Cadde
lentamente,
rovistando
fra le sue interiora, scricchiolando
ormai vuoto, cadde implodendo
come
cadono gli imperi.
Si
era alzato come ogni mattina traccheggiando fra le lenzuola calde e il ghiaccio
del pavimento di marmo nero, un indugio troppo lungo, al quale si incollò un
susseguirsi di consuetudine frettolosa: entrare nell’agenda che lo avrebbe
voluto in disparati spazi in ravvicinati tempi.
Indispensabile.
AD
della D.org.
Dunque,
come sempre, doverosamente impeccabile.
Psycocalistenics,
sauna, abluzioni, estratto, abito, scarpe. Accessori opzionali. Lift. Garage
Via.
Arrivato
al cancello in apertura una mano aperta chiese la sua attenzione: un
imprevisto.
Una
donna vestita di viola e verde con i capelli fulvi e l’aria di chi non vuol
fare tanti convenevoli chiese con poche quiete parole un passaggio verso un
luogo che avesse un’officina meccanica.
Non
avendo scuse a disposizione David la fece salire accanto a sé; ricalcolando la
tabella dei tempi e della coscienza era senz’altro il gesto più appropriato.
Grazie,
rispose la donna, possiamo anche non parlare, aggiunse stringendogli la mano
sul volante e riportandola in grembo dopo un attimo, come un’intesa fra umani.
Quel
contatto morbido, inaspettato e informale paralizzò David per qualche istante, si
voltò verso la donna, quella sorrise.
Anche
con gli occhi.
Avrebbe
voluto farla scendere, l’abitacolo si stava saturando del suo odore di frutti
di bosco.
La
donna piegò il capo di lato e con le sopracciglia alzate mormorò una N
interrogativa.
David
si riscosse dal torpore, le tolse gli occhi dai grandi occhi chiari e partì
girando verso destra, come ogni mattina.
Un’inquietudine
lo avvolse,
come
l’angoscia della sera.
Come
la nudità svelata dei propri alibi.
Espirare
inspirare.
Espirare
inspirare.
Lentamente.
Ecco,
adesso era soddisfatto, anzi quasi meravigliato da una sorta di solletico
interno.
Si
concentrò sulla strada ma non riusciva ad estraniarsi da quei colori, il tocco
tiepido, quegli odori che lo portavano a ripercorrere gli spazi giocosi della
sua infanzia.
Uno
formicolio intenso lo pervadeva, come una primavera fuori stagione.
Superò
il bivio per l’autostrada preferendole le vie secondarie con gli alberi ai lati
e le curve.
Compose
dentro di sé la parola
c
o n t e n t o.
Spense
con il tasto omni off ogni apparecchio.
Si
sentiva ripieno, inebriato da quella presenza serena; voleva rimanere più a
lungo in quel rifugio dal tempo, in quel silenzio accogliente.
Quella
donna che gli sedeva accanto riverberava il suo essere a casa ovunque.
Il
formicolio divenne più forte, come un frinire di cicale.
Insostenibile.
Allora
frenò fino a fermarsi, sganciò la cintura e si voltò con tutto il corpo; la
donna gli prese le mani. Lui sorrise anche con gli occhi, sentì un fitta profonda
e il cuore rompersi in cento pezzi.
Una
frase curiosa si formulò sottile sulle sue labbra:
Dove
si è guastata la tua auto?
Non
ho nessuna vettura, rispose la donna mentre un rombo forte li investiva come
un’onda; è questa l’auto che ha bisogno di essere riparata.
Fu
sbalzato in aria come un tappo di champagne.
Poi
Cadde
lentamente,
rovistando
fra le sue interiora, scricchiolando
ormai vuoto, cadde implodendo
come
cadono gli imperi.
Rimase
un profumo di frutti di bosco e un sorriso.
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