Chicago era veramente un brutto posto se si frequentavano certi quartieri, per me però West Party era una specie di paradiso, ogni tanto poteva anche scapparci il morto ma era uno che sicuramente se lo meritava. La brava gente che si faceva gli affari suoi non era in pericolo. Nel quartiere la vita scorreva tranquilla, si poteva anche dormire con la porta aperta.
Però dopo il 15 aprile tutti
avevamo un po' più di paura a girare per strada.
Accadde che in un giorno
come tanti altri saranno state le tredici, in Hammer Avenue, davanti al cinema
Little Italy, i fratelli La Canfora insieme alla famiglia La Fettuccia si
presentassero armati fino ai denti per sfidare la banda Rutilio. La sparatoria
non durò molto ma fu intensa, la banda Rutilio non esisteva più, erano tutti
morti. I cadaveri però erano troppi. Una bambina, una bambina di otto anni
giaceva in braccio alla madre, la donna era in lacrime ma non riusciva a
gridare il suo dolore, tutti si affacciarono dai palazzi e videro cosa era
successo.
In quel momento la mia vita
prese una strada diversa dalla normalità. Dentro di me crebbe un odio verso
tutto quello che era Mafia e killer. Mi sentivo impotente davanti a tutto
questo, ma non sarei rimasto con le mani in mano. Vendetta ecco cosa echeggiava
nella mia testa, vendetta! Li avrei trovati tutti e li avrei uccisi dal primo
all'ultimo senza sconti per nessuno. Chiunque avesse fatto parte di una banda o
di una famiglia mafiosa sarebbe passato a miglior vita e io bene o male, i
mafiosi ed i malavitosi di Chicago li conoscevo quasi tutti grazie al fatto che
mio padre era stato un poliziotto. Non so perché presi questa decisione, io in
fondo sono sempre stato una persona tranquilla, ma a cinquant'anni non avendo
una famiglia, non rischiando nulla, sarei stato il vendicatore invisibile.
Da dove iniziare? Uno come
me sarebbe morto subito davanti ad un killer prezzolato delle varie bande non
avrei mai potuto sostenere uno scontro faccia a faccia. Prima di tutto dovevo trovare
un'arma. Andai fino ad Academy Avenue da Rocco Spino un armaiolo italiano che
parlava solo dialetto catanese. Rocco mi vendette una pistola con il
silenziatore, perfetta per quello che volevo fare.
Il vendicatore deve saper
sparare bene, è la sua unica possibilità di salvezza ed io non avevo mai preso
un'arma in mano. Mi recai fuori città, in campagna, in un posto isolato dove
non ci fosse nessuno. Avevo un certo timore ad impugnare la pistola, puntai
l'arma verso un albero e sparai, il rinculo fece andare il colpo in alto,
allora presi una bottiglia la piazzai su di un ceppo e cominciai. Niente, non
ne voleva sapere di farsi beccare dai miei proiettili, la bottiglia era lì
intatta e i miei colpi andavano da tutt'altra parte. Alla fine però dopo molti
spari tirati a vuoto riuscii a centrarla. Ci vollero giorni e giorni di
proiettili e di bottiglie ma tutto sommato potevo dire di aver una buona mira.
Adesso quello che serviva
era il coraggio di sparare ad un uomo, per quello non c'erano scuole c'era solo
l'odio che dentro di me si faceva sempre più strada.
La prima vera occasione per
mettere in atto i miei propositi di vendetta, mi si presentò una sera. Stavo
rincasando quando davanti a me vidi Johnny il Giovane ed era solo. Johnny il
Giovane era un uomo della famiglia dei La Fettuccia. Era solo, mi misi a
seguirlo, ma quando entrò in un portone, tutto il mio entusiasmo si esaurì. E
ora? Cosa fare? Lo avrei aspettato nel buio dell'androne del palazzo anche fino
alla mattina se fosse servito. Poco dopo Johnny il Giovane uscì dall'ascensore
chiuse le porte ed io dal buio della notte: flop! E Johnny il Giovane non era
più tra i vivi. Senza aspettare uscii quasi di corsa, in strada non c'era
nessuno e io volai a casa. Avevo l'adrenalina a mille sentivo gli orecchi e gli
occhi pulsare e mi accorsi che stavo correndo. Il primo era andato ed era stato
facile ora volevo vedere le prime reazioni che però non ci furono. Il giorno
dopo sul giornale c'era un trafiletto ma niente di più. E la coscienza? La mia
coscienza? Mi sentivo un leone, il re di Chicago e ancora non avevo fatto quasi
niente.
Mi chiedevo. Continuare a
fare fuori gli uomini dei La Fettuccia, oppure uccidere a caso? Intanto era
scesa la sera ed io vagavo senza meta quando dal nulla apparve un uomo della
famiglia Lo Cascio. I Lo Cascio vendevano droga e gestivano varie bische
clandestine dove si poteva bere alcolici in quantità, erano potentissimi. Anche
questa volta fu facile, mi avvicinai e lo seccai con un colpo alla testa. Mi
sentivo bene. Mai stato meglio. Passata una settimana ne avevo uccisi cinque.
Nel quartiere la vita
scorreva normale, nessuno ancora aveva capito. Uccidere i “cattivi” mi faceva
stare bene. Naturalmente agivo sempre e solo di notte, di giorno era troppo
pericoloso mi avrebbero potuto riconoscere.
Una sera verso le ventidue
uscii di casa per vedere un po' il movimento, quando all'angolo vidi un uomo
dei Della Monica che fumava, mi avvicinai e lo uccisi con un colpo secco alla
testa. Non mi accorsi che nell'auto, appena posteggiata, c'erano altri due
uomini dei Della Monica che accesero i fari e mi illuminarono. Fecero per
scendere dall'auto ma io fui più svelto e li fulminai entrambi. Tremavo come
una foglia, mi resi conto che avevo avuto molta fortuna, riuscire ad uccidere
due killer era stata davvero fortuna per la paura che avevo avuto pensai anche
di smettere, per ora mi era andata bene, ma il volto della bambina mi tornò in
mente ed una voce mi riecheggiò in testa: vendetta!
Questa volta l'avevo fatta
grossa. Tornai da Rocco Spino, l'armaiolo e comprai un piccolo mitra con il
silenziatore. Ora avevo un'arma potente e silenziosa e mi sentivo più sicuro di
prima.
L'idea era di andare al
ristorante Da Mario, dove la famiglia Lo Cascio cenava tutti i giorni. Fuori
del ristorante c'erano tre gorilla armati a fare la guardia seduti in macchina.
Senza dare nell'occhio mi avvicinai all'auto dei Lo Cascio, avevano i
finestrini abbassati, strisciai per quei pochi metri, mi concentrai e con uno
scatto li seccai tutti e tre. Sembravano addormentati. Nessuno si era accorto
di nulla, a quel punto entrai nel ristorante. La sala era vuota solo in un
angolo appartato c'era un tavolo da dodici tutto occupato dai Lo Cascio. Padre,
figlio grande, figlio piccolo, un prete e tutta la scorta, tutti killer
professionisti. Erano armati fino ai denti. Sapevo per sentito dire che il
padre, Salvatore Lo Cascio, aveva due pistole sotto la giacca. Mi avvicinai
rapidissimo tirai fuori il mitra e feci fuoco. Nessuno fece a tempo a reagire.
Tutti e dodici, morti. La famiglia Lo Cascio non esisteva più. Con la massima
calma uscii dal ristorante guardai il cameriere gli strizzai un occhio e presi
la via di casa.
Il giorno dopo sul Chicago
Herald si legge di un grave regolamento di conti tra famiglie mafiose già
conosciute dalla polizia. Chi era stato? Non si sapeva. La cosa che più mi
esaltava era che anche tra i malavitosi tutto galleggiava nel mistero. Nessuno
era stato, tra di loro nessuno avrebbe fatto questo ai Lo Cascio. Il clima era
veramente infuocato ora tutti loro cominciavano ad aver paura.
Da anni la domenica amavo
fare colazione all'italiana e così andavo a Little Italy al Bar Azzurro e mangiavo
un bombolone con il cappuccino. Nel locale non si parlava d'altro che del
massacro dei Lo Cascio. Ognuno diceva la sua. Io pagai ed uscii fuori.
Il funerale dei Lo Cascio si
sarebbe svolto dopo due giorni. Sarebbero intervenuti tutti i peggiori elementi
della città. Avrei potuto fare una vera e propria strage ma sarebbero stati
troppi per uno solo. Li avrei presi tutti di sorpresa, ci sarebbe voluto una
bella bomba, allora sì che sarebbero morti tutti. Come minimo ci sarebbero
state trecento persone al funerale.
Tornai da Rocco Spino che mi
disse: “Che fai la pesca con la dinamite? Ti darò 20 candelotti, di più non
posso perché ne sono sprovvisto. Stai attento con questa roba se te ne scoppia
uno fai saltare l'intero palazzo!”
Andai al cimitero e chiesi
dove sarebbero stati sepolti i Lo Cascio. La cappella di famiglia era già
pronta c'erano già alcune corone di fiori. Piazzai una bomba nella cappella e
una fuori dietro i mazzi di fiori già posizionati. Non si vedeva nulla anche il
filo del detonatore era ben nascosto, nessuno si sarebbe accorto. Sarebbe stato
un grande botto con tanti morti.
Mi rendevo conto che ero
impazzito, questa storia ormai mi aveva preso la mano. E se nel cimitero ci
fossero stati degli innocenti? Non è come con la pistola pum colpo secco e via.
Qui c'era la dinamite. Decisi di dormire nel cimitero per avere un margine di
vantaggio.
Alle otto e trenta
cominciarono ad arrivare le prime auto, “dei bonificatori”. Avrebbero evacuato
l'intero cimitero dagli estranei al funerale. Mi ero appostato in un ottimo
punto avevo il detonatore in mano e tremavo come una foglia. Intanto i primi
ospiti stavano entrando con le loro auto tutti vestiti uguali di nero. Alle
dieci il cimitero era pieno della peggior feccia di Chicago.
Aspettai che arrivasse il
prete ed agii sul detonatore. Fu incredibile, un esplosione pazzesca, credevo
di aver distrutto tutto il cimitero. Non ci credevo quasi.
Quando il fumo e la polvere
si posarono vidi cosa era successo. Non vi saprei dire con esattezza ma penso
che ci saranno stati trecento morti. Avevo fatto una strage. Uno come me era
stato capace di fare tanto! Stavo da dio, ero entusiasta di quello che avevo
fatto. Mi tenni nascosto fino a sera poi in piena notte, tornai a casa.
Mi recai dove sapevo
abitasse la madre della bambina uccisa, presi un foglio e ci scrissi sopra
“Vendetta è fatta!” e lo infilai nella cassetta della posta.
E ora? Cosa avrei fatto ora?
Più della metà dei malavitosi di Chicago era sotto terra per sempre. Nessuno mi
aveva mai visto, nessuno mi conosceva, nessuno sapeva chi fossi. Ero un uomo
invisibile.
Attenzione là fuori, a giro
per la città c'è una Belva.
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