Questa è la storia di cinque persone che saranno costrette a viaggiare, o non potranno farlo, nel periodo del Covid 19. Tutte le storie qui raccontate sono tendenzialmente vere, ma probabilemente false, o viceversa; a voi la scelta. Un capitolo al giorno (escluso il venerdì, il sabato e la domenica).
CAPITOLO
88
New Orleans – Freetown- Back to the basic
Mohamed
e Prince dopo una notte di cella erano stati costretti ad ascoltare il sermone
della funzione assieme:
-
Quello che il governo sta facendo è un atto di carità cristiana: vi permette di
ritornare alla vostra terra con il bagaglio di esperienze accumulate in questi
luoghi. Il vostro paese ha bisogno di voi, non siete obbligati a rimanere negli
USA.
Il
discorso di Cassidy che incolonnava parole ammantate di miele, fu interrotto da
un violento colpo di tosse. Si perquisì i pantaloni, estrasse un fazzoletto
dalla tasca e si scusò con i suoi interlocutori: la forma prima di tutto.
Convincere
gli immigrati irregolari era la prassi. La firma dell’interessato che
autorizzava il rimpatrio, era il colpo psicologico finale: quel documento non
li avrebbe autorizzati mai più a richiedere il visto come rifugiati.
Il
giorno successivo Prince rimase a letto, aveva qualche decimo di febbre e non
riuscì ad alzarsi; più che malattia sembrava pigrizia.
Cassidy
era convinto che si trattasse di una messa in scena per ritardare la partenza.
Dopo
quattro giorni Prince mostrò difficoltà respiratorie e, nonostante il parere
contrario del poliziotto, che continuava a tossire, fu portato in infermeria.
Il
mattino successivo Mohamed fu prelevato, incatenato, mani e piedi, e trascinato
sulla pista dell’aeroporto.
Avrebbe
voluto ribellarsi, agitarsi, rendere la vita impossibile ai propri carcerieri,
invece non riusciva a muovere le braccia e le gambe; il corpo era un’entità
separata dalla mente.
L’unica
cosa che ancora ubbidiva al cervello erano gli occhi. Ricordava che avrebbe
voluto telefonare a Pam, salutarla, ma non riuscì a elaborare la richiesta.
Dovevano
avergli dato qualche sostanza per tenerlo buono, come la prima volta.
-
Hai visto? Hai un aereo tutto per te. Rise il poliziotto mentre lo accomodavano
sul sedile e lo bendavano.
Cassidy
non era sul velivolo, era ammalato, aveva rinunciato ad accompagnarlo e Mohamed
non sentiva la sua voce petulante che ululava le solite parole: vogliamo
riportarti a casa per il tuo bene.
Il
formicolio del sangue che intorbidiva le articolazioni, ricominciò a
interessarlo quando si trovò, sorretto da uno degli sbirri, all’ufficio
immigrazione.
Con
la bocca insensibile e la lingua increspata non articolò nemmeno il suo nome.
Fu
accolto e accompagnato in una stanzetta dove avrebbe dovuto riprendersi. Quando
gli tornò il dono della parola era troppo tardi per protestare.
Il
mattino successivo Mohamed si alzò infreddolito: gli era salita la febbre per
colpa dell’aria condizionata.
Dopo
aver starnutito tredici volte, ricevette la visita di Usif, responsabile
dell’associazione che si occupava di accogliere gli ex-richiedenti asilo.
L’unica
preoccupazione di Mohamed era la malaria, non voleva averla presa appena
rientrato; si sentiva senza forze e tornò letto.
Dopo
quattro giorni gli fecero il test.
Si
svegliò di soprassalto quando bussarono alla porta; aveva trascorso quelle
giornate sotto la coperta: aveva freddo, anche se c’erano trentacinque gradi.
Aprì
l’uscio e si trovò dinanzi tre dottori che indossavano tute anti
contaminazione. Mohamed si stranì, era appena tornato, aveva avuto contatto con
appena cinque o sei persone: Non poteva aver contratto l’ebola.
-
Mr. Kamara, vero?
Era
il caso numero zero in Sierra Leone, deportato assieme al morbo.
-
Non si preoccupi sarà seguito nell’Ospedale Militare Numero trentaquattro.
I
poliziotti che erano con lei sono stati avvisati della situazione. Lei pensi
solo a stare bene.
Un
militare a distanza di sicurezza, con un kalashnikov in mano, gli indicò la
strada.
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