domenica 31 ottobre 2021

DA UN’ALTRA PARTE di Andrea Mitri

Nessuno si preoccupò all’inizio, quando dopo i tre giorni di viaggio necessari non lo vedemmo tornare.

Perché era già successo altre volte che Feder ritardasse di qualche ora o qualche giorno, visto che doveva essere assolutamente prudente nel ritornare al villaggio.

Fuori dal bosco, giù nella valle, i pericoli erano immensi: c’era violenza, lussuria, cupidigia e chissà quali altre cose di cui era bene che noi ragazzi non venissimo a conoscenza.

Quando tornava era sempre provato dall’essere stato così a contatto con il Male, che dormiva per quasi un giorno di seguito, prima di presentarsi al Consiglio dei Saggi per relazionare sul suo viaggio e sull’acquisto dei semi necessari alla nostra agricoltura vitale.

A noi ragazzi e agli altri uomini e donne del villaggio non era consentito ascoltare il suo resoconto.

Ci accontentavamo delle avventure mirabolanti che ci raccontava le sere successive, intorno al fuoco, al termine della Preghiera della Sera, o sotto un albero di mele in qualcuna delle poche giornate non piovose dell’Epoca del Diluvio.

Ascoltavamo di come si era nascosto per dieci ore su di un albero mentre intorno i cani della Milizia Governativa impazzivano per aver perso le sue tracce, di come si travestiva per andare al mercato e della gigantesca Johanna che lo nascondeva in casa e gli procurava il denaro per gli acquisti in cambio dell’oro che i Saggi a lui affidavano.

E giocavamo ad essere inseguiti dalla Milizia e a nasconderci sugli alberi, alcuni di noi imparando anche ad usare la lingua dei Cittadini, per essere più credibili nei nostri travestimenti.

Io l’avevo imparata bene, quella lingua.

Lui me l’aveva insegnata per molti anni. Diceva che stava diventando vecchio e che qualcuno del Villaggio doveva essere in grado di andare nel Mondo di Basso a sbrigare le faccende a lui assegnate.

Forse per questo, passati 10 giorni, venni chiamato dal Consiglio dei Saggi, cosa che ad un ragazzo di 16 anni quale ero non era mai capitata.

Mi dettero uno zaino, una coperta, due rubini, che mi dissero valere 3000 fiorini vallici, ed una mappa da utilizzare una volta arrivato al margine del bosco. Poi una serie di indirizzi da imparare a memoria ed una chiave di un appartamento in città, in cui avrei trovato qualcuno ad aiutarmi.

E mi condussero davanti all’ingresso del tunnel che mi avrebbe condotto al di là delle rocce.

Dopo aver strisciato lungo il tunnel per circa due chilometri arrivai alla botola di uscita. Il sole mi accecò subito gli occhi.

Così forte non l’avevo mai visto, né sentito sulla pelle.

Il paese si stendeva appena sotto l’altura, brulicante di persone all’apparenza tranquille.

Mi avvicinai con prudenza, camminando nell’ombra inizialmente e poi rasente lungo i muri appena arrivato dentro il centro abitato. La gente sembrava non accorgersi di me e non vi era traccia alcuna di Milizia, né di lussuria o di gente che si sgozzava per un pezzo di pane.

C’era anzi una festa in corso nella piazza principale a cui mi aveva guidato la musica. La gente sembrava allegra, contenta di essere lì, per niente timorosa della collera di Dio che sovrastava invece il nostro villaggio.

E alfine voltato l’angolo lo vidi.

Era Feder a cantare la canzone che mi aveva guidato. E a fianco a lui una donna enorme che lo accompagnava alla fisarmonica sorridendogli di tanto in tanto.

E in un attimo, scoprendo il mondo, io compresi perché non era più tornato.

 

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