All’inizio
mi prese il cappello, che avevo lasciato su quella panca all’aeroporto. Pensai
a un furto, a un ladro, se ne incontrano ogni giorno. Poi invece lui si fece
incontro, sorridente: “questo deve essere suo. Lo aveva dimenticato laggiù.”
Provai a rispondere: “Veramente io …” Ma i suoi occhi. Dio, quei suoi, che ti
guardavano attraverso il viso, attraverso i vestiti. Finimmo a letto, a fare
l’amore, che non ancora non sapevo del tutto il suo nome. Jacques, un nome
francese, o qualcosa del genere. Rivestendomi, mentre lui farfugliava al telefono
parole che non comprendevo, mi resi conto che era il cuore che mi aveva rubato.
Lo
baciai, sulla porta di quella camera d’albergo, vicino all’aeroporto. “Mi
chiamerai?” chiesi come una bambina di sedici anni.
“Ma
no” disse lui, e rideva “è stato tutto un trucco. Io fingo sempre di rubare i
cappelli a tutte le donne che incontro in viaggio. Poi bevo un caffè con loro,
le invito a cena e … Ah, non scordo mai di provocare scioperi e ritardi per
migliaia di viaggiatori, così da poter dormire insieme in un albergo, la stessa
notte. Un piano ben congegnato, no?”
Anche
io risi, e lo baciai di nuovo. Stringendo tra le dita il biglietto con il suo
numero di telefono scritto a pennarello blu.
Eppure
lui non aggiunse altro. Non disse “ma certo che ti chiamerò” ma riprese a
guardarmi per un breve lunghissimo istante, con quegli occhi che di nuovo mi
spogliavano tutta, e si allontanò.
E
non mi chiamò.
SignoreiddioBenedettoSantissimo.
MadonnachescioglieinodiverginesantissimadiCaserta
Non
mi richiamò.
E
quel numero? Il suo, intendo.
Semplicemente
uguale al mio, solo al contrario.
Aveva
finto di rubare il mio cappello, aveva bevuto un caffè con me, mi aveva
invitato a cena, aveva provocato uno sciopero generale, mi aveva portato a
letto.
Dopo
tutti questi anni, non trovo una spiegazione migliore di questa.
Nessun commento:
Posta un commento