lunedì 31 gennaio 2022

QUATTRO ATMOSFERE NERE di Roberta Sandrini

D’estate il giardino è il sole: tutto sparisce, esiste solo la luce.

Solo l’alloro cerca di resistere fino all’ultimo, i rami che raccolgono tutte le loro forze e si stagliano contro quel riverbero squillante, che piano piano li annerisce ed alla fine li inghiotte.

Una rosa si nasconde nell’unico angolo rimasto in ombra: anche lei sembrerebbe chiara, di un rosa confetto zuccheroso come certe gelatine che mia nonna teneva in una scatolina che magicamente si materializzava quando andavamo a trovarla.

Ma man mano che la luce avanza, ingoiando tutto intorno a lei, le sue gote di petali si scuriscono, il rosa si accende volgare per un attimo, è quello della bottiglia di un profumo scadente, poi vira rassegnato verso un qualcosa di anonimo, né timido né lezioso né provocante, scuro ed intimorito.

La terra è secca, polverosa, la bagni ma dopo poco di nuovo in un raggio di sole vedi salire e girare un pulviscolo grigio che ti fa salire un gusto di terra in bocca, che si alza in una spirale che è quasi una mano che si apre e ti saluta a prenderti in giro.

Per questo Anna, Annuccia, l’ho sepolta di notte, anche se in verità non soffro in modo particolare il caldo.

Ma almeno, una volta buttata un po' d’acqua per terra, nel posto lasciato libero a quell’epoca dalle aiuole, e dove più tardi ho piantato le ortensie blu, ho dovuto aspettare solo qualche minuto, e nella penombra viola e oro del crepuscolo estivo, quel crepuscolo lungo e tiepido delle nove d’estate ho potuto scavare in fretta una buca, con una delle pale custodite dal giardiniere nel vicino ripostiglio degli attrezzi, e stenderla lì, dopo averla tirata per i piedi dal suo nascondiglio, un piccolo box verde dove scorrevano alcuni tubi sibilanti.

Il giardiniere lo guardavo schifata e con lui i suoi grembiuli grigi ed i suoi rastrelli, vanghe e quant’altro, così che pensasse che per niente al mondo mi sarei avvicinata a lui ed ai suoi aggeggi, e lasciasse aperto a cuor leggero il capanno, dove di solito nascondevo libri con figure e disegni che inorridivano, a loro dire,quando ne trovarono un paio in camera di mio fratello, la nonna e la mamma.

Povera Anna, Annuccia, non volevo, avevamo litigato per un problema di matematica, lei diceva che andava risolto in un modo, io in un altro, nessuna delle due era disposta ad abbandonare le sue posizioni ed insomma la colpì con portapenne di marmo nero, appartenuto a non so quale dei miei due nonni.

D’autunno il giardino è la pioggia: forte e scrosciante, impalpabile ed invisibile, te ne accorgi solo quando ti tocca, trasparente e quieta, mette in sottofondo una nenia tranquilla di minuscoli vasi che si rompono in mille pezzi e fa il suo lavoro con la terra.

Alla fine tutto luccica come sotto i raggi del sole, ma è un luccichio di posata d’argento, di ruscello fra le rocce e il muschio, di nuvola nera che si mette controluce, di nebbia che si disperde.

Dietro alla cortina della pioggia macchie di colore: il rosso nerastro di sangue della vite selvatica che serpeggia sul muro, il giallo stupido degli arbusti e quello serio degli alberi, il marrone sparso d’oro di molte foglie e qualche pianta.

Ogni colore una posizione ben precisa, come soldati in una trincea, fermi e col fiato sospeso in attesa di un segnale, amico o nemico, di attacco o ritirata.

La terra non ha più forma, prende quella dei piedi che ci camminano sopra, delle zampe che la calpestano, delle cose inanimate che ci cadono sopra, della striscia delle code, di ogni segno di passaggio: molle, stanca, sonnolenta e pronta ad affacciarsi in un lungo sonno.

Per questo non ci volle molto tempo, certo fatica perché la pala straboccava di fango ogni volta che la infilavo in quella massa viscida e sfuggente che era diventata appunto la terra, ma non molto tempo per seppellire mio fratello, che tra l’altro la pioggia la odiava ed amava i lunghi pomeriggi assolati.

Litigare avevamo sempre litigato, da bambini per un giocattolo o la precedenza nella distribuzione di gelatine a casa della nonna, da ragazzini perché si rifiutava di accompagnarmi nelle serate di relativa libertà concesse dai nostri genitori, preferendo dileguarsi con gli amici, poi crescendo abbiamo cominciato a litigare a causa dei soldi, da dividere o da spendere, che si sa, notoriamente, sono fra le conversazioni più sgradevoli se non la più sgradevole in assoluto.

A differenza di Annuccia il colpo fu intenzionale.

Cercai di finire il prima possibile e dopo rimasi sulla veranda a guardare la pioggia, con una scatola di gelatine a portata di mano.

D’inverno il giardino è il silenzio: un silenzio bianco e immobile, senza timori ne’ emozioni, un silenzio trasparente di freddo, azzurrino di brina, bianco di neve o di ghiaccio.

La terra è sempre molle, nell’abbraccio della neve, ed al contrario secca e dura come d’estate, nelle mani del gelo.

Non mi piacciono né la neve né il freddo: non mi piace l’assenza, di suoni e di colori, l’assenza che non scelgo io, che non è opera mia.

Neppure a mio padre piaceva l’inverno eppure morì a gennaio.

Morì nel sonno, non fui io dunque: ma mi serviva la sua pensione perché in quel periodo ero disoccupata e lo rimasi per molto tempo.

Dovetti aspettare un giorno di neve e poi che la neve andasse via, si sciogliesse almeno in parte lasciando la terra molliccia e malleabile: la pala affondava facilmente e velocemente.

Il corpo, che nel frattempo avevo avvolto in una coperta e ricoperto di adesivo da pacchi, scivolò senza nessun suono e sembrò sistemarsi da solo, fra le braccia della terra. 

In primavera il giardino è il colore: non bisogna fare sforzi o voli di fantasia per descriverlo, solo dire, giallo, rosso, rosa, verde chiaro, verde smeraldo.

La terra non è né molle né dura, è solo morbida, irresistibilmente morbida, e per la prima volta emana un buon odore, caldo e aromatico.

Quando seppellì il mio amore, che voleva lasciarmi, strinsi per un attimo gli occhi e pensai ad un colore che gli potesse piacere: poi da lì andai sicura, quasi allegra.

Dopo mi sistemai in veranda, a godermi il primo raggio tiepido di sole.

 

 

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