venerdì 31 gennaio 2020

9 NOVEMBRE 1989 di Paolo Battaglino


PA PA PA, PA PA PAAAA

C’è un pianeta azzurro ricoperto di nuvole. L’inquadratura è sul polo inferiore, si avvicina e rimbalza lontano, si accentra sul pianeta. Sull’azzurro compare un’ombra a forma di T, una E, una L e subito un enorme anello composto da lettere gialle fascia il pianeta. T-E-L-E-G-I-O-R-N-A-L-E.

PAAAPAPAPAPAPAAAA
PAPAAAAAA
PA-PPAAAA

Un satellite giallo, TG1, chiude la sigla e lo sfondo dello spazio si schiarisce di nuvole bianche.

PAPAAAAAAAAA

Il giornalista è impeccabile, impettito senza sembrarlo, giacca e cravatta, mezzobusto ruotato sul fianco sinistro. Tiene le mani su alcuni fogli, davanti alla scrivania ha un monitor che non guarda, preferendo Bianca e Isabella da casa.

L’inquadratura si allarga. Dietro c’è una parete azzurra, una telecamera dismessa con stampigliato RAI e in fondo, in una losanga, il pianeta azzurro con il suo satellite tg1.

Una notte storica per i berlinesi e per il mondo intero. Cinquantamila persone hanno varcato il muro da Est a Ovest accolti dall’abbraccio fraterno di una città in festa e le autorità della Germania comunista hanno iniziato oggi a demolire il Muro. Un fiume di folla in festa passa, i berlinesi dell’Ovest applaudono.
Applausi.

La voce del giornalista è morbida, fa tante pause e si sentono le grida di gioia, gli applausi. Muove le mani pulite, le unghie curate, le muove da uomo perbene.
Isabella s’incanta a guardare la tele, ma deve studiare. Sbuffi di fumo annebbiano il sussidiario, aperto dietro la tazza di latte.

Tanti giovani, giovanissimi in festa che dell’Occidente e delle libertà sapevano solo quello che gli avevano raccontato i loro genitori. Guardate questo fiume di folla, questo fiume di folla che passa sotto gli occhi della Volkspolizei, la famigerata polizia del popolo che tante volte ha sparato per impedire l’attraversamento del Muro.
Canti.

La capitale della Germania Ovest è Bonn, mentre quella della Germania Est è Berlino che è divisa in due parti dal Muro. Isabella prova a tenere a memoria quei nomi strani. Basta ricordare la Germania buona e quella cattiva, dell’Est come la strega del mago di Oz.
Bianca porta le mani alla bocca, non è normale la tele accesa di mattino presto, ma oggi è diverso.

C’è gioia, una gioia tranquilla, tanta gente ‘sta notte è andata a far festa a Berlino Ovest e poi questa mattina è tornata al lavoro. Libertà, libertà stanno scandendo.
Non posso credere che veramente posso passare, sento che sto per svenire – sta dicendo questa donna.
È l’ora, è l’ora che sto aspettando da 28 anni, è meraviglioso.

Bianca corre attorno al tavolo, prende il viso di Isabella fra le mani, lo stringe, lo bacia.
Bianca piange.
La bimba guarda un po’ la tele e un po’ sua madre.

La Porta di Brandeburgo, eccolo il monumento al disprezzo del bene più grande che l’uomo possa avere, la libertà, preso d’assalto dalla parte occidentale ed ecco i primi colpi di piccone. Sollevano solo polvere per ora ma il Muro, questa visione kafkiana e concreta di quella che una volta era la Cortina di Ferro, non esiste più.

Si piange per un forte spavento, quando passa.
Si piange per i denti, ma poi cadono e ricrescono.
Si piange quando muore zia, più forte quando chiudono la bara.
Si piange se ti lasciano a casa da sola per sbaglio e sei troppo piccola.

         No Isa, – fa Bianca alla figlia. – È caduto il Muro, una cosa bella.
         Sì ma io?
         Come?

Il giornalista abbraccia tutti con la voce, se potesse ripeterebbe “siamo tutti berlinesi”. Le mani morbide che ora stringono una penna se potessero stringerebbero le mani di tutti i telespettatori, dei berlinesi dell’Est, di Bianca, dei berlinesi dell’Ovest, darebbero un buffetto a Isabella.

         Qual è la capitale della Germania intera?
         Come Isa? Ma non importa, Berlino credo ma che importa?
         Berlino Est o Berlino Ovest?
         Non lo so, che t’importa, non importa più!
         A me importa, cosa dico alla maestra?

N.d.A. l’unica volta che vidi Frajese incazzato ce l’aveva con quel cretino che entrava nelle inquadrature, Paoletti mi pare si chiamasse, o Paolini e Frajese (genio!) gli dette un calcio. Questo tipo entrava nelle inquadrature dei giornalisti durante le dirette. Il cameraman stringeva l’inquadratura per non prenderlo, ma il tipo allungava il mento sopra la spalla del giornalista. Continuando a parlare Frajese lo scalciò da davanti come un cavallo, mentre quello faceva le facce. Frajese morì troppo presto e lo paragono nei modi, pur non avendoli conosciuti, a Calvino. E al professor Viglierchio, lui l’ho conosciuto.

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