mercoledì 30 giugno 2021

LA BELVA di Gabriele Giustri

Chicago era veramente un brutto posto se si frequentavano certi quartieri, per me però West Party era una specie di paradiso, ogni tanto poteva anche scapparci il morto ma era uno che sicuramente se lo meritava. La brava gente che si faceva gli affari suoi non era in pericolo. Nel quartiere la vita scorreva tranquilla, si poteva anche dormire con la porta aperta.

Però dopo il 15 aprile tutti avevamo un po' più di paura a girare per strada.

Accadde che in un giorno come tanti altri saranno state le tredici, in Hammer Avenue, davanti al cinema Little Italy, i fratelli La Canfora insieme alla famiglia La Fettuccia si presentassero armati fino ai denti per sfidare la banda Rutilio. La sparatoria non durò molto ma fu intensa, la banda Rutilio non esisteva più, erano tutti morti. I cadaveri però erano troppi. Una bambina, una bambina di otto anni giaceva in braccio alla madre, la donna era in lacrime ma non riusciva a gridare il suo dolore, tutti si affacciarono dai palazzi e videro cosa era successo.

In quel momento la mia vita prese una strada diversa dalla normalità. Dentro di me crebbe un odio verso tutto quello che era Mafia e killer. Mi sentivo impotente davanti a tutto questo, ma non sarei rimasto con le mani in mano. Vendetta ecco cosa echeggiava nella mia testa, vendetta! Li avrei trovati tutti e li avrei uccisi dal primo all'ultimo senza sconti per nessuno. Chiunque avesse fatto parte di una banda o di una famiglia mafiosa sarebbe passato a miglior vita e io bene o male, i mafiosi ed i malavitosi di Chicago li conoscevo quasi tutti grazie al fatto che mio padre era stato un poliziotto. Non so perché presi questa decisione, io in fondo sono sempre stato una persona tranquilla, ma a cinquant'anni non avendo una famiglia, non rischiando nulla, sarei stato il vendicatore invisibile.

Da dove iniziare? Uno come me sarebbe morto subito davanti ad un killer prezzolato delle varie bande non avrei mai potuto sostenere uno scontro faccia a faccia. Prima di tutto dovevo trovare un'arma. Andai fino ad Academy Avenue da Rocco Spino un armaiolo italiano che parlava solo dialetto catanese. Rocco mi vendette una pistola con il silenziatore, perfetta per quello che volevo fare.

Il vendicatore deve saper sparare bene, è la sua unica possibilità di salvezza ed io non avevo mai preso un'arma in mano. Mi recai fuori città, in campagna, in un posto isolato dove non ci fosse nessuno. Avevo un certo timore ad impugnare la pistola, puntai l'arma verso un albero e sparai, il rinculo fece andare il colpo in alto, allora presi una bottiglia la piazzai su di un ceppo e cominciai. Niente, non ne voleva sapere di farsi beccare dai miei proiettili, la bottiglia era lì intatta e i miei colpi andavano da tutt'altra parte. Alla fine però dopo molti spari tirati a vuoto riuscii a centrarla. Ci vollero giorni e giorni di proiettili e di bottiglie ma tutto sommato potevo dire di aver una buona mira.

Adesso quello che serviva era il coraggio di sparare ad un uomo, per quello non c'erano scuole c'era solo l'odio che dentro di me si faceva sempre più strada.

La prima vera occasione per mettere in atto i miei propositi di vendetta, mi si presentò una sera. Stavo rincasando quando davanti a me vidi Johnny il Giovane ed era solo. Johnny il Giovane era un uomo della famiglia dei La Fettuccia. Era solo, mi misi a seguirlo, ma quando entrò in un portone, tutto il mio entusiasmo si esaurì. E ora? Cosa fare? Lo avrei aspettato nel buio dell'androne del palazzo anche fino alla mattina se fosse servito. Poco dopo Johnny il Giovane uscì dall'ascensore chiuse le porte ed io dal buio della notte: flop! E Johnny il Giovane non era più tra i vivi. Senza aspettare uscii quasi di corsa, in strada non c'era nessuno e io volai a casa. Avevo l'adrenalina a mille sentivo gli orecchi e gli occhi pulsare e mi accorsi che stavo correndo. Il primo era andato ed era stato facile ora volevo vedere le prime reazioni che però non ci furono. Il giorno dopo sul giornale c'era un trafiletto ma niente di più. E la coscienza? La mia coscienza? Mi sentivo un leone, il re di Chicago e ancora non avevo fatto quasi niente.

Mi chiedevo. Continuare a fare fuori gli uomini dei La Fettuccia, oppure uccidere a caso? Intanto era scesa la sera ed io vagavo senza meta quando dal nulla apparve un uomo della famiglia Lo Cascio. I Lo Cascio vendevano droga e gestivano varie bische clandestine dove si poteva bere alcolici in quantità, erano potentissimi. Anche questa volta fu facile, mi avvicinai e lo seccai con un colpo alla testa. Mi sentivo bene. Mai stato meglio. Passata una settimana ne avevo uccisi cinque.

Nel quartiere la vita scorreva normale, nessuno ancora aveva capito. Uccidere i “cattivi” mi faceva stare bene. Naturalmente agivo sempre e solo di notte, di giorno era troppo pericoloso mi avrebbero potuto riconoscere.

Una sera verso le ventidue uscii di casa per vedere un po' il movimento, quando all'angolo vidi un uomo dei Della Monica che fumava, mi avvicinai e lo uccisi con un colpo secco alla testa. Non mi accorsi che nell'auto, appena posteggiata, c'erano altri due uomini dei Della Monica che accesero i fari e mi illuminarono. Fecero per scendere dall'auto ma io fui più svelto e li fulminai entrambi. Tremavo come una foglia, mi resi conto che avevo avuto molta fortuna, riuscire ad uccidere due killer era stata davvero fortuna per la paura che avevo avuto pensai anche di smettere, per ora mi era andata bene, ma il volto della bambina mi tornò in mente ed una voce mi riecheggiò in testa: vendetta!

Questa volta l'avevo fatta grossa. Tornai da Rocco Spino, l'armaiolo e comprai un piccolo mitra con il silenziatore. Ora avevo un'arma potente e silenziosa e mi sentivo più sicuro di prima.

L'idea era di andare al ristorante Da Mario, dove la famiglia Lo Cascio cenava tutti i giorni. Fuori del ristorante c'erano tre gorilla armati a fare la guardia seduti in macchina. Senza dare nell'occhio mi avvicinai all'auto dei Lo Cascio, avevano i finestrini abbassati, strisciai per quei pochi metri, mi concentrai e con uno scatto li seccai tutti e tre. Sembravano addormentati. Nessuno si era accorto di nulla, a quel punto entrai nel ristorante. La sala era vuota solo in un angolo appartato c'era un tavolo da dodici tutto occupato dai Lo Cascio. Padre, figlio grande, figlio piccolo, un prete e tutta la scorta, tutti killer professionisti. Erano armati fino ai denti. Sapevo per sentito dire che il padre, Salvatore Lo Cascio, aveva due pistole sotto la giacca. Mi avvicinai rapidissimo tirai fuori il mitra e feci fuoco. Nessuno fece a tempo a reagire. Tutti e dodici, morti. La famiglia Lo Cascio non esisteva più. Con la massima calma uscii dal ristorante guardai il cameriere gli strizzai un occhio e presi la via di casa.

Il giorno dopo sul Chicago Herald si legge di un grave regolamento di conti tra famiglie mafiose già conosciute dalla polizia. Chi era stato? Non si sapeva. La cosa che più mi esaltava era che anche tra i malavitosi tutto galleggiava nel mistero. Nessuno era stato, tra di loro nessuno avrebbe fatto questo ai Lo Cascio. Il clima era veramente infuocato ora tutti loro cominciavano ad aver paura.

Da anni la domenica amavo fare colazione all'italiana e così andavo a Little Italy al Bar Azzurro e mangiavo un bombolone con il cappuccino. Nel locale non si parlava d'altro che del massacro dei Lo Cascio. Ognuno diceva la sua. Io pagai ed uscii fuori.

Il funerale dei Lo Cascio si sarebbe svolto dopo due giorni. Sarebbero intervenuti tutti i peggiori elementi della città. Avrei potuto fare una vera e propria strage ma sarebbero stati troppi per uno solo. Li avrei presi tutti di sorpresa, ci sarebbe voluto una bella bomba, allora sì che sarebbero morti tutti. Come minimo ci sarebbero state trecento persone al funerale.

Tornai da Rocco Spino che mi disse: “Che fai la pesca con la dinamite? Ti darò 20 candelotti, di più non posso perché ne sono sprovvisto. Stai attento con questa roba se te ne scoppia uno fai saltare l'intero palazzo!”

Andai al cimitero e chiesi dove sarebbero stati sepolti i Lo Cascio. La cappella di famiglia era già pronta c'erano già alcune corone di fiori. Piazzai una bomba nella cappella e una fuori dietro i mazzi di fiori già posizionati. Non si vedeva nulla anche il filo del detonatore era ben nascosto, nessuno si sarebbe accorto. Sarebbe stato un grande botto con tanti morti.

Mi rendevo conto che ero impazzito, questa storia ormai mi aveva preso la mano. E se nel cimitero ci fossero stati degli innocenti? Non è come con la pistola pum colpo secco e via. Qui c'era la dinamite. Decisi di dormire nel cimitero per avere un margine di vantaggio.

Alle otto e trenta cominciarono ad arrivare le prime auto, “dei bonificatori”. Avrebbero evacuato l'intero cimitero dagli estranei al funerale. Mi ero appostato in un ottimo punto avevo il detonatore in mano e tremavo come una foglia. Intanto i primi ospiti stavano entrando con le loro auto tutti vestiti uguali di nero. Alle dieci il cimitero era pieno della peggior feccia di Chicago.

Aspettai che arrivasse il prete ed agii sul detonatore. Fu incredibile, un esplosione pazzesca, credevo di aver distrutto tutto il cimitero. Non ci credevo quasi.

Quando il fumo e la polvere si posarono vidi cosa era successo. Non vi saprei dire con esattezza ma penso che ci saranno stati trecento morti. Avevo fatto una strage. Uno come me era stato capace di fare tanto! Stavo da dio, ero entusiasta di quello che avevo fatto. Mi tenni nascosto fino a sera poi in piena notte, tornai a casa.

Mi recai dove sapevo abitasse la madre della bambina uccisa, presi un foglio e ci scrissi sopra “Vendetta è fatta!” e lo infilai nella cassetta della posta.

E ora? Cosa avrei fatto ora? Più della metà dei malavitosi di Chicago era sotto terra per sempre. Nessuno mi aveva mai visto, nessuno mi conosceva, nessuno sapeva chi fossi. Ero un uomo invisibile.

Attenzione là fuori, a giro per la città c'è una Belva.

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