Mi pare di aver sentito il campanello. Tolgo l’audio alla tv e attendo. La mente mi invia un’immagine di un dobermann. Ora bussano. Mi alzo lentamente dal divano e, tallonando, vado alla porta. Sollevo lo spioncino. È la mia vicina. Ha in mano un campanellino.
Apro.
“Devi fare Babbo Natale”.
“…”
“Tutto bene?”
“A che ora?”
“Alle otto e mezza”.
“E il vestito?”
“Macché vestito. Non ce l’ho nemmeno.”
“…”
“Ti spiego il piano. Ti faccio uno squillo all’ora prevista e ti lascio la porta aperta, io mi chiudo in bagno con i due mostri. Tu posa i regali sul pianerottolo, infila la testa in casa, fai ho ho, un paio di scampanellate, ecco la campanella…” me la passa. “Ah, a momenti dimenticavo. Devi mangiare anche i biscotti e la carota. E bere il latte. Oddio!” reprime all’istante l’entusiasmo e abbassa la voce. “Mi è appena venuta un’altra idea. Prima di scendere mettiti le scarpe ‒ ma perché sei scalzo. Non hai freddo?”
“…”
“Ti lascio fuori una bustina di farina, dai una spolverata a terra e camminaci sopra. Fai le orme. Già che ti trovi, i regali non li lasciare fuori, sistemali davanti al caminetto; non troppo vicino, non vorrei che una monachina desse fuoco alla carta e… d’accordo, non ci voglio pensare, no, mettili sotto l’albero, da sempre i regali si mettono sotto l’albero, giusto?”
Annuisco.
“È tutto chiaro?”
Annuisco di nuovo.
“Più tardi ti salgo i regali.”
Mi fa l’occhiolino, mi dà le spalle e inizia a scendere i gradini a due a due.
Aspetto che sparisca alla mia vista e richiudo la porta.
Corro in bagno a vomitare.
Conoscendo la mia piccolina non si offenderà. Anzi. Tuttavia mi avvicino a una delle tante foto in corridoio e glielo chiedo. Nel dubbio, chiedo il permesso anche a mia moglie.
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