a correre. Decine di persone mi stavano correndo dietro,
minacciosamente, urlando a
squarciagola.
Correndo nella direzione opposta a quella da cui ero venuto soltanto un paio di
ore prima, vidi la mia automobile, ancora ferma dove l'avevo lasciata.
Raggiunsi questo paese, Orengo appunto, segnalato sulla mappa che avevo e che
conoscevo bene perché vi ero già capitato un paio di anni prima. Per fortuna
trovai subito questo Comando, dato che si trova sulla strada principale, e immediatamente
entrai, pronto a denunciare tutto quello a cui avevo assistito.»
Una
voce interruppe il mio racconto: “E poi?”
“E
poi... beh! Eccomi qua!” risposi asciugandomi il sudore dalla fronte.
In
quel momento un uomo in uniforme entrò nella stanza, dalla porta alle mie
spalle.
“Agente
Spitoni, ci penso io, qua. Lei si vada ad occupare di altre pratiche.”
“Certo,
signor commissario capo.” rispose l'agente innanzi a me.
Si
alzò e, salutato nuovamente con un cenno il commissario, uscì dalla stanza. Il
funzionario si avvicinò alla scrivania con passo deciso, si schiarì la voce e
sedendosi prese a fissarmi.
Poi
disse: “Molto bene, la sua dichiarazione è stata messa a verbale. Mi lasci dire
che ha fatto benissimo a denunciare il barista. Certi mascalzoni speculatori
devono essere fermati.”
Io
annuii.
“Vuole,
per cortesia, firmare questo per ricevuta?”
“Certo,
certo.” risposi finalmente sollevato, mentre prendevo tra le mani il foglio che
mi stava porgendo. Mi bastò leggere le prime righe per capire subito di cosa si
trattasse. Mi sentii sbalordito, disorientato. Era lo stesso modulo che mi
aveva mostrato il barista qualche ora prima.
“Ma
dove cavolo sono capitato?” pensai.
Il
commissario continuava a fissarmi con uno sguardo penetrante, che mi parve
addirittura diabolico.
“Ma
non dovrei firmare un verbale?”
“Firmi
questo, signore. E' per il suo compenso.” Ripeté porgendomi anche la penna.
Ancora
scosso e tremante di collera repressa, continuavo a stringere il foglio che il
commissario mi aveva dato.
Le
mani. Me le sentivo sudate e infuocate.
Mi
alzai di scatto dalla sedia, indietreggiando verso l'uscita, come se avessi
visto un fantasma.
“Scusate...
scusate... non posso... non posso proprio.” balbettai.
“Ma...
dove sta andando?”
Mi
voltai uscendo di corsa, fuggendo.
Fuori
dal palazzo una vecchia bicicletta era stata sbadatamente appoggiata ad una
cancellata. Montai in sella senza pensare, sul momento, cosa stessi facendo. Pedalando
con il cuore in gola uscii dal paese.
Il
sudore mi colava sugli occhi.
Dietro
di me sentivo chiaramente risuonare urla concitate provenienti dal Comando di
Polizia. Continuai a pedalare per ore, fino al tramonto e al paese successivo.
Solo
la sete a farmi compagnia.
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