sabato 30 aprile 2022

COLORE DEL MOSTO di Gila Manetti

 


 

Cronaca locale

 

“Chi avesse smarrito un orecchino di un certo valore al Capolinea di testa del tram n°1, può trovarmi al medesimo posto Giovedì 7 Maggio alle ore sei del meriggio, per un’ora; porterò un cappello a bombetta color del mosto e un foulardino in pendant, seguirà accertamento. Se nessuno si dovesse palesare mi riterrò libero di disporre a piacere del suddetto monile.

 

Un onesto cittadino di passaggio”.

 

Chiuso riquadro

 

“Benfatto!” pensò.

 

Ludovico Serristori, fotografo professionista e viveur, era aduso a questo tipo di genialate (mai nella propria città, mai nello stesso luogo), per approcciare giovinotte scaltre; poiché l’orecchino mai fu perduto, coloro che si sarebbero presentate sarebbero giocoforza state fanciulle o signore di certo ardimento, che molto probabilmente sapevano leggere, intraprendenti: stuzzichevoli creature da condurre a sé per qualche ora di piacevolezza.

 

Avrebbe come al solito avuto in tasca un gioiellino di tanto fina quanto fasulla fattura, nell’evenienza si fosse presentato qualcuno di corposo, marito, fratello o quant’altro di cui non sapeva cosa farsene, e infine per lasciare alla fanciulla il ricordo della sua fuggevole quanto strapazzante presenza.

 

Quante avventure ne arano sortite, quanto savoir-faire, quanta fascinazione.

 

Si innamorava ogni volta di quelle cartoline che ne sortivano, storielle audaci quanto il personaggio che nasceva in sé in ogni incontro.

 

Nella camera oscura della casa che abitava come attracco Ludovico custodiva un libro con le fotografie che lui stesso scattava alle fanciulle e dietro ad ogni cartoncino correva il filo romantico eppure schietto della vicenda.

 

 

Dunque Giovedì 7 Maggio alle ore cinque e mezza, con il nome di Renato Badalamenti, si appostò al capolinea della linea 1 con la sua attrezzatura fotografica che funzionava con modernissimo rullino Kodak. così da studiare i movimenti del luogo, gli angoli, le presenze.

 

Cappello e foulardino in mostoso pendant.

 

Alle sei e tre a minuti si presentarono una madre con la figlia che aveva smarrito un orecchino da tutt’altra parte della città, ma che la più anziana delle due si ostinò a far chiedere alla giovane che, paonazza, non alzava lo sguardo dalla vergogna, peccato egli pensò, perché era davvero deliziosa.

 

Alle sei e dodici una coppia di curiosi voleva sapere se fosse stato riconsegnato il valore, alle sei venti una guardia che voleva in tutti i modi prendere in carico il gioiello e che Ludovico dovette allontanare richiedendo che ci fosse anche un superiore a testimoniare il fatto.

 

Alle sei e tre quarti, quando ormai era sul punto di dare la serata per perduta, una donna vestita dei toni del verde e del mosto, dal passo svelto e dalla mossa chioma fulva scarmigliata gli si parò davanti col fiato grosso.

 

Aveva perduto il tram e si era avvicinata a piedi.

 

Si sedettero per farle prendere fiato ad una delle panchine della fermata: la donna che disse di chiamarsi Violetta si interessò moltissimo all’apparecchio per la fotografia cosicché il discorrere fra il due divenne presto un fiume di parole che prometteva di riversarsi in un mare di accordi comuni.

 

Dio se questa non era meravigliosamente bellissima!

 

Avrebbe dovuto giocarsela con la migliore versione di sé.

 

La donna, si occupava di costumerie per il Teatro della Prosa e dell’Opera e l’orecchino che era venuta a reclamare non era esattamente stato perduto da lei medesima, ma dalla famosissima cantante Osanna Nascimbeni, che la aveva spedita in sua vece con una descrizione della buccola che non stava né in cielo né in terra, Violetta s’era dovuta presentare per forza e con poche speranze di riuscita, e il fatto di aver conosciuto Renato era per lei una insperata ricompensa.

 

Quello ascoltava ed era accorto e mai lezioso, vicino ma non incombente, mentre sentiva che via via si sgretolava la maschera e restava qualcosa che s’assomigliava al vero.

 

Dunque Violetta accettò di buon grado d’andare a cena con il fotografo, e poi a zonzo, a mostrare lui le bellezze della città in cambio della mostra del fatidico orecchino che Ludovico le consegnò quando infine accettò di seguirlo al suo albergo dove la nudità delle loro anime si confuse allegramente con quella dei corpi.

 

Almeno all’apparenza.

 

Poiché al risveglio del quarto giorno d’una passione olimpica Ludovico si trovò alleggerito di tutti i suoi quattrini, orologio, apparecchio fotografico e della bombetta colore del mosto.

 

Sul cuscino al suo fianco un biglietto recitava:

 

“Ho sinceramente amato il tuo Teatro, spero che medesimamente tu abbia apprezzato il mio.

 

Con sinceri ringraziamenti.

 

Violetta?”

 

 

Quella non fu l’ultima volta che Ludovico Serristori, o come diavolo si fece chiamare, andò per il mondo a sedurre bellezza, ma Violetta (?) fu la sola donna che gli restò profondamente impressa nel cuore e nelle carni e della quale non ebbe mai né il nome né una fotografia da istoriare.


 

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