Quel
giorno c'era, nella città di Livorno, battuta dal vento pungente di grecale,
una folla di gente che si era riversata in strada fin dal mattino presto.
Intorno
alle undici, scivolò in strada anche Erino Barlacchi, un tipetto smilzo nato e
cresciuto sul Voltone, che non voleva perdersi assolutamente niente di quella
Livorno da cartolina, immersa e sospesa nel tempo e nella magia del clima natalizio.
Per lui non c'era niente di meglio che incontrare amici e conoscenti mentre
correva in sella alla sua bicicletta, sentire gli usci che si richiudevano alle
sue spalle al ritmo delle pedalate, rapire estasiato l'odore del pane caldo appena
sfornato, assorbire sguardi, fare sue le voci e anche quelle urla talvolta un
po' sguaiate, ma genuine, tipiche del popolo labronico.
“Vieni,
de! Ci sei anche te!? Bongiorno, Erino!”
Con
un sorriso fiero stampato sulla faccia, in sella alla sua mitica Bianchi coi
freni a bacchetta, se ne andava verso il Porto per comprare un po' di pesce per
il suo Cacciucco di Natale, guardando a destra e sinistra nella trepidante
attesa che intorno a lui succedesse “qualcosa di ganzo”.
Beh,
una cosa è sicura: la vita a quel tempo era dura per tutti, in giro c'era tanta
miseria e si viveva con poco. A volte però alla gente capita un po' di fortuna
e quel giorno, alcune delle persone coinvolte in questa storia, ne ricevettero
proprio una bella porzione.
Tutto
ebbe inizio quella mattina del 24 dicembre 1946.
L'aria
era fredda, pulita e mordace e già dalle prime ore del mattino decine di
pescatori erano intenti a rifare le reti e a vendere le cassette con il loro
prezioso pescato. I bimbi giocavano tra loro nei dintorni scambiandosi con
gioia arance e caramelle.
Il
clima natalizio si respirava appieno, decine di addobbi variopinti adornavano
le vie, l'omino delle caldarroste che già a quell'ora preparava la brace per
cuocere le sue calde prelibatezze sotto ai Quattro Mori, mentre un via vai di
gente riempiva la piazza antistante e sembrava che fosse un vero e proprio
formicaio. Vocii, risate e tanti rumori che si miscelavano trasformandosi in un
divertente e simpatico brusio.
Sarà
stato perché il Natale era ormai alle porte, ma si capiva subito che era una
mattinata particolare, diversa da tutte le altre.
Il
giorno prima, infatti, era accaduto qualcosa e ormai, di quello che era
successo, i livornesi del Voltone e quelli dei quartieri limitrofi lo sapevano
già un po' tutti.
Intendiamoci.
Per loro non era una novità che tra pescatori, di quando in quando, ci fosse qualche
litigio o battibecco e, di sicuro, la cosa sarebbe finita lì e ognuno sarebbe
tornato a farsi i fatti propri se un ciàccione del calibro di Mario Ruffini non
avesse insistito nel voler raccontare a chiunque incontrasse, dal giorno prima
a quella parte, la scena alla quale aveva assistito.
Quando
incontrò Erino, nei pressi di via della Madonna, in pratica, per riassumere,
gli raccontò la storia più o meno così.
“Boia
de'! Quer caìcciolo di Nedo Lenzi, di mattinata, s'era appena scolato du' gotti
di vino a garganella e subito dopo è andato sur muso a un pescatore di Borgo
Cappuccini, che tutti conoscono come “il pescatore di 'arta”, per via del fatto
che è uno che piglia foo e s'incazza facirmente, e che tra l'altro è anche più
o meno ir doppio di lui, accusandolo di aver fregato la
su' moglie vendendole del pesce che
'un era fresco. Allora senti, Erino... mi segui, no? Ir pescatore di 'arta n'ha
dato subito un gollettone per levarselo di torno. Nedo è cascato in terra
ma s'è rialzato al volo e, invece di levassi di 'ulo, l'ha guardato col suo classico muso a
piccozzino4, ha preso un legno che era lì da una parte e n'è sartato addosso esclamando: “Boia
de'! O be' o affoga'!”
ma s'è rialzato al volo e, invece di levassi di 'ulo, l'ha guardato col suo classico muso a
piccozzino4, ha preso un legno che era lì da una parte e n'è sartato addosso esclamando: “Boia
de'! O be' o affoga'!”
A parte che il racconto fece divertire
molto Erino, come molti altri, non ci trovò niente di
strano.
strano.
Infatti, tra sé e sé, pensava: “Mah! '
O cosa sarà mai successo? Una sana scazzottata? O cosa
v'òi che sia? Du' gollettoni dati bene? De! Tra 'omini è così che si fa!”
v'òi che sia? Du' gollettoni dati bene? De! Tra 'omini è così che si fa!”
“De'! Ma 'un è mi'a finita vi'!”
continuava Ruffini.
E così Erino si sentì dire che, in tutto quer popò di canaio, uno dei suoi migliori amici del
tempo, Saverio Mainardi, aveva afferrato una cassetta di pesce appena pescato e se l'era data a
gambe imboccando via Napoleone in direzione proprio della Piazza del Voltone.
“Ma ti rendi conto, Erino?” diceva
ancora il Ruffini, agitando il berretto che aveva in mano.
“Mi rendo conto, sì! O cosa gli sarà
saltato in mente a quer Mainardi lì!?”
“Ben detto, Erino! Ha fregato ir
pesce, oltretutto, ar pesciaiolo più cattivo di tutti! Quello 'un te
le manda mi'a a dì! Se lo vedi devi fallo ragiona'... sennò quando il pescatore di 'arta lo ribecca
gliela fa paga' di si'uro!”
le manda mi'a a dì! Se lo vedi devi fallo ragiona'... sennò quando il pescatore di 'arta lo ribecca
gliela fa paga' di si'uro!”
“Certo, Mariolino, certo...” rispose
Erino che, per qualche motivo aveva smesso di sorridere.
“Allora se lo vedo glielo dico, va
bene?”
“Bravo, Erino, pensaci te!”
“Ovvia... ci si vede!”
“Bona...!”
Erino si allontanò pensieroso,
incamminandosi verso casa sua, sul Voltone e in baleno tornò a
farsi trasportare da quello che c'era d'intorno.
farsi trasportare da quello che c'era d'intorno.
Le signore che portavano sottobraccio coloratissimi pacchi confezionati, gente che andava in su
e in giù, uomini davanti alle osterie a bere ponce caldo, bimbi sorridenti che rincorrevano
trottole di legno agli angoli di ogni strada. Tutte queste immagini gli si paravano davanti, ma
c'era una cosa che proprio non riusciva a togliersi dalla testa e continuava così a rimuginare.
Perché di tutti i personaggi strampalati che popolavano Livorno a quel tempo, il pescatore di carta
sembrava proprio essere anche piuttosto pericoloso. Se avesse scoperto che a rubargli il pesce, per la precisione capponi e gallinelle, era stato il suo amico Mainardi, e lo avesse scovato, quel
disgraziato ne avrebbe toccate di sicuro!
Però... questo pescatore di 'arta doveva essere proprio un bell'aggeggio!
Dovete sapere che a quel tempo Livorno
era ancora come un grande paese in cui ci si
conosceva tutti e certi personaggi diventavano storie, poi leggende e poi parte viva e sentita del
cuore della città.
conosceva tutti e certi personaggi diventavano storie, poi leggende e poi parte viva e sentita del
cuore della città.
Per esempio, fino a qualche anno prima, un certo “Seme” era solito andare a vendere le seme
lungomare bisbigliando strane parole per poi urlare, alla fine: “Seme!” Tutti lo conoscevano e
gli volevano bene.
Poi c'era l'irriverente “Rosso”, che fino a prima della guerra dava cocomeri davanti alla casa del
Fascio in zona stazione. Gridava sempre “Rosso!”. E anche se si riferiva al cocomero, tutti
sapevano che aveva anche altre “ragioni” per urlare quella parola. Così, veniva costantemente
richiamato all'ordine. Ma i livornesi lo capivano e volevano bene anche a lui.
Di personaggi ganzi, credetemi, ce n'erano davvero a bizzeffe.
Il pescatore di carta era
proprio tra questi e non era famoso solo per via del suo caratteraccio, ma anche
perché, di tanto in tanto, coniava qualche perla di saggezza che sarebbe poi
passata alla storia. Ad esempio, una volta disse: “Mi fa male ir piede... sarà
meglio chiama' un piediatra?”
Un'altra volta, ad una signora che
esclamò: “Ah se avessi i quattrini per comprare tutto questo ben di Dio...” lui
le rispose, cercando di darsi un tono e con una certa prosopopea: “De', se ce l'avevassi
anch'io, magari ero io Dio!”
Erino ci pensava spesso, a certe
persone o situazioni che colorivano e caratterizzavano la città labronica.
Avrebbe eretto una statua per ognuno di loro!
Perché dovete sapere che in fondo, se
non fossero esistiti i livornesi a rendere speciale Livorno, nonostante il mare
e tutto quello che c'era di bello, sarebbe potuto andare a vivere in qualsiasi altra
città e non ci sarebbe stata molta differenza.
In effetti, Livorno è sempre stata
rappresentata dalla schiettezza, dalla simpatia e dal cuore degli stessi
livornesi. Questo è quanto.
Pensate un po' voi, poi, sotto
Natale... ma che aria genuina si poteva respirare!?
Comunque ripensando a tutte queste
cose, Erino se ne stava tornando verso casa, sul Voltone, dove, finita la
guerra, si era nuovamente trasferito da via del Littorale.
Nel 1946 molto a Livorno cambiò.
Le cose erano molto diverse da quando
aveva lasciato il suo vecchio quartiere, molti anni prima. Ad esempio, proprio
da quell'anno in poi, la piazza che tanto amava avrebbe cambiato definitivamente
il suo nome in “Piazza delle Repubblica”. Da quell'anno in poi molte cose si sarebbero
trasformate per sempre, ma tante altre sarebbero rimaste tali e quali.
Il fatto che fosse cambiato il nome
della piazza, per lui e per molti livornesi non faceva alcuna differenza.
Siccome quel nuovo nome non piaceva, in giro avrebbero continuato semplicemente
a parlare di Voltone.
Comunque, quel giorno, aveva anche
cose serie a cui pensare. Un cacciucco non lo si poteva mica cucinare quando
pare e piace e quindi sarebbe stato un Natale meraviglioso perché quella volta,
finalmente, aveva tutto ciò che gli serviva!
Il polpo, le seppioline, un bel
palombo e le cicale di mare l'aveva già recuperate il giorno prima. Anche nel
1946, come durante la guerra, il pesce povero, quello che avanzava, si poteva
trovare in tarda mattinata, una volta che i pescatori avevano finito di vendere
i pesci più ricercati.
Con gli avanzi ci si poteva fare il
cacciucco, il piatto livornese più buono di tutti.
Si prospettava proprio un cenone coi
fiocchi!
E così, Erino era passato a prendere
tutto l'occorrente per cucinarsi un buon cacciucco. Gli mancava qualcosina,
come ad esempio il cappone, ma sarebbe venuto comunque bello saporito.
Avrebbe fatto con quello che aveva e
non aveva alcun dubbio che qualcosa di buono sarebbe venuto fuori lo stesso.
Avrebbe cucinato proprio un bel piatto per sé e per sua moglie.
Era sicuro che sarebbe stato tutto
perfetto. Lei sarebbe arrivata, salendo le scale, in quella gonna lunga e
pieghettata e quel corpetto stretto a mettere in risalto i suoi fianchi. Un fazzoletto
colorato sui capelli a dare luce al suo bel viso.
Lui le avrebbe dato un bel bacio e...
“Pss!”
Mentre Erino saliva le scale e stava
per infilare la chiave nella toppa qualcosa attirò la sua attenzione.
“Pss... Erino...!”
Riconobbe la voce del suo amico
Mainardi che lo chiamava, bisbigliando.
“Saverio! Caa ci fai vì?”
“Eh, cosa ci fo'...”
“'Un lo voglio nemmen sape'!
“E dai Erino... t'ho portato un
regalo!”
“Un regalo? Te a me? Bella fia!”
“È pesce... pesce bòno...”
“Ma sei di fòri? Ma cosa c'hai nel
cervello? Un paletto?”
“De' senti, Erino. Io 'un lo so cosa
m'è preso. Quando quelli lì si leti'avano, con la miseria che
c'è oggigiorno... de ho preso la 'assetta di capponi e gallinelle e ho cominciato a corre'. Non se ne sono nemmeno accorti!”
c'è oggigiorno... de ho preso la 'assetta di capponi e gallinelle e ho cominciato a corre'. Non se ne sono nemmeno accorti!”
“Se ne sono accorti sì! Ma lo sai che
il pesciaiolo ti cerca?
“Non lo sapevo, no...”
“Ah no? E allora perché giochi a
rimpiattino?”
A quel punto, Erino si rese conto che
l'unica cosa sensata che avrebbe potuto fare, era di
nascondere le prove di quella malefatta e così, senza peritarsi9 per nulla, invitò il suo amico ad
entrare in casa. In fin dei conti, era Natale e qualcuno lassù l'avrebbe perdonati di sicuro!
nascondere le prove di quella malefatta e così, senza peritarsi9 per nulla, invitò il suo amico ad
entrare in casa. In fin dei conti, era Natale e qualcuno lassù l'avrebbe perdonati di sicuro!
Potete immaginare tutti quanti che
cosa successe poco dopo.
E allora, eccoli insieme a buttare i porpi e le seppie in un tegame. A seguire ir palombo e pesci
belli liscosi come ir cappone, ir pesce prete e la gallinella. Poi le cicale e le cozze. Pane tostato e
agliato, pomodoro... e via!
E allora, eccoli insieme a buttare i porpi e le seppie in un tegame. A seguire ir palombo e pesci
belli liscosi come ir cappone, ir pesce prete e la gallinella. Poi le cicale e le cozze. Pane tostato e
agliato, pomodoro... e via!
Cacciucco alla livornese per tutti,
quella sera a casa Barlacchi! Un Natale... da favola!
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