venerdì 31 gennaio 2020

DREAMING HOUSE di Andrea Mitri


Stamattina, poco dopo la prima pausa, quella di sei minuti, dopo tre ore di lavoro, Terry mi ha preso da una parte e sottovoce mi ha raccontato che il figlio del calzolaio, vicino di casa, le ha giurato di averne incontrato uno, tre sere prima, in un vecchio magazzino abbandonato della Barilla. E di averci parlato, per dieci minuti.
La cosa mi ha lasciato abbastanza indifferente all’inizio, perché ultimamente non passa giorno che Terry o qualcuno del vecchio gruppo non se ne salti fuori con la storia che ci sono stati dei sopravvissuti; cosa che io ritengo del tutto improbabile. Ho continuato ad ascoltarla più che altro pensando che la mia prostata è davvero migliorata, se dopo tre ore di lavoro non avevo necessità di andare di corsa al bagno ed ero abbastanza tranquillo sull’arrivare alla pausa lunga delle sei ore, senza paura di cominciare a soffrire per l’impellenza.
Davanti al mio scetticismo Terry ha ricominciato con quella sua fissa che almeno quattro di loro inizialmente non erano stati trovati e che i cadaveri bruciati, presentati successivamente, erano talmente irriconoscibili che potevano essere quelli di un qualunque migrante recuperato in uno di quei camion che ancora continuavano a trasportarli, lungo la rotta che partiva dalla Turchia.
Per l’ennesima volta le ho ripetuto che per come si era sviluppato l’incendio, era abbastanza improbabile che qualcuno, oltre ai 7 arrestati e subito fatti sparire dalla milizia governativa, si fosse salvato.
La Dreaming House, quella notte, era andata completamente distrutta in poco più di mezz’ora.
L’incendio, sicuramente doloso, si era sviluppato contemporaneamente su tutti i tre piani dell’edificio, nello stesso preciso momento, tagliando qualsiasi via di fuga che non fosse quella del buttarsi dalle finestre. Che però, piuttosto stranamente, erano risultate quasi tutte sigillate a causa della disinfestazione generale programmata per il lunedì successivo. Qualcuno alla Dreaming House era stato troppo previdente, se è vero che aveva bloccato ermeticamente le finestre tre giorni prima del necessario. Ma quello non era un posto di gente qualunque.
Alla Dreaming House ci andavamo a sognare.
A colori.
Si, perché allora, nonostante tutto, parecchi di noi riuscivano ancora a sognare. Seppur solo in bianco e nero.
Se però volevi ritornare a sognare a colori, dovevi seguire il corso clandestino che avevano messo in piedi due finlandesi di cui noi conoscevamo solo i nomi di battaglia: Aureliano e Topiki.
Nonostante l’impegno che ci ho messo, io non ci sono mai riuscito.
Magari era questione di nervosismo, di non predisposizione, ma non mi è mai riuscito.
O forse ci avevano messo tante di quelle schifezze nel cibo, alla mensa, che qualche parte del nostro sistema nervoso, si era bruciata la capacità di sognare. Inizialmente solo a colori, poi con l’andar del tempo anche in bianco e nero.
O ancora, forse, si trattava di incapacità a togliermi di dosso la paura che qualcuno ci avesse seguito, lungo il percorso labirintico che eravamo costretti a fare, quando ci veniva data la possibilità.
Ci avvisavano battendo la porta tre volte. E noi dovevamo rispondere battendo la porta due volte. Se per risposta sentivamo ancora un battito, significava che la serata era confermata. Altrimenti era assolutamente sconsigliato uscire a caso.
I colori dai sogni avevano iniziato a sparire ai tempi della Migrazione Vorticale, qualche anno fa, quando la gente si era convinta che il futuro era comunque da un’altra parte e che non valeva la pena battersi per uno migliore nel posto dove abitava.  E tutti avevano cominciato a trasferirsi da una parte all’altra del mondo, ridisegnando città, riscrivendo rapporti, depauperando comunità.
E finendo talvolta con il tornare sui propri passi, a volte senza nemmeno accorgersene. Ma sempre senza più la capacità si sognare.
L’ultima cosa che ricordo di aver sognato a colori era un limone giallo, poggiato su di un tavolo di una non precisata sala da pranzo di un albergo, il giorno successivo alla morte di mia madre, avvenuta a 200 chilometri da casa, in un paesino dell’Alsazia dove era anche lei finita nella follia della Migrazione Vorticale.
Dopo l’incendio alla Dreaming ho smesso di sognare del tutto
Terry giurava che alla Dreaming una volta aveva sognato a colori. Credo si fosse inventata la cosa, per continuare a dare un senso alle nostre pericolose uscite notturne. O forse alle nostre vite.
E comunque, fosse stato anche vero, rimaneva un sogno di merda.
C’era casa nostra che bruciava. Il cielo tutto intorno era di colore rosso e io correvo dentro e fuori e salvavo delle cose inutili e che assolutamente non mi appartenevano: un porta carta igienica con la faccia di Dalì, un candeliere ebraico che avevo comprato da Woody Allen, una copia di “Piccole Donne”autografata da Garcia Marquez . Che peraltro non avevo mai letto. Piccole Donne intendo.
Alla pausa grande Terry ha continuato ad insistere che dovevamo fare un giro a quel magazzino della Barilla e abbiamo litigato. E a fine turno, quando sono tornato a casa, dopo una birra con un amico lei non c’era.
Ho cenato da solo, succede talvolta. Ho aggiornato il mio profilo obbligatorio con gli ultimi dati e mi sono messo a letto.
Le milizie hanno abbattuto la porta verso le 22. Non hanno detto niente. Hanno buttato tutto sottosopra. Non ho protestato, so per esperienza che non conviene. Sono rimasto in un angolo a cercare di capire se ci fosse un anello debole, un qualcuno a cui aggrapparmi per chiedere notizie di Terry, perché a questo punto era chiaro che lei o qualcosa di lei stavano cercando. Ma non ho individuato nessuno. Sono usciti alle 22,38. Ma subito uno è rientrato chiedendo un bicchiere d’acqua. Gliel’ho dato e l’uomo mi ha ringraziato, prima di uscire nuovamente. E istintivamente ho pensato che anche lui doveva avere una compagna e magari dei figli e che faceva un lavoro di merda e poi mi sono fermato. Perché stavo santficando uno della Milizia.
Mi sono seduto su quello che rimaneva del divano, sventrato e ribaltato e mi sono preso la testa tra le mani. Non credo di aver pianto.
Poi sono andato in cucina e sotto il bicchiere ho trovato il biglietto.
“Sto bene . Sono stata avvisata in tempo. E avrai capito da chi. Stiamo provando a sognare “
C’è buio adesso, profondo, nella testa, nel cuore e intorno a me.
Ma non riesco a prendere sonno.
Sento bussare alla porta tre volte, ma non mi alzo. Poi mi alzo di scatto e corro ad aprire la porta, ma non c’è nessuno. Di colpo il buio del cortile è attraversato da una fiammata rossa verso il cielo e distintamente sul fondo vedo esplodere un appartamento nel palazzo presidenziale. Luci gialle si accendono, sirene blu attraversano il cielo ululando. Intorno è il caos.
E di colpo mi sveglio. Sul divano, la testa fra le mani. E non so se tutto è reale o è solo un sogno.
So che comunque è a colori.

Nessun commento:

Posta un commento