martedì 30 marzo 2021

PREGHERÒ DOMANI di Gila Manetti

 


 

Non erat hic locus. (1)

Incipit

 

“Pregherò domani” ribadì, indi si sciacquò le mani insaponate di lavanda e salvia nel trogolo di pietra

Silenzio di voci e diguazzare d’acqua

 "Se dio non ha tempo per me non posso certo averne io per lui.”

 Spostò le pupille di lato e vide che l’uomo rimaneva inerme e verticale: simmetrico, come diviso in due dal suo lungo bastone intagliato che teneva con entrambe le mani.

“Intesi già dai giorni andati, non trattarmi da sorda, non è tempo per me di accarezzare l’orgoglio del Diopesce, il focolare è spento, l’acqua si sta facendo lastra e le mie erbe hanno bisogno d’attenzione sennò s’imputridiscono e tornano al concio prima d’essere state balsamo.

È inutile che mi fissi con gli occhi sbuzzati frate, ho visto vermi più vigorosi di te”.

...

“Mandami al rogo e sarò fiamma,

mandami al pozzo e sarò acqua

mandami al borro e sarò aria;

mandami al campo e sarò terra.

Mandami al diavolo e sarò strega”

Ancora la bocca serrata e il bastone piantato.

 

“Sei livido sotto gli occhi, sembra che il cielo ti abbia posto in malarnese, se entri ti preparo un decotto.

Una gatta nera ticchetta il tempo col suo passo sulla selce siccome è retta da quattro zampe e tre piedi, invece del quarto, posteriore, le sorte in fondo alla zampa un moncone d’osso ingrigito dai giorni

 “Ti vede solo Nera in quest’ombra, porta dentro una fascina d’attizzo se non ti si sminuzzano le mani.

Che fai: ti atteggi a statua prima del tempo?

Muovi le terga e scegli se condannare o salvarci entrambi, comunque sia io tra poco serro l’uscio”

Masticando parole dure come castagne secche biascicò un rumore, sapeva sarebbe entrato con la fascina fra le braccia, non che fosse la prima volta, anzi, se era vivo lo doveva un poco a lei che sin dalla nascita aveva medicato la sua cagionevole incarnazione, lo aveva sorretto nei malanni e nei deliri con balsami d’ogni fattura, scrocchiate d’ossa, conversazioni dense; presenza.

Eppure adesso s’era creata una corrente gelida fra i due; da quando Pietro Inquisitore era tornato, e ritornato, per tre volte tre, sempre più carico d’ansia alla Pieve di Collefratto che contava quattro frati di cui uno infermo di corpo, uno di pensiero, uno che li badava entrambi, dunque riferendo proprio a lui: ‘Fra Bartolomeo fu de’ Giustini pastore d’anime, dispensatore di sacramenti e prediche et lecture’; l’espressa e perentoria richiesta di estirpare al dimonio almeno una misera fattucchiera, così che quelle terre e lui, Pietro Inquisitore, non sfigurasse dinanzi agli alti prelati del medesimo mandato, che contavano decinaia e decinaia di pire, ma soprattutto davanti all’altissimo s’intende.

 Ricompariva nei suoi sogni l’immagine di Pietro Inquisitore col collo lungo oltremisura e il capo grosso e tonso nella chierica fare cenno con l’indice al cielo e gli occhi colmi di pietà: elemosinava una, una sola miserrima creatura da immolare. Un indice per numero e mansione, per preghiera e ordine.

 Così, quando prima di partire sul ronzino tozzo, il giorno innanzi, Pietro Inquisitore allungando il gozzo gli ansimò diritto nell'auricola che frusciavano da tempo certi afrori di zolfo su quel contado noCturno, e che mai più dovesse sapersi inosservato, le sue condizioni precipitarono in un vortice di lotte intestine. Il frate si sentiva d’essere come lama rovente fra incudine e martello, sbatacchiato dall’alto dalla SacraFede che lo ebbe plasmato, istruito e coperto nei bisogni fin da quando memoria avesse, e da sotto sorretto da una fœmina in odore di malìa che cionondimeno tutto il villaggio conosceva per abilità di lenire e guarire dalle piaghe del corpo e dello spirito, e che diventava sempre più selvatica e meno incline all’ubbidienza. Più gli pareva d’avere in corpo un covo d’anguille, più diventava impalato nella guisa d’apparenza.

 Quand’anche fosse diventato la reliquia di sé stesso, si risolse a dirsi che: sì; avrebbe dovuto convincere quella femmina testarda a entrare in chiesa e pregare, o almeno fingere di farlo, ogni giorno, fino alla fine di questa assurda sete d’arrosti che durava per lui da troppo; una soluzione per la consegna all’inquisitore la avrebbe trovata altrove: forse la Vecchia Dite che nessuna memoria aveva visto fanciulla, ricurva come un vincastro, cieca da un occhio e sorda da un’orecchia, forse lei sarebbe morta senza dolore aggiunto al suo portarsi nella vita.

 “Quos Jupiter Deus perdere vult, dementat prius” (2)

Questo passava nel corpo immobile del frate Bartolomeo prima di staccare le unghie dal legno sempre più intagliato che lo sosteneva, poggiarlo, abbracciare un’ enorme fascina e varcare la soglia dell’aulente abituro di Noctula Errante.

 

(1Non era qui il suo luogo. Orazio, Ars poetica,

 (2) Dio Giove toglie prima il senno a colui ch’egli vuol mandare in rovina (ante litteram poichè del XVII sec.)


 

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