domenica 30 giugno 2019

RIFLESSIONI CON E SUI DEMONI di Roberta Sandrini

E ora ho messo anche te fra i miei demoni. Ti ho messo lì fra altri per non chiamarti fallimento, per non
chiamarvi tutti fallimenti e deprimermi per delle sciocchezze. Perché tali siete, sciocchezze e fallimenti. Ma
la constatazione del secondo aspetto mi procura tuttavia un tale fastidio malinconico all’inizio, che
velocemente sfila in una greve amarezza, la quale oscura la vostra reale natura di sciocchezze, che ho
deciso di ingigantirvi ed allo stesso tempo ingentilirvi, nobilitarvi, facendovi divenire demoni.
Demoni quindi. Pensieri con cui misurarsi, provare la propria forza d’animo, la propria capacità di far fronte
alla paura, all’inquietudine, allo smarrimento in grandi cose sconosciute.
A volte riesco sì ad affrontarvi, altre devo ritirarmi , ma a questo punto siete demoni, sono del tutto
giustificata, nessuno mi potrà accusare se non sarò riuscita a misurarmi con voi, e sentirò solo
eventualmente complimenti se sarò al contrario riuscita a tenervi testa.

Demoni che parlano a due voci. Si fanno belli del loro nuovo stato ed alzano la voce, tronfi e bulli, invitando
ad un battagliero confronto e che poi all’improvviso, come un cantante che perde improvvisamente la voce
nel mezzo di un assolo, lasciando l’intero teatro frastornato ed incredulo, parlano nuovamente con
l’accento chioccio e filiforme del fallimento.
Una nota stonata nell’ordine ristabilito fra i pensieri.

Demoni che celano l’inganno, demoni ridicoli, demoni veri. Quelli che celano il volto crudo ed osceno della
sofferenza.
Mio padre che annaspa con le mani in aria, cercando la mia mano che insegue la sua, scarna ed ingiallita,
raccoglie le ultime forze per mormorare che ha paura e non vuole morire, come se io potessi farci
qualcosa,salvarlo.
Mia madre che mi guarda dal cuscino, ed all’improvviso il suo sguardo è vacuo, perso dietro ad un punto
che solo lei fra tutti può cogliere, può seguire, finchè quello sguardo si perde del tutto, si fa fisso ma senza
osservare nulla.
Animali amati, che attendono l’ultima carezza per esalare un profondo respiro, che li priva per sempre
dell’aria e della luce.
I demoni che non hanno bisogno di voce, vivono di immagini ancora vivide, di ricordi che scottano l’anima
come una fiammella la pelle.
Convivono con gli altri con la tranquillità data da un naturale e consapevole senso di superiorità, per il
quale basta alzare un sopracciglio e stendere una mano per tacitare il cicaleggio della piccola folla querula e
stupida, per avviare discorsi infine seri.

Ed ogni cosa è di nuovo ordinata, si acquieta, si arrotola come un gatto pasciuto prima di rifarsi tigre della
sfida, animale notturno della sofferenza, scimmia dello scherno, aquila del raro volo sereno e distaccato.

Chi sconfiggerà i demoni? Io? Lo voglio? E’ necessario? E’ possibile? E’ possibile sceglierne alcuni e non
altri? Davvero posso decidere di quali ho bisogno, di quali posso fare a meno? E addirittura posso decidere
che alcuni di loro riacquistino mestamente la veste di poveri fallimenti?
Poi ho pensato che i demoni vivono di vita propria, ormai li ho consegnati ad una loro esistenza autonoma
sulla quale non ho più potere di decisione e d’azione. O non l’ho pensato, l’ho deciso per mia comodità o
sopravvivenza, perché lo stesso pensiero dei miei demoni stava diventando il demone più grande di tutti.
E li ho guardati accomodarsi fra le ombre della sera, che si allungano dopo il picco del sole, che poi
noncurante gira le spalle e si sdraia oltre l’orizzonte: nessun demone per lui, solo luce che si alza, viaggia
alta fra le nuvole e si attenua, rincorrendo il suo padrone.
Ed abbiamo ascoltato insieme il richiamo degli uccelli che sfrecciano al crepuscolo, i rumori misteriosi del

primo buio, ed un grillo sperduto che parlava a sé stesso, o anche lui ai suoi demoni.

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