mercoledì 30 giugno 2021

A PIEDI NUDI TRA LE MANGROVIE (88) di Lucio Cascavilla

Questa è la storia di cinque persone che saranno costrette a viaggiare, o non potranno farlo, nel periodo del Covid 19. Tutte le storie qui raccontate sono tendenzialmente vere, ma probabilemente false, o viceversa; a voi la scelta. Un capitolo al giorno (escluso il venerdì, il  sabato e la domenica).

 

CAPITOLO 88

New Orleans – Freetown- Back to the basic

 

Mohamed e Prince dopo una notte di cella erano stati costretti ad ascoltare il sermone della funzione assieme:

- Quello che il governo sta facendo è un atto di carità cristiana: vi permette di ritornare alla vostra terra con il bagaglio di esperienze accumulate in questi luoghi. Il vostro paese ha bisogno di voi, non siete obbligati a rimanere negli USA.

 

Il discorso di Cassidy che incolonnava parole ammantate di miele, fu interrotto da un violento colpo di tosse. Si perquisì i pantaloni, estrasse un fazzoletto dalla tasca e si scusò con i suoi interlocutori: la forma prima di tutto.

Convincere gli immigrati irregolari era la prassi. La firma dell’interessato che autorizzava il rimpatrio, era il colpo psicologico finale: quel documento non li avrebbe autorizzati mai più a richiedere il visto come rifugiati.

Il giorno successivo Prince rimase a letto, aveva qualche decimo di febbre e non riuscì ad alzarsi; più che malattia sembrava pigrizia.

Cassidy era convinto che si trattasse di una messa in scena per ritardare la partenza.

Dopo quattro giorni Prince mostrò difficoltà respiratorie e, nonostante il parere contrario del poliziotto, che continuava a tossire, fu portato in infermeria.

Il mattino successivo Mohamed fu prelevato, incatenato, mani e piedi, e trascinato sulla pista dell’aeroporto.

Avrebbe voluto ribellarsi, agitarsi, rendere la vita impossibile ai propri carcerieri, invece non riusciva a muovere le braccia e le gambe; il corpo era un’entità separata dalla mente.

L’unica cosa che ancora ubbidiva al cervello erano gli occhi. Ricordava che avrebbe voluto telefonare a Pam, salutarla, ma non riuscì a elaborare la richiesta.

Dovevano avergli dato qualche sostanza per tenerlo buono, come la prima volta.

- Hai visto? Hai un aereo tutto per te. Rise il poliziotto mentre lo accomodavano sul sedile e lo bendavano.

Cassidy non era sul velivolo, era ammalato, aveva rinunciato ad accompagnarlo e Mohamed non sentiva la sua voce petulante che ululava le solite parole: vogliamo riportarti a casa per il tuo bene.

Il formicolio del sangue che intorbidiva le articolazioni, ricominciò a interessarlo quando si trovò, sorretto da uno degli sbirri, all’ufficio immigrazione.

Con la bocca insensibile e la lingua increspata non articolò nemmeno il suo nome.

Fu accolto e accompagnato in una stanzetta dove avrebbe dovuto riprendersi. Quando gli tornò il dono della parola era troppo tardi per protestare.

Il mattino successivo Mohamed si alzò infreddolito: gli era salita la febbre per colpa dell’aria condizionata.

Dopo aver starnutito tredici volte, ricevette la visita di Usif, responsabile dell’associazione che si occupava di accogliere gli ex-richiedenti asilo.

L’unica preoccupazione di Mohamed era la malaria, non voleva averla presa appena rientrato; si sentiva senza forze e tornò letto.

Dopo quattro giorni gli fecero il test.

Si svegliò di soprassalto quando bussarono alla porta; aveva trascorso quelle giornate sotto la coperta: aveva freddo, anche se c’erano trentacinque gradi.

Aprì l’uscio e si trovò dinanzi tre dottori che indossavano tute anti contaminazione. Mohamed si stranì, era appena tornato, aveva avuto contatto con appena cinque o sei persone: Non poteva aver contratto l’ebola.

- Mr. Kamara, vero?

Era il caso numero zero in Sierra Leone, deportato assieme al morbo.

- Non si preoccupi sarà seguito nell’Ospedale Militare Numero trentaquattro.

I poliziotti che erano con lei sono stati avvisati della situazione. Lei pensi solo a stare bene.

Un militare a distanza di sicurezza, con un kalashnikov in mano, gli indicò la strada.




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