domenica 31 luglio 2022

OSSESSIONE di Angelo Lachesi

Lo vidi la prima volta alla fermata dell'autobus. Era un uomo basso, esile, leggermente gobbo. Aveva una cornice di capelli scuri che avvolgeva le tempie, la testa calva, con le orecchie sporgenti e la fronte bombata. Camminava con le mani dietro la schiena e si muoveva lento, quasi flemmatico, senza mai togliermi di dosso i suoi occhi cattivi e maliziosi. Indossava una giacca marrone, primaverile e un pantalone dal taglio classico. Sotto il naso largo e carnoso, la bocca si muoveva con uno scatto laterale, continuo e appena percepibile.

Ma ciò che più mi colpì di quell'individuo era la cicatrice sul labbro inferiore: un solco nella pelle che partiva dal mento e arrivava fin sotto al labbro. Era irregolare e bianchiccia e sembrava dovuta ad una profonda ferita. 

L'uomo mi fissò con attenzione poi distolse lo sguardo torcendo la bocca in segno di disgusto. Quando arrivò l'autobus, l'uomo rimase immobile, con le mani dietro la schiena, osservando le porte richiudersi e il mezzo andare via. 

Lo rividi il giorno seguente, in panetteria. Ero in coda, in attesa del mio turno quando lo notai alle mie spalle. Aveva gli stessi abiti del giorno precedente, lo stesso sguardo maligno, le mani mani intrecciate dietro la schiena.

Lo rividi il giorno dopo ancora. Era al parco, mentre passeggiavo in bici. Poi lo rividi davanti all'ingresso pedonale del mio condominio e ancora dal tabaccaio, poi all'uscita per la pausa pranzo mentre si confondeva con i colleghi. E lo vidi ancora sul balcone del vicino quando uscii a fumare, in televisione mentre inquadrarono il pubblico di un quiz televisivo, in metro, in piedi dinanzi a me, al reparto ortofrutticolo del supermercato mentre sceglievo le verdure e persino alle spalle del postino mentre mi consegnava la posta. Aveva sempre gli stessi vestiti, mi guardava sempre col suo sguardo vacuo e cattivo allo stesso tempo, con le mani dietro la schiena e la cicatrice sul mento che sembrava brillare sul quel volto anonimo. Era evidente che mi perseguitava!

Raccontai la vicenda ad un collega. Sembrò non prendermi sul serio, poi mi consigliò di parlargli, chiedergli cosa volesse e perché mi seguisse di continuo. Nel caso, mi disse, avrei potuto rivolgermi alla Polizia.

Meditai a lungo quella sera e pensai che lo avrei affrontato a muso duro. Gli avrei chiesto cosa volesse, magari lo avrei anche minacciato; tanto, cosa avrebbe potuto farmi un mingherlino come lui…

Mi addormentai immerso in quei pensieri e dormii un sonno lungo e tranquillo.

La sorpresa fu al risveglio. Quel dannato era nel mio letto. Era coricato accanto a me, disteso sul lato destro e mi fissava con la testa appoggiata al cuscino. Rimasi qualche secondo in preda allo sgomento, col fiato sospeso e gli occhi sgranati, poi mi alzai di scatto e corsi verso l'uscita. Mi fiondai per le scale e in pochi secondi fui per strada, scalzo, in pigiama, intorpidito dal freddo, con la gente che mi fissava sbigottita. Mossi alcuni passi sul marciapiede e vidi di sfuggita la vetrina del negozio di abbigliamento. L'uomo era lì, accanto ad un manichino in polo e bermuda. Prima che potessi chiedermi come avesse fatto quel maledetto, urlai a squarciagola col viso contratto dallo spasmo. Scappai via, correndo a perdifiato.

Anche quando mi fermò la Polizia, lui era lì, dietro di loro, e mi fissava col suo volto cattivo, impassibile, e la cicatrice che continuava a brillare anche alla luce del sole.

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