mercoledì 30 giugno 2021

IL MARITO OMICIDA di Roberta Sandrini

Tanti non sanno scrivere o sanno scrivere quel tanto che basta per risultare appena gradevoli. Altri sanno scrivere davvero. Tutti condividono la convinzione di essere grandi scrittori. Anche chi se ne esce con discorsi posati sulla condivisione spirituale coi propri lettori, sulla comunanza di sensazioni e soluzioni, sulla ricerca comune di una via d’uscita, uno sprazzo di luce, un filo d’aria, in questo mondo schifoso, buio e soffocante, in fin dei conti, sotto sotto, è un presuntuoso.

Poi, ripeto, magari sa scrivere, ma proprio la coscienza delle sue capacità l’ha portato, passo dopo passo, ad una buona dose di supponenza e quella poi, alla fine, rovina il talento.

La presunzione, l’eccessiva fiducia in sé stessi, è come una macchia d’umido su un bel quadro, dapprima minuscola, poi piccola, un’ombra fra i colori, poi un po' più grande, un minaccioso squarcio nero fra due volti angelici o fra due fiori leggiadri, poi grande in modo vero e proprio, una pozza che esonda nell’azzurro delle nuvole o, peggio ancora, fra le diverse sfumature di bianco di manti anch’essi santificati da coloro che li indossano, poi enorme, una voragine scura dentro cui tutto sembra mescolarsi, mischiarsi e sparire, risucchiato dall’interno.

Già quando si arriva al livello dello squarcio il talento, posto che ci sia, non si intravede più, soppiantato dall’eccessiva coscienza di sé. Solo quella salta agli occhi e soppianta tutto il resto.

Così è secondo me: per questo non sono, o cerco di non essere, per quanto possibile, presuntuoso.

Però purtroppo, sono testardo. 

Che poi sono un testardo senza convinzioni. Proprio così. Non sono testardo perché voglio ad ogni costo credere in una certa cosa, avere fiducia in una certa persona, pensarla strenuamente in una certa maniera, a dispetto di ogni prova contraria. No, non è per questo, non ho bisogno di valori assoluti.

Ho bisogno di pace, anche pace interiore.

E fra le cose che possono darti questa pace c’è il credere fermamente in qualcosa o qualcuno.

Abdicare ad un ragionamento costruttivo e quindi rinunciare alla possibilità del dubbio ti rende certo più stupido, almeno agli occhi del prossimo perché tu sai come stanno veramente le cose, ma in compenso ti regala un grande e confortevole senso di quiete; nessuna ombra che vela la tua tranquillità, nessuna goccia che scava la pietra, nessun ingranaggio che ti stride nel  cervello, tentando di girare un po' in avanti, bloccandosi, sforzandosi di girare di nuovo ma stavolta all’indietro, rovinando le notti e le digestioni.

Certo alcuni lo faranno in quanto sono obbiettivamente poco intelligenti. Altri cercano di non soffrire e hanno trovato questo metodo.

Così io credevo nel mio matrimonio.

Era una necessità, anche per confermarmi nel fatto di aver messo almeno un punto nella mia esistenza, un bel punto grosso e rotondo, testimonianza di qualcosa di compiuto, di definito ed anche ben portato a termine ( ho dovuto lasciare gli studi da ragazzo, soldi in casa non c’erano più da quando era mancato mio padre ed ho dovuto trovare vari impieghi, fino all’officina dove siete venuti a prendermi).

Tutti i miei colleghi sono sempre stati persone più grandi di me, più d’esperienza, che quando non mi ignoravano, rivolgendomi parola solo per necessità o comunque per questioni lavorative, mi burlavano bonariamente, pensando di essere o di risultarmi ad ogni modo simpatici. Non era così ovviamente.   

Pertanto non avevo amicizie fra i miei compagni di lavoro ed avendo lasciato la scuola e dovendo riservare quanto guadagnavo alle necessità della famiglia e non al tempo libero, nemmeno fra i miei coetanei.

Mia moglie era più grande di me, non bella, per colpa di quel naso un po' lungo, che si assottigliava pericolosamente, prendendo una minacciosa forma di cuneo,  verso la punta e gli occhi piccoli e penetranti, quasi minacciosi.

I capelli erano lunghi e di un bel colore castano, ma sempre legati stretti in cima alla testa, in un modo che accentuava il suddetto naso appuntito. Niente di rilevante nel fisico, magro e di forme non particolarmente accentuate.

Ma insomma c’era di meglio ma c’era anche di peggio. Ed io del resto non mi ero mai posto il problema del mio aspetto fisico, di quello che potesse ispirare nel prossimo, dell’a che cosa o a chi potessi aspirare.

Suo padre era l’ex proprietario dell’officina, che aveva venduto al mio datore di lavoro. Soffriva di nostalgia e si annoiava, così, certi pomeriggi piovosi d’inverno e certe mattine assolate d’estate, si faceva accompagnare dalla figlia nel suo vecchio regno. Certi sorrisi troppo aperti e certi sguardi lunghi e dritti mi convinsero, anch’io per noia ed anche per scherzo, a farmi avanti, con una vera e propria richiesta di una passeggiata, cosa della quale non mi sarei mai fatto capace, prontamente accettata, altra cosa che non avrei mai immaginato.

Non è scoppiata nessuna bomba. Nessun fatto o nessuna azione improvvisa e deflagrante, nessun accadimento che potesse scatenare reazioni incontrollate o incontrollabili. Tanti piccoli petardi, di quelli che i bambini fanno scoppiare in mezzo a loro, mirando gli uni ai piedi degli altri, ridendo, quindi forse fastidiosi ma non certo rovinosi.

Dimenticanze: magliette non stirate, bucato lasciato per una quantità eccessiva di giorni nel cesto, piatti che odiavo stranamente preparati per pranzo o per cena, troppo sale o troppo poco, appuntamenti con qualche medico che avevamo concordato avrebbe preso lei, e per i quali nessuno invece aveva chiamato, con infermiere che tentavano costernate di darmi spiegazioni (soffro purtroppo di brutti mal di schiena da qualche anno), leggeri sbuffi al mio parlare, il suo cellulare che talvolta si illuminava sinistro di notte.

La bomba è stata la richiesta di divorzio. Una bomba arrivata dall’alto del cielo direttamente sulla mia testa. Ho avuto davvero la sensazione che la mia testa scoppiasse, e che i suoi pezzi partissero schizzando in ogni direzione, mescolandosi a quelli dell’unico punto fermo e dell’unica cosa compiuta della mia altrimenti piatta e poco significativa vita. Della montagna verdeggiante che si stagliava in una monotona e grigia pianura, in un piatto mare di nebbie.

Un marito che uccide la moglie che vuole lasciarlo.

Chissà se qualcuno bravo a scrivere, e non presuntuoso, o non eccessivamente presuntuoso, ne caverebbe fuori qualcosa di accettabile, malgrado la banalità dell’argomento. Anzi proprio da questa banalità si potrebbe stabilire se il talento c’è e se va oltre la presunzione.          


 

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