Suono in una boy band. Ci chiamiamo “I Testardi”. Perché? Non lo so.
Ci sembrava figo. Lo disse
il batterista dopo una prova quando ci annullavano una data dopo l'altra per il
lock down. Disse: “Certo, siamo testardi a continuare a provare con zero date
all'orizzonte. Potremmo chiamarci: i testardi.” Tutti pensarono: perché no?
Certo era un nome più accattivante de “i figli della clorofilla” che aveva
proposto il chitarrista, un tipo romantico un po' new age.
Il batterista è un po' più
scoppiettante. Letteralmente: gli piace mettere i petardi nella batteria dal
vivo, per fare un casino epocale. Imitando un altro batterista che non vi cito
almeno imparate a ripassare un po' di cultura rock. Chi indovina di chi sto
parlando vince un biglietto per il prossimo concerto che non c'è.
Elettrizzante, no?
Ora, visto che abbiamo
sessant'anni suonati ciascuno è un po' un azzardo definirci una “boy band”,
questo bisogna ammetterlo, ma il chitarrista ci ha iniziati al pensiero
positivo, per cui ci sentiamo dei ventenni e festa finita. E sul palco, con
aiuto di integratori, vitamine, bombole da sommozzatore, saltiamo e balliamo
davvero come ventenni! Tanto il bassista lavora in misericordia e ci accompagna
con l'ambulanza, per essere pronti in caso di problemi. Purtroppo l'ultima
volta è svenuto proprio lui e non sapevamo che fare perché è l'unico di noi ad
avere la patente. Si è sentito male non per il concerto, ma perché la ex moglie
gli ha comunicato la cifra degli alimenti da corrispondere ogni mese e non ha
retto. Per fortuna avevamo il respiratore a portata di mano. C'è da capirlo: ha
alle spalle quattro divorzi. E lavora solo lui, noi siamo tutti disoccupati.
Stiamo meditando di fuggire
a Cuba. A bordo della nostra ambulanza.
Rock'n'roll!
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