La vede dalla finestra della cucina fra le
foglie di origano e timo, la guarda appoggiando le mani al lavello di graniglia
consumato negli spigoli, la distingue intera. Ha la testa piena di progetti
srotolati, di cose sistemate in luoghi appropriati. Armonie necessarie alla sua
quiete. Fiducia.
È
una casetta di legno, o meglio un nido, al limitare del bosco, sospesa di
sghimbescio fra tre sughere, il pavimento elevato a tre metri dal terreno
muschioso.
A
unire i due mondi s’appoggia una scala a pioli tenuta insieme da rampicanti
d’edera saldamente avviluppata.
Foglie,
lanugine, pollini raccontano la strade di Eolo e Pluvio. Le stagioni.
Manca
il tetto, e due delle cinque pareti sono solo abbozzate.
A
terra una catasta di legno - traversine raccolte dalla linea ferroviaria
dismessa- riempie gli occhi di chi osserva, è un richiamo quotidiano alla
carpenteria. In effetti è molto più di un richiamo. Sono le voci scricchiolanti
dei sospesi, bilance di giustizie interiori, sentenze, condoni, evasioni.
Uno
Shangai sproporzionato.
Zoe
ha infilato gli zoccoli da campo e un maglione abbondante di cotone amaranto;
ora cammina col vento in faccia che le asciuga i pensieri.
Accarezza
il sughero con il palmo della mano. Canta i ritmi del da farsi.
Come
ogni primavera solleva, scuote e ripiega i teloni che da qualche anno distende
d’autunno- Ogni anno si promette di finirla quella stanza per aria. Anche se i
figli sono andati via da casa, anche se ogni volta che impugna la sega c’è
qualcosa d’infranto: nella sega, nel legno, nel progetto rivisto, nelle sue
giunture, nei suoi cassetti di sogni a metà.
Si
ferma a guardare la catasta ignuda, le gambe piantate a compasso e gli occhi
assottigliati a strizzare il passato fuori dai rispostigli del cervello.
Comincia
da pollice e indice, percorre tre mani, tre mucchietti di dita. Tre lustri.
Come filastrocche snocciolate a memoria.
Quindici
anni di domani.
Negli
‘intanto’ sono passate intere biblioteche di storie; tende e sacchi a pelo,
amache rivoltate fra risa e dispetti, partite di scacchi con avversari
immaginati, osservazioni di stelle in epici bestiari, buio pesto e file
urticanti di Processionarie delle querce.
Il
piano alto è stato in ogni stagione un curioso rifugio esposto a tutta la rosa
dei vènti, quello sottostante, col pavimento per tetto, una nicchia fra siepi
selvatiche, dove una poltrona sospesa ha dondolato pagine delle più svariate
stampe, suffumigi odorose e generazioni di ragni tessitori.
Una
stratificazione di abbracci filiali, mutazioni di forma, bisogni.
Affezioni,
umanità. Amore.
Passaggi.
Le
sughere hanno visibilmente espanso le circonferenze dei tronchi, tra poco
includeranno il pavimento nella loro scorza duttile.
Ora
sono più alte della vertigine di Zoe.
Sono
più ampie del suo respiro che travalica i polmoni verso una vastità non
comprensibile.
Cosa
è giusto o bello, cosa è armonia?
La
ricerca di quiete è un anelito sempre presente. Uno sorgente perpetua di punti
interrogativi come uncini impegnati a scavare. A scavare. A scavare.
Più
gli anni passano più sente la precarietà come ‘parte essenziale alla vita’.
A
volte si manifesta come apatia; a volte è frenesia, spesso è distacco.
È
come camminare portando a spasso un corpo di materie differenti, come se il
pensiero fosse uno dei 100 sensi, come se i confini fossero resistenze solo
apparenti.
Intanto
si è arrampicata fra le edere della scala a pioli, ora è sul pavimento di quel
minuscolo paese pentagonale e sospeso, ha in mano un’ampolla di ferro laccata
in blu, dal beccuccio scende un filo di olio. Zoe è in equilibrio sulla punta
dei piedi, sporta in avanti, mentre unge la grossa carrucola sistemata allora
sul vuoto, all’inizio dei tempi.
Al
primo progetto.
Fa
scorrere il canapo su e giù nel solco della ruota, quando smette l’attrito lo
passa intorno a una traversa e serra la presa.
Ora
quella penzola come un impiccato, Zoe si tocca il collo, scuote il capo, si
impietrisce e sorride, possibilità e scelte.
Nel
giro di 6 ore ha smontato ogni asse, divelto ogni chiodo, reso alle sughere lo
spazio. Riposto ogni cosa in equilibrio.
Quel
Domani all’alba chiuderà senza chiavi la casa di pietra con la finestra accanto
al lavello che guarda le sughere.
Ora
la casa è vuota, è una pagina bianca per altri a venire.
Quella
casa dove in Zoe tutto è stato infinito e non finito, dove le zolle hanno
tumulti e gli infissi vibrano di schianti di luce. Dove tutto si muove si
rompe, a catena, dove, con complicazioni, piano piano ogni cosa in qualche modo
si aggiusta, dove il quotidiano ha il sapore di conquista.
Quello
Shangai sproporzionato delle traverse è la metafora perfetta di quel luogo di
equilibri e ripercussioni senza soluzione di continuità. Crolli, magie.
Ride,
con un sapore di scorza d’arancia
Quello
Shangai sproporzionato delle traverse è la metafora perfetta del luogo:
equilibri e ripercussioni senza soluzione di continuità.
Crolli,
magie.
Nascite,
morti, Lari dispettosi, verità scavate a mani nude con la felicità nelle
unghie; un posto dove l’ingombro dei vissuti riempie di scene viventi ogni
angolo.
La
casa delle moltitudini ora lascia andare i suoi spiriti.
È
un respiro che meritano entrambe.
Nel
mese trascorso, con ogni scatolone chiuso e buttato o donato, Zoe sentiva
fisicamente espandersi le pareti dei polmoni e delle stanze.
Sciogliere
i nodi dei nastri invisibili che la legano agli incanti di quei luoghi.
Il
bisogno di avere meno di cui prendersi cura, meno emergenze, meno ornamenti,
meno vestiti, meno interessi.
Dedicarsi
a scomparire con serenità e gratitudine.
Niente
di oscuro, nessun rammarico, solo una mutazione di stato.
Domani
Zoe salirà sulla sua auto colore degli Iris, riempita del suo concetto
d’essenziale. Traslocherà i suoi confini tracimanti altrove.
Arriverà, con i chilometri appiccicati alle
ruote avendo lasciato spazio e respiro al suo addio, su una piccola altura dai
mille verdi fitta di vegetazione.
Un altrove dove l’Umano non sia così
disadatto al pianeta ospitante.
Arriverà a un dado bianco di calce e cemento
senza angoli vivi, smussato; arriverà soprattutto a un terrazzino che guarda in
un orizzonte da capogiro il mare danzante del sud.
Stenderà
i suoi sogni su di un filo per bucato e tubetti di pigmenti sopra fogli di
carta cotone.
Accoglierà
gli ospiti del cuore con la teiera di coccio turchese col tappo di sughero.
Saranno
giorni di una semplicità disarmante
Ecco,
ora è disarmata.
Ora avrà concluso il
cerchio di un canto, ecco la sua rivoluzione.
Nessun commento:
Posta un commento