domenica 31 marzo 2019

OCCHIALI NERI di Massimiliano Piccolo


Indossa grandi occhiali neri per rimbalzare gli occhi del mondo. Non basta doversi difendere ogni secondo, a fatica, tra quelle quattro mura che dovrebbero essere casa. Un tempo che quasi non ricorda più, avvertiva tutto così sicuro, ascoltava quella voce delicata e intingeva lo sguardo in quel timido sorriso.
Poi qualcosa è cambiato. Un fatto, più fatti, o forse qualche misfatta. Ed è così che tutto si è annebbiato nel macigno di mente che si ritrova. Si domanda se possa essere stata la perdita di quel maledetto posto di lavoro a scatenare l’ira cieca che pensava non potesse celarsi da nessuna parte. Perlomeno dentro di lui.

Si erano conosciuti al liceo, lui aveva un paio di anni più e guidava, senza casco, una vespa dipinta tutta d'azzurro. Si erano incontrati nei corridoi e si erano scambiati uno sguardo lungo tre passi. A fine giornata lui l'aveva fermata all'uscita della scuola, offrendole un passaggio. Lei, mai coraggiosa nella vita sino a quel momento, aveva risposto il primo e convinto . Quel passaggio verso casa era ben presto diventato l’alibi per una breve escursione pomeridiana sulla spiaggia più vicina. Da quel giorno si frequentarono, in modo assiduo, con la foga tipica dell'adolescenza, perché ogni istante non condiviso sembrava essere perduto, privato di senso. Giorno dopo giorno, sino a quando, dopo qualche anno, lui aveva cominciato a lavorare, e lei pure. Senza pensarci due volte, avevano deciso di andare a vivere insieme per non perdersi nemmeno una briciola di quei momenti sin troppo preziosi.
Durante i primi mesi di convivenza qualcosa è cambiato. Lui si è fatto più rabbioso, introverso, e lei non riusciva ad afferrarne il motivo. Si limitava ad abbozzare una domanda e lui si faceva ancora più ostile.
Poi, un giorno nuvoloso come tanti, lui ha perso il lavoro. Con la stessa facilità con cui si smarrisce un mazzo di chiavi. Lei lo ha scoperto quasi due mesi dopo, quando aveva incontrato un'amica comune che si dispiaceva per quel fatto che ignorava. Così è tornata a casa, ha domandato timidi chiarimenti, e lui le ha scagliato addosso un piatto che le è finito sulla spalla, per poi terminare la sua corsa sul pavimento, in milioni di piccolissimi pezzi.

Così si è inaugurata la sua nuova relazione, quella con la violenza. Un uomo irriconoscibile, un mostro che dimorava nella sua stessa dimora e, ancora peggio, tra le pieghe delle sue emozioni tanto ingenue e inconsapevoli. Ha continuato a non capire, a domandarsi e a domandare il perché, ottenendo soltanto schiaffi sul volto, pugni all’altezza dello sterno, un campionario interminabile di oggetti scagliati addosso e urla che non potevano appartenere a lui. Era certa che non potesse essere la sua voce. Dubitava che potesse trattarsi della stessa persona che amava proprio per quella sua dolcezza così pura, sterminata. Ma forse quello era il passato. Un passato sfumato in un presente di paura, tormento e dolore. Un presente di silenzi e di voluminosi occhiali neri.

Cammina nella città di sempre. Con gli occhi avvolti da lenti scurissime e lacrime che soffocano dentro agli occhi. Si infila nel solito parco e si siede su una panchina qualsiasi. Prende lo smartphone e cerca su google i vari contatti di associazioni che difendono le donne vittime di violenza. Sono sempre gli stessi siti, a cui manca soltanto la stellina gialla dei preferiti. Li scorre, legge qualche articolo a caso e chiude le pagine, cercando un'amica per confidare quel tormento che fa fiorire lividi sulla sua pelle liscia. E' troppo tempo ormai, mi prenderebbero per una scema, si dice, cancellando la cronologia di quei siti che potrebbero aiutarla e riponendo il telefono al sicuro nella borsa. Ferma, immobile, si limita a scrutare la tranquillità che scorre in quel parco da dietro quelle lenti che le isolano gli occhi chiari, e l'occhio nero.

Passano due ragazzini con lo skate e la fissano con una certa insistenza. Lei non sa perché, non vuole immaginarlo, non può. China lo sguardo, impaurita e vittima di una vergogna assassina. Non appena schizzano via, solleva il volto verso il cielo come per cercare un etereo conforto. Il cielo è nitido, ci sono poche nuvole che scorrono veloci. Le osserva allontanarsi. Se soltanto potessi essere così leggera. Rimane a fissarle mentre scompaiono dalla sua visuale, oltre le fitte chiome dei longilinei pini marittimi.
La raggiunge un velo di magone e, questa volta, decide di lasciarlo scorrere sulle guance ancora indolenzite dal dolore. D'un tratto, da dietro una folta pianta di azalea, spunta un gatto, miagolante, magro e nero, che le si avvicina e comincia a strusciarsi sulle caviglie. Lei lo accarezza e lui offre la sua testolina per essere grattato come si deve. Il gatto inizia a fare le fusa e dopo qualche istante sale sulla panchina e riprende a strusciarsi vicino alla pancia di lei.

Lo guarda e continua ad offrirgli le carezze che fanno bene a entrambi. Poi il gatto si sdraia sulla sua pancia, sollevando il piccolo muso nero, ancora in cerca delle sue mani soffici. Lei si stupisce. Forse l'amore è ancora possibile. Il gatto serra gli occhi tinti di giallo e si lascia andare a un riposo cadenzato da fusa profonde, sincopate. Lei lo avvolge e si lascia avvolgere, senza sorridere, soltanto immortalando il momento, bagnato da un bel sole caldo.

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