sabato 30 aprile 2022

LA DIGA di Andrea Consonni

Quando si svegliò lei se n'era già andata.  Sul comodino aveva lasciato un biglietto con scritto che prima di proseguire il viaggio verso nord si sarebbe fermata alla diga di Vogorno per scattare qualche foto visto che aveva saputo che ci avevano girato James Bond. Fra gli anarchici Luisa era la sola che avesse conosciuto a non vergognarsi di ascoltare musica commerciale, di seguire il Festival di Sanremo e di adorare la saga di 007. Un giorno al Circolo Malfattori aveva deciso di organizzare, sfidando pregiudizi e censure, una rassegna bondiana e il successo di pubblico era stato tale che non avevano più avuto problemi nel pagare l'affitto della sede. Nel biglietto lo aveva pregato anche di far avere a Lorena appena l'avessero scarcerata gli orecchini che stavano nel sacchetto di tela insieme a una sciarpa e a La lettera scarlatta. Se lui aveva lasciato l'ambiente anarchico perché sentiva di essersi trasformato in un uomo pieno di certezze e violenza, lei invece era stata progressivamente messa ai margini per le sue posizioni contrarie all'aborto, l'immigrazione, le libertà individuali. Alcuni suoi scritti pubblicati su alcuni siti e opuscoli e altri interventi in assemblee nazionali erano stati definiti reazionari, nazivegani, omofobi, razzisti. Anche solo nel frequentarla e dire di essere suoi amici poteva costarti caro. Dopo l'arresto per la rapina aveva cominciato a far uscire dal carcere scritti sempre più violenti e identitari. Nessuno le aveva espresso solidarietà. Lui non aveva mai smesso di scriverle, anche se non riusciva più a seguirla nelle sue prese di posizione, come quella volta che gli scrisse che se fosse stata francese avrebbe votato certamente per Marine Le Pen. Uscita dal carcere era scomparsa. Lui l'aveva cercata nella sua vecchia casa fra le montagna ma aveva trovato appeso alla porta un avviso di vendita. Aveva chiamato la sorella che gli aveva risposto che anche con lei e i genitori non si era fatta viva. Erano trascorsi gli anni e di lei nessuna traccia, se non qualche intervento online e su giornali di destra contro la fecondazione assistita, i vaccini, il matrimonio omosessuale, l'Unione Europea, il multiculturalismo. Non aveva perso il gusto della provocazione che l'aveva sempre contraddistinta e gli studi classici e il suo talento stilistico le avevano permesso di fregiarsi in quell'ambiente di una erede di Oriana Fallaci. Poi il giorno prima lei lo aveva chiamato. Aveva subito capito che era lei, anche se la voce resa rauca dalle sigarette sembrava quella di un'anziana a cui restano pochi giorni da vivere. Non sapeva chi le avesse dato il suo numero. Forse sua madre o suo fratello. Gli aveva chiesto se poteva incontrarlo e lui l'aveva invitata a casa. Quando le aveva aperto si era ritrovato davanti una donna magrissima, con le mani e le braccia ricoperte dei tatuaggi degli amori della sua vita, di rune, di lupi e rami di quella quercia che, avrebbe poi scoperto, le copriva la schiena. I capelli biondi le arrivavano fino alle ginocchia e zanne d'avorio le bucavano le orecchie. Si era seduta sul divano senza dire nulla ma sorridente. Le aveva offerto da mangiare ma gli aveva risposto che aveva mangiato un panino in un autogrill e che voleva solo bere qualcosa e farsi una doccia. Avevano bevuto una bottiglia di vino guardandosi negli occhi senza mai parlare. Fra le coperte era rimasto ancora il profumo delle creme che si era spalmata sul corpo dopo essere uscita dalla doccia per stendersi nuda accanto a lui. Dormiva sempre senza vestiti Luisa. E chi aveva vissuto con lei doveva accettare che la loro coinquilina girava spesso nuda per casa, indifferente ai giudizi altrui. Era rimasto steso al suo fianco tenendola per mano ascoltandola raccontargli del lavoro che l'aspettava in Germania in una comunità agricola autosufficiente, dei quattrini che suo padre aveva perso nella sala slot che stava all'uscita dell'autostrada, di come avesse deciso di fare a meno di medicine e sigarette ma non dell'alcool. Lui non aveva quasi aperto bocca, se non per dirle che i soldi che lei gli aveva chiesto di custodire stavano dietro il quadro in cucina. Lei gli aveva risposto che li poteva tenere e spendere come voleva. Che non le servivano più ma che aveva sempre saputo che lui non l'avrebbe mai tradita. Gli aveva chiesto dove fosse finita Giulia e lei aveva imprecato quando le aveva raccontato che si erano separati da anni. S'informò sulla sorte di tutti gli altri ma di loro sapeva solo quello che scrivevano i giornali. “Ti ricordi quella volta che abbiamo dormito insieme a Genova nella casa di Enrico e tutti pensavano che fossimo una coppia e nessuno ci credeva che non mi avevi toccato nemmeno con una mano? Mi piacque quando non ti giustificasti. Sapevi come non farti infastidire da pettegolezzi e cattiverie” Lui invece le aveva ricordato della volta che si erano conosciuti. Era stato a una manifestazione a Brescia. Vent'anni tutti e due. Lui con gli occhi gonfi per i lacrimogeni e lei con una ferita aperta sulla fronte che necessitava di qualche punto. Si erano nascosti nel sottoscala di una casa fino a quando non si erano cambiati d'abito ed erano riusciti ad arrivare alla sua macchina. L'aveva riaccompagnata a casa e lei in autostrada gli aveva chiesto di mettere su Radio Dj. Erano finiti poi in un bar insieme a tutti gli altri a smaltire le scorie di una giornata difficile. Da subito si era stabilito fra loro due un'amicizia fatta di confidenze e rispetto. Lei che accettava senza timore i suoi silenzi, le sue nottate alcoliche e la sua intransigenza ideologica, lui sempre disponibile a ascoltare i suoi lunghi monologhi sui ragazzi per i quali perdeva la testa e che si rivelavano quasi sempre degli stronzi e a risolvere le conseguenze degli scatti di violenza che compromettevano manifestazioni e presidi come la volta che tirò un pugno a una giornalista del giornale locale che si era avvicinata per rivolgere qualche domanda.

 

Si era addormentato mentre lei gli raccontava singhiozzando di come sua madre avesse il Parkinson e che non l'aveva riconosciuta quando l'aveva rivista. “Pensava che fossi la sua infermiera. Mia sorella ha quattro figlie. Tutte bionde come me. Sono stata felice di vederle prima di andarmene”. Andò in cucina e i soldi erano ancora dietro il quadro. Il cellulare cominciò a squillare e a riempirsi di foto della diga e di selfie di Luisa che sorrideva coi capelli mossi dal vento. Sei sempre stato buono con me, Andrea, grazie, gli scrisse. Fuori dalla finestra i bambini ritardatari correvano per raggiungere la scuola prima del suono della campanella. Dietro di loro uno dei volontari che li accompagnavano lo salutò con la mano. Tutto quello che gli rimaneva di quegli anni di cortei, arresti, denunce, assemblea era quella busta piena di soldi, le foto di Luisa e una vita solitaria fatta di lavoro, libri e camminate in riva al lago. Non sapeva cosa risponderle e rimase a guardare quel sorriso fino a quando si fece sera e cominciò a scendere la neve che lentamente ricoprì la strada e le macchine parcheggiate fuori dalla fabbrica abbandonata. Accese il camino e mentre mangiava i resti della cena del giorno prima guardò le banconote bruciare uno dietro l'altro, fino a che non rimase di quel pomeriggio di vent'anni prima."

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