Stamattina,
poco dopo la prima pausa, quella di sei minuti, dopo tre ore di lavoro, Terry
mi ha preso da una parte e sottovoce mi ha raccontato che il figlio del
calzolaio, vicino di casa, le ha giurato di averne incontrato uno, tre sere
prima, in un vecchio magazzino abbandonato della Barilla. E di averci parlato,
per dieci minuti.
La
cosa mi ha lasciato abbastanza indifferente all’inizio, perché ultimamente non
passa giorno che Terry o qualcuno del vecchio gruppo non se ne salti fuori con
la storia che ci sono stati dei sopravvissuti; cosa che io ritengo del tutto
improbabile. Ho continuato ad ascoltarla più che altro pensando che la mia
prostata è davvero migliorata, se dopo tre ore di lavoro non avevo necessità di
andare di corsa al bagno ed ero abbastanza tranquillo sull’arrivare alla pausa
lunga delle sei ore, senza paura di cominciare a soffrire per l’impellenza.
Davanti
al mio scetticismo Terry ha ricominciato con quella sua fissa che almeno
quattro di loro inizialmente non erano stati trovati e che i cadaveri bruciati,
presentati successivamente, erano talmente irriconoscibili che potevano essere
quelli di un qualunque migrante recuperato in uno di quei camion che ancora
continuavano a trasportarli, lungo la rotta che partiva dalla Turchia.
Per
l’ennesima volta le ho ripetuto che per come si era sviluppato l’incendio, era
abbastanza improbabile che qualcuno, oltre ai 7 arrestati e subito fatti
sparire dalla milizia governativa, si fosse salvato.
La
Dreaming House, quella notte, era andata completamente distrutta in poco più di
mezz’ora.
L’incendio,
sicuramente doloso, si era sviluppato contemporaneamente su tutti i tre piani
dell’edificio, nello stesso preciso momento, tagliando qualsiasi via di fuga
che non fosse quella del buttarsi dalle finestre. Che però, piuttosto
stranamente, erano risultate quasi tutte sigillate a causa della
disinfestazione generale programmata per il lunedì successivo. Qualcuno alla
Dreaming House era stato troppo previdente, se è vero che aveva bloccato
ermeticamente le finestre tre giorni prima del necessario. Ma quello non era un
posto di gente qualunque.
Alla
Dreaming House ci andavamo a sognare.
A
colori.
Si,
perché allora, nonostante tutto, parecchi di noi riuscivano ancora a sognare.
Seppur solo in bianco e nero.
Se
però volevi ritornare a sognare a colori, dovevi seguire il corso clandestino
che avevano messo in piedi due finlandesi di cui noi conoscevamo solo i nomi di
battaglia: Aureliano e Topiki.
Nonostante
l’impegno che ci ho messo, io non ci sono mai riuscito.
Magari
era questione di nervosismo, di non predisposizione, ma non mi è mai riuscito.
O
forse ci avevano messo tante di quelle schifezze nel cibo, alla mensa, che
qualche parte del nostro sistema nervoso, si era bruciata la capacità di
sognare. Inizialmente solo a colori, poi con l’andar del tempo anche in bianco
e nero.
O
ancora, forse, si trattava di incapacità a togliermi di dosso la paura che
qualcuno ci avesse seguito, lungo il percorso labirintico che eravamo costretti
a fare, quando ci veniva data la possibilità.
Ci
avvisavano battendo la porta tre volte. E noi dovevamo rispondere battendo la
porta due volte. Se per risposta sentivamo ancora un battito, significava che
la serata era confermata. Altrimenti era assolutamente sconsigliato uscire a
caso.
I
colori dai sogni avevano iniziato a sparire ai tempi della Migrazione
Vorticale, qualche anno fa, quando la gente si era convinta che il futuro era
comunque da un’altra parte e che non valeva la pena battersi per uno migliore
nel posto dove abitava. E tutti avevano
cominciato a trasferirsi da una parte all’altra del mondo, ridisegnando città,
riscrivendo rapporti, depauperando comunità.
E
finendo talvolta con il tornare sui propri passi, a volte senza nemmeno
accorgersene. Ma sempre senza più la capacità si sognare.
L’ultima
cosa che ricordo di aver sognato a colori era un limone giallo, poggiato su di
un tavolo di una non precisata sala da pranzo di un albergo, il giorno
successivo alla morte di mia madre, avvenuta a 200 chilometri da casa, in un
paesino dell’Alsazia dove era anche lei finita nella follia della Migrazione Vorticale.
Dopo
l’incendio alla Dreaming ho smesso di sognare del tutto
Terry
giurava che alla Dreaming una volta aveva sognato a colori. Credo si fosse
inventata la cosa, per continuare a dare un senso alle nostre pericolose uscite
notturne. O forse alle nostre vite.
E
comunque, fosse stato anche vero, rimaneva un sogno di merda.
C’era
casa nostra che bruciava. Il cielo tutto intorno era di colore rosso e io
correvo dentro e fuori e salvavo delle cose inutili e che assolutamente non mi
appartenevano: un porta carta igienica con la faccia di Dalì, un candeliere
ebraico che avevo comprato da Woody Allen, una copia di “Piccole
Donne”autografata da Garcia Marquez . Che peraltro non avevo mai letto. Piccole
Donne intendo.
Alla
pausa grande Terry ha continuato ad insistere che dovevamo fare un giro a quel
magazzino della Barilla e abbiamo litigato. E a fine turno, quando sono tornato
a casa, dopo una birra con un amico lei non c’era.
Ho
cenato da solo, succede talvolta. Ho aggiornato il mio profilo obbligatorio con
gli ultimi dati e mi sono messo a letto.
Le
milizie hanno abbattuto la porta verso le 22. Non hanno detto niente. Hanno
buttato tutto sottosopra. Non ho protestato, so per esperienza che non
conviene. Sono rimasto in un angolo a cercare di capire se ci fosse un anello
debole, un qualcuno a cui aggrapparmi per chiedere notizie di Terry, perché a
questo punto era chiaro che lei o qualcosa di lei stavano cercando. Ma non ho
individuato nessuno. Sono usciti alle 22,38. Ma subito uno è rientrato
chiedendo un bicchiere d’acqua. Gliel’ho dato e l’uomo mi ha ringraziato, prima
di uscire nuovamente. E istintivamente ho pensato che anche lui doveva avere
una compagna e magari dei figli e che faceva un lavoro di merda e poi mi sono
fermato. Perché stavo santficando uno della Milizia.
Mi
sono seduto su quello che rimaneva del divano, sventrato e ribaltato e mi sono
preso la testa tra le mani. Non credo di aver pianto.
Poi
sono andato in cucina e sotto il bicchiere ho trovato il biglietto.
“Sto
bene . Sono stata avvisata in tempo. E avrai capito da chi. Stiamo provando a
sognare “
C’è
buio adesso, profondo, nella testa, nel cuore e intorno a me.
Ma
non riesco a prendere sonno.
Sento
bussare alla porta tre volte, ma non mi alzo. Poi mi alzo di scatto e corro ad
aprire la porta, ma non c’è nessuno. Di colpo il buio del cortile è
attraversato da una fiammata rossa verso il cielo e distintamente sul fondo
vedo esplodere un appartamento nel palazzo presidenziale. Luci gialle si
accendono, sirene blu attraversano il cielo ululando. Intorno è il caos.
E
di colpo mi sveglio. Sul divano, la testa fra le mani. E non so se tutto è
reale o è solo un sogno.
So
che comunque è a colori.
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