mercoledì 30 settembre 2020

L’ACQUA DELLA PAURA di Francesco Barilli

Loro la chiamavano la Tribù. Erano le donne della famiglia. Livia, la nostra madre adottiva, e le sue sorelle: Maya, che diceva di parlare coi morti. E Temide, che vedeva i fantasmi. E poi c’era nonna Iolanda, che raccontava i sogni delle persone. Si diceva potesse vedere dentro il tuo sonno, che scrutasse l’odore delle anime della famiglia. C’era stato un tempo in cui nella tribù c’erano anche quattordici, o quindici donne. Si riunivano attorno a un cerchio, nella grande cucina di casa, oppure all’aperto, tra l’orto di casa e il giardino. Non so se si possa parlare di magia. In certi tempi, la distinzione tra il calore, l’affetto familiare e la superstizione non era così definito. Ricordo da piccola l’acqua della paura. Se qualcosa aveva turbato me o Maddalena, la zia Temide ci lavava con l’acqua della paura, una sorta di acqua benedetta dalla casa. Una volta caddi dalla bici, avrò avuto cinque anni. Non fu tanto la botta contro il terriccio della strada, quanto quell’automobile verde, che mi passò accanto a pochi centimetri. Il guidatore si era accorto di me soltanto all’ultimo, e io avvertii quello stridio di gomme davanti alla mia faccia. Sentii un terrore ancestrale salirmi su per il petto. Pensai che fosse quello che provano gli animali, e le persone, quando stanno per morire. Incurante delle sbucciature alle ginocchia e dei graffi sulla faccia, corsi verso la zia ad abbracciarla. Soltanto all’ultimo trovai la forza di piangere. Continuai a tremare a lungo, fino a che Temide non mi disse che l’acqua della paura avrebbe cancellato ogni cosa. Ricordo la sua voce bassa, tremolante, che ripeteva formule contadine antiche, e quell’acqua insaponata, che diventò nera come l’inchiostro. Certo, ero sporca. Ma ebbi forte la sensazione che qualcosa, oltre alle piccole croste della mia pelle si stesse staccando da me. D’un tratto mi sentii calma. Avevo smesso di tremare, la paura se n’era andata. La zia mi dette un asciugamano e osservai quell’acqua spugnosa e nera scomparire dalla vasca. Quella sera provai a raccontare quello che mi era accaduto mentre le donne della tribù erano riunite nel cerchio. Ma non ce ne fu bisogno: la mamma, la nonna, sapevano già tutto. La tribù ti protegge, la tribù ti avvolge. Anche quando sei lontana. Ti accoglie, anche se non hai lo stesso sangue delle altre sorelle. C’è qualcosa di più: un legame, una condivisione, che va oltre quello che riesci ad esprimere con le parole. Anche Maddalena sapeva. Si avvicinò a me sorridente e mi disse: “non preoccuparti. E’ tutto passato ora” Poi disse un’altra cosa, che in quel momento mi stupì. “Noi siamo insieme” disse. “Noi siamo la stessa terra”.

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