Amalia
non conosce neppure la sua data di nascita.
Ma
sa che è nata nella stagione delle ciliegie e che fin da piccolissima ha
vissuto con i nonni in quel quartiere di Lisbona pieno di gente come loro.
Gente povera, come la sua famiglia, come i suoi nonni.
In
casa vivono in dieci in due stanze, i suoi genitori li vede di rado, impegnati
anche loro ad affrontare ogni giorno la miseria.
Amalia
si alza presto in quelle mattine d’inverno, fa quasi buio ancora, va al mercato
della frutta, compra due ceste di arance e poi va al porto, dove sbarcano gli
stranieri e dove lei cerca di vendere le arance.
Appena
arriva le ripulisce con cura con uno straccetto di cotone che si porta sempre
in tasca e le dispone in ordine sul piccolo banco. Cerca di vendere anche
piccoli pezzi di azulejos, di nessun conto e valore, che ha trovato per strada
o nei cantieri vicino alla terrazza di Santa Lucia, dove ogni tanto va di
nascosto vagando per la città, e dove le piace tanto fermarsi e guardare il
Tago e il mare e il monastero in lontananza, tutta la città ai suoi piedi e il
sole alto che infuoca le pietre.
Al
porto di mattina cerca sempre la posizione migliore, ben in vista per chi
arriva dal molo grande, dove il Tago è già quasi oceano; siccome è piccolina
sale in piedi su una vecchia sedia e per attirare qualche compratore canta le
canzoni del mare.
Tutti
i giorni si chiede perché deve uscire così presto dal suo letto caldo ma
ugualmente si infila veloce i calzini e gli zoccoli, mentre la nonna armeggia
con qualche pentola e non la guarda neppure quando lei varca la soglia accompagnata
dall’odore acre della casa. Si copre come può con una vecchia giacca della zia,
per lei è troppo grande ma se la può arrotolare sui fianchi e così il tessuto
si doppia sulla pancia magra, dove sente più freddo. Ha quindici anni, ed è così minuta e gracile
che tutti la prendono per una bimba e questo almeno la favorisce nella vendita
delle arance. Anche gli uomini più rudi si impietosiscono, comprano le arance e
non la molestano. Le mattine d’inverno trascorrono tutte così, nella speranza
di racimolare qualche soldo che poi darà alla nonna per comprare un po’ di
farina e di uova.
Tornando,
spesso canta per strada, piano perché non vuole farsi sentire, ma la sua voce è
così penetrante e struggente che qualcuno comunque si gira e sorride.
Questo
vuole fare Amalia, cantare, cantare per la gente come lei, per vincere anche la
loro malinconia.
Coltiva
questo sogno segreto e non lo racconta a nessuno, neanche alla nonna,
arrossisce al pensiero di questa sua ambizione, pensa alle mura sudicie della
sua casa, alla pentola dove spesso si cuociono solo patate, alle coperte piene
di buchi. Non sa come potrà andarsene da
lì ma sa che prima o poi succederà.
Tutti
i giorni Amalia pensa alla morte. Guarda la gente per strada e pensa che di lì
a qualche anno nessuno di loro ci sarà più.
Solo
il mare la consola, il mare eterno e
infinito, il mare su cui lo sguardo corre senza trovare ostacoli. E un po’
anche la consola cantare, quel canto triste che sembra attraversarla e servirsi
di lei per farsi ascoltare.
Quando
il sole sorge Amalia si specchia nel vetro della finestra, intravede la pelle
troppo bianca, gli occhi scuri e lucenti. Pettina i lunghi capelli mentre lo
scialle nero che l’avvolge si muove piano per il leggero ondeggiare dei fianchi
al ritmo del suo canto.
Amalia
canta le canzoni che ascolta per strada, inventa storie e le canta, canta le
parole della sua gente, canta a voce spiegata per chi si ferma ad ascoltarla
nel vicolo. La sua voce è una ferita esposta alla notte, è la fatica che si
rapprende sui muri scrostati, è la malinconia della sua terra estrema, gettata
nell’oceano come una nave abbandonata.
Vent’anni
dopo, una sera, in un teatro di Parigi, tanta gente l’aspetta per applaudirla
di nuovo.
Amalia
pensa ancora alla morte e canta la nostalgia per la sua terra lontana, per il
mare che vede di rado.
E’
stanca, ma in tanti l’aspettano, le luci della sala non vincono il buio dentro
di lei ma la scaldano e le danno forza.
Prima
di cominciare a cantare Amalia annusa il suo scialle, risente l’odore
dell’Alcantara e rivede nelle sue mani di adolescente le poche monete che
qualcuno le porge per averne in cambio una canzone.
Sente
sotto le dita le corde fredde della sua chitarra e si stringe nello scialle,
nero come la notte che l’avvolge.
Amalia
de Piedade Rebordao Rodrigues nasce a Lisbona il 23 luglio 1920, ma festeggerà
sempre il compleanno il 1 luglio.
Allevata dai nonni materni, frequenta solo tre anni di scuola elementare
cominciando ancora bambina a lavorare. A 19 anni viene ascoltata dal
proprietario di un famoso locale e da lì inizia una sfolgorante carriera che la
porta a cantare nei più importanti teatri del mondo, dove è riconosciuta
universalmente come la regina del Fado. Muore a Lisbona il 6 ottobre 1999.
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