martedì 30 marzo 2021

MONSU’ TRAVET di Roberta Sandrini

Tengo quasi sempre le veneziane delle finestre abbassate e leggermente inclinate.

La piena luce dell’estate ed il grigio piovoso dell’inverno mi danno fastidio in uguale misura. Mi sembra sempre che un pulviscolo polveroso aleggi nell’aria, anche quando, arrivando la mattina, mi accorgo del passaggio della ditta di pulizie dall’odore vagamente fiorito del detergente per le superfici che si spande anche nel corridoio: per fortuna l’addetta a questa parte dell’edificio è molto scrupolosa.

Non è da escludere che un po’ di polvere continui comunque ad aleggiare nella mia stanza, malgrado la fida donna delle pulizie: cartelle piene di fogli stazionano, casualmente colorate, bianche, grigie, il piu’ delle volte trasparenti in plastica, sopra la scrivania, gli armadietti, un paio di simil comodini.

In ogni cartella sono racchiuse una o più preghiere, dirette al sottoscritto: le cartelle sono le mani che me le indirizzano speranzose.

Tutte le preghiere rispetto alle quali posso esercitare il potere di esaudirle ( ed esaudirle a breve, nel medio periodo, fra parecchio tempo o addirittura non esaudirle mai, anche se è una possibilità che mi riservo con cura, dopo attenta ponderazione, il bicchiere di vino specialissimo d’annata che col mio stipendio da secondo livello non mi posso permettere) sono fuori, sparse ed ordinatamente incolonnate in vari angoli di questa stanza.

Chiuse nell’unico armadio di metallo, che occupa più di metà della parete a fianco della doppia finestra, ci sono le preghiere che vanno esaudite per forza (a destra) e quelle che non dipende da me esaudire ( a sinistra).

Anche quelle sono disposte in nitide colonnine verticali: quando il dirigente arriva ( la mattina, mai presto, in genere verso le dieci e mezzo) prendo alcune delle cartelle a destra (tutte quelle che riesco a portare, mantenendo un decoroso equilibrio che impedisca di vederle disperdersi a terra, come grandi farfalle pigre) e le porto nel suo ufficio.

Il dirigente è un ragazzone sulla cinquantina, educato, dà il buongiorno anche alle due del pomeriggio ( del resto la sera non abbiamo motivo né occasione di vederci, rimane fino a verso le quattro e torna  a casa, non prima di essersi assentato un paio d’ore pranzare), quando mi vede arrivare con le cartelle fra le braccia mi fa pure un mezzo sorriso e cerca di farmi spazio sulla sua scrivania, mai del resto particolarmente affollata.

Cerco di stare attento alle opere in plastilina della figlia, sistemate un po’ più in là del portapenne, come fortunatamente riesco sempre a ricordare, ricambio il sorriso ed il buongiorno e mi riavvio verso la mia stanza.

Altre volte attingo, quando devo andare da lui, alla colonna di cartelle di sinistra: lo faccio quando lo vedo particolarmente di buonumore.

Ritengo che le decisioni più giuste e ponderate ( ma penso si tratti di un’opinione in realtà largamente condivisa e forse addirittura provata) si prendano quando si è di buonumore: per questo in quelle occasioni gli porto le preghiere che lui puo’ decidere, discrezionalmente ed a questo punto beatamente, se esaudire o meno.

Che abbia portato al dirigente preghiere della colonna di destra, interna all’armadio, o che gli abbia portato preghiere, prelevate dalla colonna di sinistra, me ne torno poi con aria dimessa nella mia stanza, chiudo la porta, controllo la chiusura delle veneziane, e mi dedico alle preghiere indirizzate a me.

Mi sedio composto alla scrivania, appoggio le braccia perpendicolari al corpo e parallele fra loro ( mi succede a volte di soffrire di un fastidioso dolore al collo e alle spalle), allungo una mano, afferro la cartella in cima alla prima colonna che incontro ( a destra o a sinistra a seconda della mano che si è distesa a cercare), la sistemo davanti a me, la soppeso con la sguardo, la apro, leggo.

Tutte richieste, di un qualche tipo di sussidio: preghiere appunto.

Teoricamente dovrei, dopo un’attenta e scrupolosa lettura, verificate le condizioni per ottenere od al contrario non ottenere quanto richiesto, condizioni riportate in una delle decine di leggi o nominate tali, circolari e note di chiarimento che affollano i cassetti della scrivania rendendone ormai un pò difficoltosa la chiusura e l’apertura, che conosco per la verità quasi a memoria ma che non scordo mai di consultare ( amo le belle apparenze), respingere od accogliere la richiesta.

Sì o no: una decisione in apparenza facile e priva di margini per la soddisfazione personale e la fantasia.

Però però….a volte una circolare non è chiara, ci sono casi che hanno bisogno di essere “interpretati”( è quello che capita più di frequente a dire la verità); altre volte si può arrotondare una cifra per eccesso o per difetto; altre volte si può ragionevolmente supporre che qualcosa che esisteva nel momento in cui la preghiera è stata innalzata la prima volta non esista più ( aspettiamo un bambino! Ma la preghiera ha la data di un anno fa…); si può attribuire più importanza a determinate circostanze e meno ad altre ( vi prego, avrei bisogno perché, malgrado io abbia un lavoro, il mio contratto scadrà tra una decina di giorni….il mio lavoro è fatto di pochissime ore e quindi di un magrissimo stipendio….figlioli miei, intanto un lavoro lo avete….nella mia testa formulo proprio così la frase ormai, sono del tutto compreso nel mio ruolo).

Molto spesso è sufficiente semplicemente infilare una preghiera in fondo a tutte le altre, così che quando tornerà in cima alla colonna verticale, i soldi necessari ad esaudirla si saranno già dispersi fra tutte le altre e non ne sarà rimasto niente.

E’ chiaro che non conosco di persona nessuna delle persone che mi indirizzano le loro preghiere , nemmeno una rock star può avere una simile vita sociale, figuriamoci io, non vedo le loro facce, le loro voci, non sento le loro storie oltre il bordo della loro preghiera scritta, non le immagino nemmeno, sarebbe troppo complicato per qualunque grado di fantasia.

Eppure il perché io faccia quello che faccio è altrettanto semplice da spiegare.

Oggigiorno percorrono questi corridoi semibui laureati più o meno giovani ma tutti ugualmente baldanzosi, con livelli alti e ben retribuiti.

Io ho un diploma magistrale, in teoria avrei dovuto fare il maestro… In pratica era un titoletto di studio facile da ottenere, dedicando una tutto sommato ragionevole e nemmeno particolarmente intensa attenzione a materie amene e piacevoli, come il disegno e l’educazione musicale: la soglia di una scuola non l’ho più varcata da quando quel diploma l’ho appunto ottenuto.

Ho varcato invece svariate volte la soglia dell’ufficio di collocamento del paese più grande e popoloso, a qualche chilometro dal mio.

Anche allora ci si andava soprattutto per assicurarsi che il proprio nome, corredato di indirizzo di residenza e numero e specie di titoli di studio posseduti, fossero iscritti in una certa lista, lunga e prolissa, ma che a intervalli spesso lunghi tuttavia scorreva: e per questo, una volta adocchiato il tuo nome nella lista, tornavi nell’ufficio per sincerarti della tua esatta posizione nella lista di cui sopra.

Scorri che ti scorro (tu nel frattempo vivacchiavi nella piazza del paese, spiando ragazze che a loro volta non ti guardavano perché alla tua età non avevi ancora un lavoro), si arrivava a te e da un giorno all’altro ti ritrovavi catapultato in un ufficio come questo in cui siedo ora.

I primi tempi ti sembrava di stare ancora nella piazza del paese, solo senza sole in faccia ed un bicchiere fra le mani, poi ti decidevi a sbirciare fra le cartelle che nel frattempo cominciavano da accumularsi sulla tua scrivania.

Ed all’improvviso era come se un lampo ti attraversasse il cervello, in una rivelazione altrettanto splendente ed elettrizzante: hai il potere di decidere della sorte di tanta gente, che si rivolge a te per ottenere qualcosa, qualcosa che tu hai il potere di concedere o negare, innalzando i prescelti e facendo inabissare gli altri.

Sei un sommo sacerdote, a cui si portano offerte da imbastire alle divinità: ma le divinità ascolteranno, non a prescindere, ma in base a come tu presenterai loro i vari doni.

E’ una cosa che ti travolge al punto (perlomeno per quanto riguarda me, vissuto nell’ombra con una neanche troppo vaga sensazione di fallimento che ti accompagna da mattina a sera) che non ne puoi più fare a meno, e quando il pensiero di non agire correttamente ti sfiora, non riesce tuttavia a penetrare nelle stanze del tuo cervello.

 E’ una droga che fa solo bene (a te almeno, diciamo che danneggia solo gli altri), una sensazione di assoluto benessere ed imperitura soddisfazione, quella di avere un’importanza enorme seppur segretamente esercitata e mai apertamente riconosciuta.

 

MONSU’ TRAVET ESISTE ANCORA BENCHE’ IN VIA DI ESTINZIONE: QUALCHE ESEMPLARE ANCORA SOPRAVVIVE NEI VARI UFFICI, BEN MIMETIZZATO DIETRO AD UNO SPORTELLO O DAVANTI AD UNA MACCHINETTA DEL CAFFE’. 

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