domenica 31 luglio 2022

UN FIUME di Fabrizio Sani

Sdraiato. Profilo fetale in quest’ansa stagnante.

Bagnato dal fluire putrido di questo fiume

m’incurvo, come un sopracciglio, in un riso

maligno e nervoso. Trafitto da un colpo alle spalle.

Mangiare le unghie, le dita e una volta terminate

rosicchiare l’osso, a fatica, come avessi denti di legno.

Con lo stesso accento, la stessa inflessione nel pronome

e le stesse pause dici: “tocca il mio ventre”,

dici: “dispongo il mio bagaglio e vado fuori”.

Fosse nel nero di una buonanotte, saprei come orientarmi,

fosse in un capriccio d’estate, saprei come orientarmi,

ma tuttora è primavera e il sole si lascia ancora guardare negli occhi.

Nel comune vuoto planano comete di carta,

si ammassano scheletri in questa insenatura.

Ci sono anche i detriti, i miei organi,

e un punto d’inchiostro si è essiccato.

Darò una pulita a tutto, sì. E proverò a contare fino a dieci.

Uno strato di polvere si è ormai depositato sull’ultima parola.

I miei spiriti mi stuprano come si stupra un bambino;

quel bambino di quattro, cinque anni,

non di più. Mi racconta cos’è un mattatoio.

È come un enorme tritacarne, dice,

serve a mangiare, dice.

Però a me non piace pensarci quando sono a tavola, dice.

Avverto neve in ogni nervo del corpo,

nella vena in bassorilievo sul collo,

un freddo che si mischia col sangue e

mi lascia la sensazione che non mi scalderò più.

Mi avvolgo in una carcassa

come fosse un lenzuolo su cui hai giaciuto.

Si va verso la sera e la brezza diventa blu scuro,

alle porte di un altro anniversario

e nessuno che si arrischia a farmi un regalo,

di regali devo rifornirmi da solo e non ho più manco una moneta.

Indugerò. Cullerò il vuoto dei natali disabitati

che mia madre ha scandalosamente partorito.

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