C'era questo film libanese in cui un bambino chiede di divorziare dai genitori perché lo hanno condannato a una vita di povertà. Intenso, emozionante. Ovviamente dopo che è uscito non ne ha parlato più nessuno e si è continuato invece l'annoso dibattito sugli accostamenti di colore preferiti dalla Regina nei suoi abiti da passeggio. Qui nel Regno Unito (oddio, Galles per la precisione) non è come in Italia, qui si può divorziare dal 1857, quando è stata istituita la “Corte per il Divorzio e le Cause Matrimoniali”. Potete evitare di andare a controllare, l'ho preso da Wikipedia. Insomma, torno a casa dal cinema ancora scossa ed emozionata e penso: però, divorziare. Ma non solo dal marito, troppo banale. Dal gatto, dal cane, dai gruppi Whatsapp delle mamme, dagli amici di Facebook. Io che mi faccio popolo di me stessa, tutto il potere a me.
Salgo le scale, lascio le
chiavi nel solito posto che sennò mio marito non le ritrova dicendo a me
stessa: "una volta divorziata mi prendo un portachiavi tutto mio, e voi
cari miei vi arrangiate". Entro come una furia in cucina, pensando che se
divorzio da questa banda di rincitrulliti magari è la volta che posso farmi un
bagno, con il bicchiere di vino poggiato sulla vasca, che nei film non si
rovescia mai.
E invece.
Invece basta quel
bigliettino "auguri mamma", con la firma dei cretinetti (c'è pure la
zampa disegnata del cane e del gattaccio).
Nel 2021, nel Flintshire,
c'è qualcuno che si ricorda della festa della Mamma. “Non cedere”, mi dico, “è
tutta una trappola”.
Poi vedo il vino. Le
sfogliatelle napoletane. No, vabbè. E come si fa.
"Attenta con quel
bicchiere" dice mio marito che spunta fuori dal ripostiglio con l'evidente
intenzione di cucinare la cena "che poi ti casca come al solito".
Sorride. E' ancora
belloccio, diciamocelo.
"Già", faccio io
"figuriamoci poi sul bordo della vasca."
"Quale vasca?"
"Non ti preoccupare,
quando divorziamo te lo spiego."
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