Non riesco a ricordare bene il giorno preciso in
cui rimasi coinvolto in quella strana vicenda, tuttavia ho ben presente quale
fosse lo stato d'animo che avevo in quel momento. Rammento che eravamo di
Maggio e, nonostante l'approssimarsi dell'estate, le prime ore del giorno erano
ancora fresche e cristalline, ideali per uscire di casa, lavorare in giardino o
andare a spasso con il proprio cane, come spesso facevo anch'io.
Il mio era un cane corso ed era con me da
moltissimo tempo: si chiamava Ombra.
Quella mattina mi svegliai di buon umore, contento
e carico di entusiasmo e soddisfazione perché finalmente stavo per rivedere il
mio caro amico Christian. Non lo sentivo da anni, non sapevo neppure se si
fosse sposato, o avesse dei figli, o che lavoro facesse in quel periodo. Ci
tenevo a presentarmi bene e in gran forma di fronte a lui, come fossi un
ragazzino al primo appuntamento. Non volevo certo che mi trovasse sciupato,
deperito o troppo cambiato, e poi, in effetti, anch'io speravo di ritrovarmelo
davanti tale e quale a come lo avevo visto l'ultima volta, con quella sua
innata leggerezza e quel sorriso beffardo stampato sulla faccia.
Comunque, dopo essermi lavato e vestito con abiti
leggeri, dal momento che faceva un gran caldo, mi diressi a piedi verso la
stazione che era a due passi da casa. Ricordo che per la strada incontrai la
signora Maria, minuta donna di mezza età che spesso, in quelle giornate miti e
soleggiate, veniva a cogliere fiori nel vasto campo che si trovava proprio di fronte
a dove abitavo. La salutai sorridendole amichevolmente e lei, che camminava con
quel suo fare assorto e pensieroso, non appena mi vide ricambiò distrattamente.
Mi viene in mente proprio adesso che anche quella
mattina aveva con sé un grande cesto di vimini che portava sottobraccio ed ero
sicuro che di lì a poco lo avrebbe riempito con cespi di cicoria e asparagi
selvatici o con i fiori più belli e colorati che si potessero vedere. Era
solita portarli al mercato, dove li vendeva per poche lire a chi, di solito
persone anziane come lei, ne sapeva apprezzare la qualità o la bellezza.
Dopo averla salutata, affrettai il passo. Il treno
sarebbe partito dopo una ventina di minuti e io, che dovevo ancora comprare il
biglietto, sentivo la necessità di passare prima al “Così Com'è”, per bere il
mio consueto caffè d'orzo, come facevo ormai da molti anni. “Non farò tardi.”
pensai.
Dopo alcuni minuti entrai nel bar, salutai
l'anziano barista e ordinai ciò che volevo, convinto del fatto che mi sarebbe
stato servito immediatamente.
Sedendomi al bancone, non potei fare a meno di
notare un uomo di una certa età, sporco e malvestito, che, dal tavolo posto
nell'angolo più ombreggiato dell'unica sala, osservava il banconiere,
borbottando strane parole.
Pareva che ce l'avesse proprio con lui.
Per un attimo mi fissò con uno sguardo torbido,
oscuro, ma espressivo. Quegli occhi, scuri e profondi, mi parvero perfidi,
feroci, ostili e carichi di odio come quelli di una iena. Non appena mi guardò,
sentii il sangue gelarsi nelle vene. Mi voltai immediatamente, spaventato.
Proprio in quel momento mi fu servito ciò che avevo
chiesto. Mentre un piacevole e delicato profumo d'orzo penetrava nelle mie
narici dandomi modo di pregustare ciò che sarebbe venuto dopo, il rumore forte
e improvviso di una sedia sbattuta mi fece voltare di scatto.
Vidi allora che l'uomo che aveva attirato la mia
attenzione si era alzato e stava avanzando con aria poco rassicurante in
direzione del barista. Subito dopo prese ad inveire contro di lui. Aveva un
accento strano, ma anche una voce rauca e grottesca che, di certo, non mi aiutò
a comprendere quale fosse la sua provenienza. A stento riuscivo, infatti, a
capire una parola qua e una là. Dedussi, comunque, che non era di quelle parti
ed era facile supporlo anche perché non lo avevo mai visto.
L'anziano barista gesticolava animatamente e,
brandendo con aria minacciosa una bottiglia, si avvicinò all'avventore
sbraitando e inveendo contro di lui. Per un attimo mi parve quasi che volesse
colpirlo perché, mentre urlava, continuava a roteare la bottiglia come se fosse
una grossa mazza. L'uomo sporco urlava più forte di lui e tanto era il
trambusto che non riuscivo a capire una sola parola di quello che si stavano
dicendo. Capii però che si trattava di una questione di soldi.
“Quell'uomo deve avere un debito col barista.
Certo, ha proprio una bella faccia tosta a presentarsi qui e ordinare ancora da
bere se non ha di che pagare.” pensai.
Lentamente mi lasciai scivolare lungo il bancone al
quale mi ero appoggiato e anche se qualcosa mi stava dicendo che sarebbe stato
meglio farmi gli affari miei, ero ormai talmente incuriosito da quella strana
situazione che mi ero addirittura completamente dimenticato anche del treno che
avrei dovuto prendere. L'uomo intanto si faceva sempre più minaccioso anche nei
gesti. Bastò poco perché i due venissero direttamente alle mani, spintonandosi
e colpendosi con i pugni. Tuttavia, proprio quando sembrava che il proprietario
del bar avesse la meglio perché era riuscito ad afferrare l'altro alla gola,
l'avventore all'improvviso estrasse dalla tasca dei pantaloni un grosso
coltello affilato e colpì il barista all'addome, che cadde a terra bocconi,
gemendo.
Rimasi impietrito a guardare il vecchio disteso a
terra, continuando a rivedere nella mia mente la scena a cui avevo appena
assistito altre dieci, venti volte.
Intorno a me soltanto l'assordante rumore del
silenzio.
Mi voltai, guardando l'uomo che ancora teneva in
mano il coltello sporco di sangue. Lui mi fissò ancora con quello sguardo
intenso e pieno di un qualcosa che non saprei descrivere con le parole. So
soltanto che ebbi talmente tanta paura che trovai la forza per uscire dal locale,
indietreggiando e urtando contro sedie, tavoli e
tutto ciò che era alle mie spalle. Con grande stupore mi resi conto che l'uomo
sporco non tentò di uccidermi, né di fermarmi come invece supponevo, così non
appena fui fuori dal Caffè mi allontanai.
Ero talmente a pezzi da non avere neanche avere la
forza di mettermi a correre. Completamente stordito, non mi diressi verso la
stazione, ma tornai a casa mia.
L'indomani ebbi modo di leggere l'articolo di
cronaca riguardante l'omicidio del barista. Capii il perché di quel gesto e,
soprattutto, perché ci fosse un odio tanto profondo nello sguardo di
quell'uomo, nello stesso momento in cui, stringendo nelle mani tremanti il
giornale, lessi queste parole: “Vittima dell'usura uccide il suo strozzino.”
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