martedì 30 marzo 2021

MEMORIE FIORENTINE (II) di Narciso Fenice Ramparti

Le ombre si allungavano lente sul lungarno Torrigiani, incuranti delle memorie cancellate e del tuo naso rotto da quella gomitata di Mutu, nel peggiore degli aperitivi possibili. Ma li avevi già passato i trent'anni, anche se non sembrava, e quella fu forse davvero l'ultima ingenuità.

Dodici anni prima, invece, avevi detto che saresti andato alle prove, ma sei rimasto intortato sul telefono a gettoni di Piazza Leopoldo in un loop di paranoie colla solita enigmatica tipa e hai tirato l'ennesimo pacco. I crediti di pazienza si stavano esaurendo e lo stesso equilibrio della band era ormai logoro. Adesso moltissimi hanno abbassato la cresta rispetto agli anni Novanta. E se lo hanno fatto loro, abbiamo la certezza matematica del fatto che presto lo faranno anche questi altri scappati di casa.

Lasciata alle nostre spalle la Pieve ancora echeggiante di grida festose, ci incamminammo sotto il tiepido sole vespertino, tenendoci per mano fino a via di Soffiano, dove nei pressi del cimitero, incontrammo quel tuo amico che si era detto disposto a venderci del fumo.

Simone mi presentò la Marina, che ci portò a casa sua. Ricordo che aveva la mappa geografica del mondo appesa al contrario. Allora le detti una cassetta di mie canzoni. Fin qui suonerebbe anche bene.

Oh, finalmente, dopo mille pressioni e scene pietose, sei riuscito a rapinare tuo padre. E finalmente puoi fare quello che meglio credi per la tua realizzazione. Non è vero che non avevi voglia di lavorare. Dovevi solo trovare la tua dimensione. Sarai un bravo ristoratore. Pelato ma affabile, amabile ma amaranto, lotriere dirimpetto, selgiuchide immodesto. Ma poi arrivò il Covid, e cominciasti a ripensare su alcune scelte fatte, specie a fronte dell'esplosione remunerativa dello smart working, per alcuni una vera e propria pacchia.

Vediamo, lingue dell'Italia antica, fallolatria,cledonomanzia e le figure barbine che Duccio mi faceva fare sotto il porticato di Brunelleschi. Io io io io io. Io che incontro Alessandro Haber nel pomeriggio davanti alla Pergola e lui che mi chiede se vado a vederlo quella sera ma io dico che non posso.

Nel pertugio condominiale dietro piazza del Carmine ti presi, quell'inebriante sera d'estate. La mia dentista si è spostata da via Corridoni a via Michelazzi: anche meglio, per me; ci arrivo in due minuti.

Io che non vado a vedere i Guns è una memoria imolese, ma non fiorentina. Sembra ieri il Firenze Rocks del 2018 con una rassegna sontuosa di concertoni, fra cui quello dei suddetti, che osavi solo sognare da un quarto di secolo ed eccolo qua. Aggratis perché noi andiamo al pratone del Visarno a sentircelo, mica andiamo dentro nella bolgia.

 Io io io io io. Sempre io che la mattina dopo il Social Forum becco Agnoletto in un bar e gli dico 'Grande Agnoletto!' e lui mi chiede se ero venuto il giorno prima e io gli dico che non avevo tempo e lui ci rimane malissimo e mi dice che dovevo venire. Ancora oggi sono fiero di non esserci andato, ma questo non mi impedisce di stimarlo. Guai a pensare che io stessi e stia combattendo una battaglia troppo diversa dalla, o meno nobile della, sua.

 

 

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