domenica 31 marzo 2019

UNA STORIA COME QUESTA di Carlo Banchieri



Quando l'uomo tenta di immaginare il paradiso in terra,
il risultato immediato è un molto rispettabile inferno.
(Paul Claudel)


Orengo, 27 Giugno 2088
Comando di Polizia di Stato
Spontanea dichiarazione per crimine presunto rilasciata dal sig.  Nicola Brachi.

«Che l'automobile avesse dei problemi di carburazione, lo sapevo da tempo. Non immaginavo però che mi lasciasse a piedi proprio il giorno in cui sarei dovuto rientrare in città e per giunta su una stradicciola sterrata in piena campagna e sotto a quel caldo insopportabile. Aprii il cofano per dare un'occhiata e mi resi subito conto che il problema era più grande di quello che pensavo.
“Accidenti! E' finita l'acqua nel radiatore!” urlai, sbuffando.
Detti un'occhiata intorno a me. Più avanti la strada sembrava salire dolcemente. Si poteva distinguere nitidamente un gruppo di case, un piccolo centro proprio ai piedi di una corona di colline. Tirai fuori la mappa dalla tasca dei pantaloni e la aprii con cura stendendola sul cofano ancora bollente della mia macchina. Tentai più e più volte di capire come si chiamasse quel luogo, cercandolo sulla carta. Niente, non era indicato. Cominciai ad avere sete e quindi decisi di proseguire a piedi lungo lo sterrato, in direzione del paese.
Raggiunto il primo gruppo di case, sulle prime non mi resi conto di quello che stava succedendo intorno a me.
Continuai invece a camminare verso la piazza principale, soltanto lievemente infastidito dalla calura e da tutto quel vociare proveniente da qualche parte di fronte a me. Vidi un uomo correre a perdifiato, nella direzione opposta alla mia. Mi passò talmente vicino che, urtandomi, rischiò di cadere a terra. Aveva con sé due grandi taniche probabilmente riempite con acqua. Senza curarsi di me continuò a correre. Dietro di lui molte persone sembrava che lo stessero incalzando, urlando contro di lui e gesticolando in maniera animata.
Una donna urlava: “Prendetelo! Ha rubato l'acqua!”
Continuai a camminare, pensando che la cosa non mi riguardasse. Mi dissi che ero lì soltanto di passaggio e non volevo certo rimanere invischiato in fatti spiacevoli. Poi notai in lontananza l'insegna di un bar. “Forse laggiù potranno darmi dell'acqua...” pensai continuando a camminare. Man mano che mi avvicinavo, la piccola strada che stavo percorrendo, ombreggiata e ben ventilata, si andava allargando e, giunto al bar dell'angolo, la vista sulla Fontana del Tiglio era finalmente nitida e pulita. L'acqua zampillava allegramente, regalando vitalità e luce a quella piccola piazza, che ribolliva sotto il caldo cocente del sole di Giugno.
Feci qualche passo verso la fontana quando mi accorsi di un cartello attaccato su un fianco che riportava la scritta:
“Acqua contaminata. Vietato bere.”
Sbuffai, sempre più accaldato, e tornai sui miei passi. Entrai all'interno del bar, accorgendomi immediatamente
che le tendine dietro al bancone si stavano muovendo, oscillando.
“Il barista deve essere andato sul retro proprio quando io sono entrato.” pensai. Detti un'occhiata in giro. Sulla parete sinistra, esattamente di fronte al bancone, una grande fotografia autografata immortalava alcune persone sorridenti, ma ignoravo chi fossero. La targa d'ottone più in basso, tuttavia, chiarì ogni mia perplessità.
Sussurrai tra me e me il nome che stavo leggendo, ma non feci in tempo a finire che una voce roca e sgradevole mi interruppe: “Buongiorno.”
Voltandomi notai dapprima le tende che oscillavano ancora, poi un piccolo uomo che, con le braccia incrociate
e lo sguardo severo, mi fissava.
“Buongiorno, signore.” risposi io abbozzando un sorriso. L'uomo tacque, continuando a squadrarmi. “Mi stavo giusto chiedendo chi fosse questa persona.” Gli dissi indicando uno dei personaggi nella fotografia. Lui dapprima non rispose, poi dopo avermi osservato da capo a piedi chiese: “Lei non è di queste parti, vero?”
“No, non sono mai stato in questa regione, ero di passaggio, ma ho avuto dei problemi con la mia automobile e ho deciso di scendere in paese sperando di trovare un po' d'acqua per il radiatore.
“Quello è il signor Lucio Savino.” mi disse lui.
“Se si tratterrà qui a San Bastiano abbastanza a lungo, avrà senz'altro modo di conoscerlo.”
“Mi scusi, signore, ma non sono riuscito a trovare il vostro paese sulla mia mappa. Sono sicuro però che sia una mappa recente...”
Lui con tono sarcastico: “Non le so dire il motivo, forse ha consultato la mappa sbagliata!” La sua espressione si fece poi, ad un tratto, più rilassata.
“Vuole qualcosa da bere? Un amaro, forse?”
“Un bicchiere d'acqua mi basta. Le stavo dicendo, comunque, che ne vorrei un po' anche per la mia automobile.”
L'uomo sorrise. “Non deve mostrarmi niente?” Tirai fuori una manciata di spiccioli e la posai sul bancone.
“E' sicuro di non avere nessuna ricevuta con sé?” mi domandò. Scossi la testa, senza capire di cosa stesse parlando.
“Sto parlando di questa.” disse lui mostrandomi uno strano foglietto.
Tacqui.
Il barista allora mi fissò contrariato: “Beh... l'acqua è un bene prezioso da queste parti.”
“Ne vorrei un bicchiere grande e anche del ghiaccio.” risposi io, irritato.
L'uomo mi osservò, indispettito, poi rispose: “Mi deve scusare, ma l'acqua di solito non viene servita mai prima
delle cinque di sera e, poi, mai in questo modo.”
“Il mio denaro non le sembra buono? E comunque mi pare una regola alquanto curiosa.” gli dissi io sempre più spazientito.
“Non l'ho mica deciso io. Comunque è una regola giusta.”
“Non importa. Mi dia da bere, per cortesia.”
“Per questa volta farò un'eccezione, visto che lei è un forestiero, ma per la sua automobile non posso fare nulla, sono spiacente.”
L'uomo lanciò un'occhiata fuori dal locale come se volesse assicurarsi di non essere visto, poi pose sul banco una caraffa da mezzo litro e un piccolo bicchiere, di quelli da cicchetto.
Dopo aver raccolto gli spiccioli mi disse: “Faccia con comodo, io ho da fare sul retro.”
Si allontanò e le tende dinanzi a me presero a oscillare nuovamente.
Bevvi d'un fiato un bicchiere avendo cura di non rovesciarne neanche una goccia.
Approfittai di quel momento per continuare a guardarmi intorno.
L'ambiente molto curato mi fece pensare che fosse uno di quei posti dove un tempo, prima che l'acqua costasse un occhio della testa, anche un semplice caffè valesse più del dovuto. Alcuni articoli di giornale, incorniciati e affissi alla parete più luminosa, sembravano raccontare la storia del paese.
Uno su tutti, che riportava anche la foto di un uomo, lo stesso che avevo notato nella fotografia alcuni minuti
prima, attirò la mia attenzione. Si trovava all'interno della prima pagina di un quotidiano, non era quindi un semplice ritaglio come tutti gli altri. Bevvi ancora un po' d'acqua, poi mi feci più vicino. Lasciai il bicchiere sul banco e, muovendomi, il pavimento in legno scricchiolò sotto al peso dei mie passi. Una volta davanti alla parete, presi a leggere con attenzione. L'articolo di apertura riportava testualmente le seguenti parole:
“Il Comitato dell'Approvvigionamento Idrico proclama: da oggi l'acqua non è più un bene per pochi, ma una ricchezza per tutti.”
Sono sicuro che si trattasse del “Giornale del Popolo” ed era datato 12 Giugno 2088.
L'articolo spiegava di come fosse importante ed essenziale che ogni cittadino denunciasse chi avesse ancora delle riserve d'acqua personali e non le avesse ancora messe a disposizione della collettività e del bene comune. Il signor Lucio Savino, Gestore degli Interessi Comuni, avrebbe provveduto ad elargire un compenso in denaro a chiunque avesse contribuito alla causa del Popolo, unitamente a un buono acquisto di un litro d'acqua per ogni nome che fosse stato comunicato. Il signor Mario Fratini, proprietario del bar del paese,
avrebbe provveduto ad elargire tale ricompensa una volta che gli fosse stata mostrata la ricevuta della denuncia effettuata.
“Ma che storia è mai questa?” pensai.
Rabbrividii al solo pensiero che le persone potessero arrivare ad azioni del genere. Chi era poi questo misterioso Lucio Savino? Tornai nuovamente al banco e bevvi gli ultimi sorsi rimasti nella caraffa. Camminando a testa bassa, tornai in strada. Con la coda dell'occhio vidi l'oste riempire tre taniche dalla grande fontana.
Lo osservai, senza capire cosa stesse facendo sul momento.
“Ma cosa sta facendo, signore?” gli urlai.
“Si faccia gli affari suoi, lei!” mi rispose ghignando.
Poi, riempite le taniche, ne afferrò due, si guardò furtivamente intorno e rientrò nel bar. Continuando a seguirlo con lo sguardo, lo vidi travasare l'acqua all'interno di alcune caraffe, identiche a quella che mi aveva servito, per poi riporle con cura sotto al bancone.
“Hai capito, il barista!” pensai, incredulo per ciò che avevo appena visto. “Al diavolo, qui non mi aiuterà proprio nessuno!” dissi ad alta voce. Mi lanciai sulla tanica rimasta vicino alla fontana e, una volta agguantatola, senza pensarci su tanto iniziai a correre.
Qualche istante dopo sentii la voce tuonante del barista: “Prendetelo, ha rubato l'acqua del Popolo!”
Mi voltai, continuando a correre. Decine di persone mi stavano correndo dietro, minacciosamente, urlando a
squarciagola. Correndo nella direzione opposta a quella da cui ero venuto soltanto un paio di ore prima, vidi la mia automobile, ancora ferma dove l'avevo lasciata. Raggiunsi questo paese, Orengo appunto, segnalato sulla mappa che avevo e che conoscevo bene perché vi ero già capitato un paio di anni prima. Per fortuna trovai subito questo Comando, dato che si trova sulla strada principale, e immediatamente entrai, pronto a denunciare tutto quello a cui avevo assistito.»
Una voce interruppe il mio racconto: “E poi?”
“E poi... beh! Eccomi qua!” risposi asciugandomi il sudore dalla fronte.
In quel momento un uomo in uniforme entrò nella stanza, dalla porta alle mie spalle.
“Agente Spitoni, ci penso io, qua. Lei si vada ad occupare di altre pratiche.”
“Certo, signor commissario capo.” rispose l'agente innanzi a me.
Si alzò e, salutato nuovamente con un cenno il commissario, uscì dalla stanza. Il funzionario si avvicinò alla scrivania con passo deciso, si schiarì la voce e sedendosi prese a fissarmi.
Poi disse: “Molto bene, la sua dichiarazione è stata messa a verbale. Mi lasci dire che ha fatto benissimo a denunciare il barista. Certi mascalzoni speculatori devono essere fermati.”
Io annuii.
“Vuole, per cortesia, firmare questo per ricevuta?”
“Certo, certo.” risposi finalmente sollevato, mentre prendevo tra le mani il foglio che mi stava porgendo. Mi bastò leggere le prime righe per capire subito di cosa si trattasse. Mi sentii sbalordito, disorientato. Era lo stesso modulo che mi aveva mostrato il barista qualche ora prima.
“Ma dove cavolo sono capitato?” pensai.
Il commissario continuava a fissarmi con uno sguardo penetrante, che mi parve addirittura diabolico.
“Ma non dovrei firmare un verbale?”
“Firmi questo, signore. E' per il suo compenso.” Ripeté porgendomi anche la penna.
Ancora scosso e tremante di collera repressa, continuavo a stringere il foglio che il commissario mi aveva dato.
Le mani. Me le sentivo sudate e infuocate.
Mi alzai di scatto dalla sedia, indietreggiando verso l'uscita, come se avessi visto un fantasma.
“Scusate... scusate... non posso... non posso proprio.” balbettai.
“Ma... dove sta andando?”
Mi voltai uscendo di corsa, fuggendo.
Fuori dal palazzo una vecchia bicicletta era stata sbadatamente appoggiata ad una cancellata. Montai in sella senza pensare, sul momento, cosa stessi facendo. Pedalando con il cuore in gola uscii dal paese.
Il sudore mi colava sugli occhi.
Dietro di me sentivo chiaramente risuonare urla concitate provenienti dal Comando di Polizia. Continuai a pedalare per ore, fino al tramonto e al paese successivo.
Solo la sete a farmi compagnia.


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